Bosnia Erzegovina: tanto rumore per un virus che ancora non c’è
Preoccupazione in Bosnia Erzegovina per la diffusione del coronavirus, anche se in questo momento non ci sono ancora stati casi di contagio. I media non parlano d’altro, le persone vanno nel panico e spuntano commenti razzisti nei confronti dei cinesi
Sull’onda della preoccupazione diffusasi negli ultimi giorni nell’intera regione, compresa la Bosnia Erzegovina, a causa del coronavirus, a Sarajevo è scoppiato il panico: le scorte di disinfettanti nelle farmacie e nei negozi di prodotti igienico-sanitari sono state subito esaurite; per le strade si notava una frenesia insolita per la quotidianità sarajevese, mentre i prezzi di alcuni prodotti per la pulizia e integratori per le difese immunitarie sono aumentati del 300%.
Di solito, quando cresce la domanda di un bene aumenta anche l’offerta, e il prezzo del bene diminuisce. Ma in Bosnia Erzegovina nemmeno la legge della domanda e dell’offerta sembra funzionare.
Quando ho visto il mio medico specialista in malattie respiratorie e allergiche che, col viso nascosto dietro la mascherina, non voleva nemmeno stringermi la mano – mi ha solo fatto la ricetta, dicendomi di tornare tra dieci giorni per un controllo e non vedeva l’ora che me andassi – , ho capito che la situazione era seria. Ma in Bosnia Erzegovina la gente scherza su tutto. Di tutte le barzellette sul coronavirus che ho sentito in questi giorni la migliore è quella in cui Fata (la mitica protagonista delle barzellette bosniache, come Sara della mitologia ebraica) dice a Mujo (l’equivalente di Mosho degli aneddoti ebraici): “Mujo, spargiamo la voce che abbiamo contratto quel virus“. “Ma sei normale? Perché dovremmo farlo se tutti scappano da questa cosa?“, chiede sorpreso Mujo. “Non andiamo mai da nessuna parte. Così almeno la gente penserà che siamo stati in Italia“.
Il panico è stato ulteriormente alimentato dalle speculazioni secondo cui da qualche parte nella periferia di Sarajevo (nelle “notizie“ di questo tipo non viene mai precisato il luogo dell’evento) alcuni cinesi sarebbero stati “trovati morti“ e dalle affermazioni del tipo: “Su di noi si abbattono tutte le sventure“. È intervenuta anche una farmacista che, all’affermazione di un cliente secondo cui “quei cinesi vengono da noi, ma non spendono niente“, ha replicato: “È vero, non ci faranno stare meglio. Possono solo farci stare peggio“.
Queste osservazioni razziste mi hanno fatto tornare in mente un episodio accaduto 15 anni fa. Stavo viaggiando in treno dalla stazione di Parigi Gare de Lyon a Trieste, poi da lì dovevo proseguire verso l’Istria, dove ero atteso per un seminario di letteratura. Non c’erano voli disponibili, o i voli last minute costavano troppo – non mi ricordo più – , e avevo deciso di viaggiare con il mio mezzo di trasposto preferito: il treno, per l’appunto. La cuccetta, la comodità… Ma appena il treno è partito ho avvertito un certo disagio. Il mio compagno di cuccetta era un cinese. All’epoca girava l’influenza suina e i cinesi anche allora, come oggi, erano additati come i principali responsabili dell’epidemia. A Parigi girava la voce che i cinesi non venissero sepolti nei cimiteri e che prendessero i documenti di identità dei loro parenti defunti. I media avevano riportato la notizia secondo cui in Francia sarebbe stato rintracciato un cinese che – secondo i documenti di identità di cui era in possesso – risultava avere 130 anni. Qualcuno dalla questura avrebbe automaticamente rinnovato il suo permesso senza verificare l’autenticità dei suoi documenti di identità. Si trattava perlopiù di dicerie, ma bisognava riempire le pagine dei giornali e dei neonati portali web.
Mi ero subito reso conto che quel cinese con cui condividevo la cuccetta era più spaventato di me: per tutto il tempo del viaggio aveva il viso coperto da una mascherina, che gli arrivava fino agli occhi, mentre io facevo rumore sfogliando il giornale, accendevo e spegnevo la luce in continuazione, dimostrando, come al solito, un nervosismo esagerato rispetto alla situazione. Avevamo passato due controlli di sicurezza in Francia, il cinese si era rimpicciolito dalla paura; poi a Brescia lo avevano fatto scendere dal treno. Alla fine ero dispiaciuto per lui. Non ero riuscito a scoprire che cosa gli fosse successo, ma probabilmente lo avevano sottoposto a diversi esami, forse lo avevano anche messo in quarantena, o persino deportato. Mi sentivo ingannato, raggirato. Esattamente come oggi si sente la maggior parte dell’opinione pubblica bombardata dalle notizie sul coronavirus.
Oggi, vista la gravità della situazione, quel povero cinese sicuramente se la passerebbe peggio. Dopo le prime convulse notizie sulla diffusione del virus e i tentativi di scoprire se tutti i nostri amici in Italia stanno bene, abbiamo appreso, dai dati diffusi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che l’epidemia non è poi così grave, sicuramente meno grave del panico, e che i danni causati dai media sono irreparabili.
Senza voler sminuire le argomentazioni espresse dai medici né tanto meno la preoccupazione della popolazione, mi sembra un po’ strano che l’intero mondo sia in preda al panico a causa di una malattia che, secondo i dati ufficiali, finora ha colpito 79.300 persone, un numero che corrisponde allo 0,7% della popolazione della città di Wuhan dalla quale è partita l’epidemia. Secondo i dati dell’OMS, il tasso di letalità del coronavirus è del 14,8% tra gli over 80, mentre nella fascia tra 50 e 60 anni scende all’1,3% e nella fascia tra 10 e 39 anni allo 0,2%.
Al momento in Bosnia Erzegovina non c’è nessun caso confermato di contagio da coronavirus. Ma non ci sono nemmeno strutture adeguate per l’isolamento di eventuali pazienti infettati. Intanto, i media non parlano d’altro. Secondo le statistiche, le probabilità che una persona di 45 anni muoia per l’infezione dal coronavirus sono dello 0,28%. Ma nessuno parla di questi numeri. Ci si sforza di riempire le pagine dei giornali e portali web di notizie sul virus e, a quanto pare, di affermazioni ostili nei confronti dei cinesi, per incutere timore nei cittadini. Come se i popoli della Bosnia Erzegovina non si odiassero già abbastanza.
Ma forse il vero motivo dietro tutta questa paura risiede nel fatto che negli ultimi giorni le borse mondiali hanno registrato le più grandi perdite dopo la crisi del 2008?
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