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Bosnia Erzegovina: paura Schengen

Poco meno di dieci mesi fa le frontiere dell’area Schengen sono state aperte ai cittadini della Bosnia Erzegovina in possesso di passaporto biometrico. Ora però, si parla già di richiuderle. Sotto esame il caso dei richiedenti asilo e le responsabilità europee

17/10/2011, Michele Biava - Sarajevo

Bosnia-Erzegovina-paura-Schengen

Dal 15 dicembre 2010 per i cittadini della Bosnia Erzegovina (BiH) in possesso di passaporto biometrico è possibile entrare nell’area Schengen senza bisogno di richiedere il visto turistico all’ambasciata del Paese di destinazione. È consentito il soggiorno fino a un massimo di tre mesi nell’arco di sei, per motivi turistici. Un passo atteso e importante, festeggiato con un grande concerto in piazza a Sarajevo.

L’estensione del regime senza visti ai cittadini della BiH avveniva circa un anno dopo l’apertura a Serbia e Macedonia, appianando una diseguaglianza di trattamento non solo all’interno della regione, ma della Bosnia Erzegovina stessa. I cittadini bosniaco-erzegovesi in possesso di un secondo passaporto (come ad esempio la maggior parte dei cittadini della BiH di nazionalità croata) già potevano viaggiare senza visto, per tutti gli altri, il 15 dicembre è stata la fine di una lunga attesa che non pochi cominciavano a chiamare “discriminazione”.

L’estensione dello “Schengen bianco” a Bosnia Erzegovina e Albania, fu il frutto di una lunga mediazione tra stati favorevoli e contrari. Alcuni Paesi europei, hanno a lungo frenato l’apertura, portando come argomento i risultati della concessione a Serbia e Macedonia. A dire degli scettici infatti si correva il rischio di favorire commerci illeciti, trafficking, esodi di massa di richiedenti asilo senza requisiti.

Al di qua della frontiera ci si cominciò a chiedere se dietro queste argomentazioni non si volesse nascondere un’altra realtà: l’Europa “cristiana” e perbenista non vuole altri migranti di religione musulmana, né altri rom. Il compromesso in sede europea fu l’introduzione di una commissione di monitoraggio e controllo sui movimenti dei cittadini provenienti dai Paesi cui veniva esteso il regime di liberalizzazione.

Le prime preoccupazioni

Il 9 giugno 2011 l’agenzia di stampa federale FENA riportava la notizia che Cecilia Malmström, commissario europeo per gli Affari Interni, illustrando il report della commissione di monitoraggio, avrebbe proposto l’introduzione di  una “clausola di protezione” per consentire la sospensione temporanea del regime di liberalizzazione dei visti in caso di situazioni straordinarie.

Il lancio di agenzia, ripreso dai media bosniaco-erzegovesi suscitava ulteriore frustrazione a fronte di una realtà che già si faceva chiara: il problema del visto è secondario nel momento in cui mancano i soldi per viaggiare, e l’Europa costa. Ulteriore doccia fredda arrivava il 24 giugno, quando il Consiglio europeo chiedeva alla Commissione europea di approntare e porre ai voti la “clausola di protezione”.

Il 7 luglio la Bosnia Erzegovina tirava un sospiro di sollievo, primo fra tutti, il portale Sarajevo-x, pubblicava un appassionato e dettagliato articolo su come il Parlamento europeo respingesse qualunque ipotesi di restrizione del regime di liberalizzazione dei visti in vigore. La motivazione era che secondo tale accordo i singoli Paesi dell’area Schengen già possono apportare misure restrittive alla libera circolazione delle persone, ripristinando i controlli di frontiera in determinate situazioni, dandone comunicazione alla Commissione europea. Il Parlamento concludeva che occorre lavorare perché in futuro queste decisioni non vengano più prese autonomamente dai singoli stati, ma siano concordate in sede europea.

Il caso dei richiedenti asilo

Dopo le vampate di luglio, il problema si è ripresentato, o meglio, è stato risollevato, a settembre, in seguito alle richieste di asilo presentate da cittadini bosniaco-erzegovesi specialmente in Belgio e Svezia. Dnevni Avaz, il più letto (e sensazionalista) quotidiano sarajevese, pubblicava il 28 settembre un articolo dal titolo: “La BiH si avvicina all’Afghanistan per numero di richieste di asilo in Belgio”. Nello stesso periodo, sotto le pressioni della diplomazia belga, Sadik Ahmetović, ministro della Giustizia, visitava i sindaci delle cittadine di Modriča, Gradačac, Vukosavlja i Odžak, investite da un’improvvisa e inaspettata ventata di notorietà. Da queste cittadine sarebbero infatti partiti “ben” 72 richiedenti asilo alla volta del Belgio.

“Mi appello ancora una volta a tutti i cittadini della Bosnia Erzegovina affinché non chiedano asilo nei Paesi dell’Unione europea perché la BiH è considerata un Paese sicuro e richieste di questo genere sono destinate al fallimento” – ha dichiarato il pedante ministro, il cui mandato è scaduto da un anno, ma continua a svolgere le sue funzioni perché la BiH da oltre 12 mesi aspetta la formazione del nuovo governo.

L’Europa è responsabile della crisi delle richieste d’asilo dai Balcani?

A fare luce su una situazione che coinvolge l’intera regione, l’interessante analisi di Gerald Knaus e Alexandra Stiglmayer, fondatori di European Stability Initiative, un think-tank che ha sempre seguito da vicino il processo di liberalizzazione dei visti per i Balcani occidentali.

Nella loro approfondita analisi prima di tutto smontano il teorema della migrazione di massa (semplicemente analizzando i numeri), inoltre rendono evidente come la maggior parte delle persone che hanno chiesto asilo in Germania, Svezia e Belgio siano rom, e che la scelta del luogo non sia casuale. I tre Paesi infatti, rispetto ad altri, storicamente ambiti dai gastarbeiter, hanno delle procedure di analisi della domanda di asilo particolarmente lunghe (da 2 a 5 mesi) e offrono ai richiedenti “buone” condizioni di mantenimento per tutta la durata della procedura. La richiesta di asilo nel Paese giusto sarebbe dunque “una vacanza gratis nella zona Schengen”.

Gli autori spiegano come la soluzione al problema sia molto più semplice di quanto si pensi. Anziché agire in maniera restrittiva sui controlli in frontiera, sarebbe sufficiente ridurre i tempi di attesa per le richieste di visto. Basterebbe includere i Paesi dello Schengen bianco nella lista dei “Paesi di origine sicuri”, in questo modo, senza precludere il diritto a ricevere asilo quando ce ne siano le condizioni, si accorcerebbero notevolmente i tempi di evasione della pratica. Il punto sembra essere se l’Europa sia pronta a concedere il marchio DOC ai cittadini dei Balcani.

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