Bosnia Erzegovina: moratoria sulle minicentrali idroelettriche
Il parlamento della Bosnia Erzegovina ha adottato una moratoria sulla costruzione di nuove minicentrali idroelettriche. Varrà solo per la Federazione e non per la Republika Srpska e gli ambientalisti del paese gioiscono con riserva
Dopo anni di lotta e resistenza contro l’ondata di impianti idroelettrici che da decenni minacciano gli ultimi fiumi incontaminati d’Europa, in Bosnia Erzegovina è arrivata una decisione storica. Il 24 giugno 2020 il parlamento ha infatti adottato una dichiarazione sulla protezione dei fiumi e a maggioranza ha votato una conclusione in merito al divieto assoluto di costruzione di piccole centrali idroelettriche nel territorio della Federazione – la decisione infatti non risulta vincolante per l’entità Republika Srpska dove attualmente numerose centrali idroelettriche sono in fase di progettazione, preparazione e costruzione – lasciando tre mesi di tempo al governo per analizzare e proporre cambiamenti legislativi. Questo significherà che non verranno concesse nuove autorizzazioni, che molti progetti attualmente sprovvisti delle autorizzazioni necessarie verranno annullati e che quelli in atto saranno sottoposti ad un attento scrutinio da parte delle autorità competenti.
La decisione del parlamento si è basata sulle conclusioni e raccomandazioni della Dichiarazione sulla protezione dei fiumi dei Balcani occidentali adottata a novembre 2019 in una conferenza organizzata da Arnika (Repubblica Ceca), dal Centro per l’ambiente e dal WWF Adria avvenuta grazie al sostegno finanziario dell’Unione Europea, del Programma di transizione della Repubblica Ceca, del Global Greengrants Fund e della Fondazione Heinrich-Böll. Questo costituisce senz’altro un passo avanti anche per quanto riguarda la Strategia per la biodiversità nell’ambito del Green Deal europeo che prevede l’espansione delle aree protette ad almeno il 30% delle terre e dei mari europei, nonché un approccio di ripristino di almeno 25.000 chilometri di fiumi, il che assume senso solo se la distruzione dei fiumi viene fermata.
Esperienze precedenti, però, insegnano ad affrontare l’atto del più alto organo legislativo bosniaco con cautela, soprattutto in periodi pre-elettorali. Già nel 2017 infatti il parlamento aveva chiesto risolutamente al ministero federale dell’Ambiente e del Turismo di adottare una serie di misure concrete in difesa dell’ambiente ma fino ad oggi non è stato adottato alcun provvedimento neanche in merito ad un’altra piaga che interessa i cittadini bosniaci: l’inquinamento dell’aria che di anno in anno peggiora e sempre più spesso porta ad un vero stato di emergenza per la salute della cittadinanza.
Il fatto che questo sia un anno elettorale mette in allerta la società civile sulla credibilità della risoluzione che potrebbe rivelarsi una mossa elettorale. I partiti, sia di opposizione che di governo, consapevoli che molti dei loro consiglieri e alti funzionari hanno avuto un ruolo decisivo nella distruzione dei fiumi, temono infatti la perdita di consenso in tutti quei comuni che si sono ribellati.
Negli ultimi due decenni l’intera regione dei Balcani ha vissuto un’ondata di progetti idroelettrici fatti passare all’opinione pubblica come una risorsa e un’occasione per creare nuovi posti di lavoro. La realtà è che ad oggi non vi è nessun bisogno strategico di elettricità e che la Bosnia produce già più elettricità di quanta ne consumi. I soli beneficiari di qusta situazione sembrerebbero essere gli investitori e una cerchia ristretta di persone legate alle autorità e agli ambienti di partito.
Secondo uno dei rapporti più recenti il 37% di questi progetti riguarda aree protette e ciò significa non solo una minaccia per gli ultimi fiumi a flusso libero in Europa, ma anche per la ricca biodiversità che li caratterizza. Basti pensare che il letto blu dei Balcani ospita ben 69 specie ittiche non presenti in nessun’altra parte del mondo e che il 40% di tutte le specie di molluschi d’acqua dolce d’Europa, minacciate di estinzione, vive nei fiumi e nei laghi dei Balcani. Considerando che in Bosnia Erzegovina, ad oggi, sono stati identificati 345 progetti (costruiti o pianificati) e di questi 84 sono collocati in aree protette la situazione risulta ancora più allarmante.
Il problema alla base di questa distruzione è la classificazione ampiamente accettata e fuorviante dell’energia idroelettrica come "energia verde" a causa del fatto che si basa sull’energia cinetica del ciclo naturale dell’acqua per generare elettricità. Al contrario, sono ormai numerosi gli studi che hanno stabilito il dannoso impatto ambientale dell’energia idroelettrica tra cui il drenaggio di piccoli fiumi, la perdita di acqua potabile, l’elevata emissione di metano e le molteplici conseguenze sulla flora e sulla fauna che circonda i corsi d’acqua. A pagarne le spese non è solo l’ambiente ma anche tutte quelle comunità la cui vita sociale e lavorativa ruota intorno ai fiumi.
Questa vittoria non sarebbe stata possibile senza la lotta instancabile di persone che per decenni sono state escluse dai processi decisionali e privati del diritto di esprimersi in modo democratico su questi progetti. Molto spesso, infatti, queste decisioni vengono prese a porte chiuse in ambienti corrotti dove gli interessi politici e di profitto prevalgono su quelli delle comunità.
Nonostante tutto, negli ultimi anni si è assistito ad un crescente fermento dal basso di attivisti che hanno difeso con i loro corpi e con tutti i mezzi disponibili i corsi d’acqua che per molte comunità oltre ad essere una fonte di sostentamento essenziale sono portatori di un immenso valore simbolico e affettivo.
Simbolica da questo punto di vista è stata la lotta delle donne coraggiose di Kruščica che, dal 2 agosto 2017 quando il primo camion ha tentato di raggiungere il cantiere dedicato alla costruzione di due dighe sull’omonimo fiume, sono diventate le guardiane del fiume 24 ore al giorno per più di un anno. Spesso, nei Balcani, si tende ad etichettare ed accusare di passività la società civile, ma la battaglia delle donne di Kruščica dimostra il contrario ed è parte di un movimento molto più ampio. L’estrattivismo di stampo capitalista e lo spossessamento nella regione stanno infatti andando incontro ad una sempre più sentita e mobilitante lotta per i beni comuni che non si esaurisce nella mera difesa delle risorse ma bensì ha dimostrato in diverse occasioni l’enorme potenziale di mettere in questione un sistema politico e sociale corrotto e disinteressato al benessere della collettività.
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