Bosnia Erzegovina: le Entità non possono staccare la spina
Un’analisi dell’attualità bosniaca a partire da una comparazione, a livello internazionale, con altri sistemi federali
Il federalismo, per sua stessa natura, è un fenomeno dinamico. Idealmente è basato su un patto iniziale (“foedus”, termine latino da cui deriva la parola federalismo) tra partner eguali (eguali per legge, ma raramente in pratica) il cui scopo è quello di mantenere l’autonomia nella gestione di alcuni ambiti e, al contempo, di portare avanti insieme altre politiche all’interno di una cornice comune in cui tutti i partner hanno voce in capitolo nel processo decisionale. Da qui la breve formula coniata da Daniel Elazar: “autogoverno” (delle unità subnazionali o costituenti) in combinazione con “governo condiviso” (istituzioni statali). Questa è l’essenza stessa dei sistemi federali.
Le entità asimmetriche
Volendo andare più nel dettaglio, va osservato che, in realtà, i sistemi federali possono essere (e sono) molto diversi tra loro. Alcuni sono assai semplici, composti da unità federali simmetriche che hanno la stessa organizzazione e gli stessi poteri (come negli Stati Uniti o in Germania). Altri invece sono composti da unità molto differenti, asimmetriche nella loro organizzazione e nelle loro competenze. In Bosnia Erzegovina, la combinazione di due fattori – quali l’asimmetria tra le due Entità di cui è costituito il paese per quanto riguarda la loro struttura interna (unitaria in Republika Srpska, cantonale nella Federazione BiH) e un sistema di condivisione del potere caratterizzato dalla compresenza di elementi federali, territoriali ed etnici – ha determinato la creazione di un sistema altamente complesso.
Il federalismo, come sistema, funziona. L’autonomia delle unità che compongono uno stato federale deve essere controbilanciata dalla loro integrazione. Autogoverno e governo condiviso. Altrimenti il sistema non può funzionare. Questo vale anche per i sistemi in cui le unità federali e il governo federale sono separati e operano in parallelo, come negli Stati Uniti. Come emerso durante la crisi provocata dal coronavirus, la cooperazione e la coordinazione tra i vari livelli di governo sono necessarie. Se vuole sconfiggere la pandemia, nessun sistema federale può permettersi che gli stati che lo compongono si isolino o che il presidente imponga un regime autoritario.
Affinché un sistema federale possa funzionare è innanzitutto necessario che tutte le unità di cui è costituito diventino consapevoli di essere parte integrante di un sistema più ampio. Ciò significa che ogni parte del sistema deve adempiere al proprio ruolo e ai propri compiti. In un sistema federale democratico il ruolo e i compiti di ogni parte vengono stabiliti da un accordo fondamentale, ossia dalla Costituzione. In molti sistemi federali (e regionali), come anche nell’Unione europea, vige una regola non scritta, il cosiddetto principio di lealtà federale (Bundestreue), da cui derivano i doveri complementari riguardanti alcune situazioni non esplicitamente previste dalla Costituzione. L’essenza di questo principio risiede nel fatto che nessuna unità federale può agire in modo da danneggiare altre unità o lo stato. È una strada a doppio senso, il che significa che anche lo stato deve agire in modo da non danneggiare le singole unità. Quindi, il sistema, pur essendo articolato in varie unità autonome, funziona come un insieme, garantendo la cooperazione e la coordinazione, ma anche il rispetto delle competenze.
Al fine di garantire la chiarezza e la certezza del diritto, in ogni sistema federale la ripartizione delle competenze è stabilita dalla Costituzione. L’autonomia, ossia l’autogoverno delle unità deve essere garantito e rispettato. Allo stesso modo, anche i poteri federali devono essere garantiti. Tuttavia, la lista delle competenze non è mai statica, non è mai definita una volta per tutte. Ogni sistema deve saper adattarsi alle mutevoli condizioni economiche, demografiche, interne ed esterne, imprevedibili, o solo parzialmente prevedibili, al momento del raggiungimento dell’accordo iniziale sancito della Costituzione.
Nei sistemi federali, la necessità di maggiore flessibilità di solito viene soddisfatta con alcune clausole specifiche riguardanti l’assetto delle competenze, come la cosiddetta clausola dei poteri impliciti negli Stati Uniti secondo cui il Congresso degli Stati Uniti può approvare leggi federali nel caso ciò dovesse risultare “necessario e opportuno”, nonostante tale potere non sia esplicitamente sancito dalla Costituzione. Anche in questo caso però, affinché il sistema funzioni in modo adeguato è necessario che il governo eserciti i poteri impliciti. Nell’Unione europea il principio di sussidiarietà garantisce un certo livello di flessibilità, spostando l’esercizio di alcune competenze dagli stati membri in capo all’UE nel caso in cui le azioni intraprese a livello degli stati membri non fossero sufficienti per garantire il raggiungimento dei risultati ugualmente efficaci. Naturalmente, gli stati membri sono coinvolti nel processo decisionale riguardante l’esercizio delle competenze, sia attraverso le istituzioni europee (in primis il Consiglio dell’UE) sia attraverso i parlamenti nazionali (nell’ambito della procedura di consultazione preliminare).
Un altro strumento utilizzato per rendere l’esercizio delle competenze più flessibile sono i trattati statali, ossia gli accordi sottoscritti tra varie unità federali o tra le unità federali da un lato e il governo federale dall’altro. Tali accordi esistono e vengono spesso utilizzati nei sistemi federali come quello svizzero, austriaco o tedesco. Si tratta di strumenti di auto-coordinamento, volti ad evitare il trasferimento dei poteri al livello federale, preservando così l’autonomia delle unità che si coordinano tra loro. Talvolta però vengono utilizzati per creare istituzioni a livello federale, come nel caso del primo canale televisivo “nazionale” in Germania (ARD), che è in realtà un’istituzione basata su un accordo, raggiunto tra gli stati federati della Germania, sulla creazione di un’unica rete di diffusione nazionale composta da emittenti televisive regionali.
In Bosnia Erzegovina la possibilità di trasferire alcune competenze dalle entità allo stato è prevista dalla Costituzione di Dayton, come uno strumento di flessibilità, ancorato al principio di sussidiarietà. Con la firma dell’accordo di trasferimento le due entità accettano di rinunciare definitivamente ad alcune competenze che quindi possono essere esercitate dallo stato bosniaco-erzegovese. Tale possibilità è esplicitamente prevista dall’articolo 3, paragrafo 5 della Costituzione della Bosnia Erzegovina (nella sua versione originale contenuta nell’Annesso IV dell’Accordo di pace di Dayton).
In passato, l’Alto rappresentante per la Bosnia Erzegovina a più riprese ha promosso i negoziati sugli accordi di trasferimento dei poteri, ad esempio nel settore della difesa e in quello della giustizia, riguardo alla normativa sull’imposta sul valore aggiunto, etc. L’obiettivo della prima riforma del sistema giudiziario era quello di rendere più funzionale il paese creando un tribunale competente a livello nazionale e un ufficio del pubblico ministero, anch’esso competente a livello nazionale, incaricato di indagare su crimini particolarmente gravi, compresi i crimini di guerra, nonché abolendo i consigli della magistratura delle due entità per sostituirli con il Consiglio superiore della magistratura, responsabile di tutti e quattro i sistemi giudiziari presenti in Bosnia Erzegovina.
Nel marzo 2004 la Federazione BiH e la Republika Srpska raggiunsero un accordo, fornendo così la base per la creazione del Consiglio superiore della magistratura, istituito con la Legge sul Consiglio superiore della magistratura approvata dall’Assemblea parlamentare della BiH allo scopo di garantire l’indipendenza, l’imparzialità e la professionalità della magistratura bosniaco-erzegovese. La costituzionalità della Legge sul Consiglio superiore della magistratura fu confermata dalla Corte costituzionale della Bosnia Erzegovina nel 2009.
La questione della riforma costituzionale
Dal momento che in Bosnia Erzegovina ormai è stato creato un apparato istituzionale permanente a livello centrale, un accordo di trasferimento delle competenze come quello di cui sopra non può essere sciolto unilateralmente né con breve preavviso. Non è prevista alcuna data di scadenza o procedura di revoca né nella Costituzione né nell’accordo stesso. Qualora un’entità volesse comunque recedere dall’accordo, dovrebbe essere avviato un processo negoziale allo scopo di trovare una soluzione amichevole che però tenga conto dei possibili effetti dall’annullamento dell’accordo sul sistema nel suo insieme. Un’entità non può in nessun caso semplicemente “staccare la spina”, dopo quindici anni di applicazione dell’accordo, senza prendere in considerazione le conseguenze di tale azione sugli altri sistemi giudiziari presenti nel paese e sullo stato nel suo complesso. La certezza del diritto e la tutela della fiducia richiedono azioni responsabili, soprattutto nel settore della giustizia, ma anche in altri settori delicati, come quello della difesa e quello fiscale, dove c’è in ballo la tenuta dello stato e dell’intero sistema.
Da un punto di vista prettamente politico, è possibile chiedere la restituzione delle competenze trasferite allo stato. Sul versante giuridico, tale tentativo può tradursi solo nella richiesta di annullamento dell’accordo e di modifica o abrogazione della relativa legge da parte dell’Assemblea parlamentare della BiH. La Costituzione della Bosnia Erzegovina non prevede la possibilità per le due entità di procedere unilateralmente su questa questione senza prendere in considerazione le conseguenze delle proprie azioni sul sistema nel suo complesso. Un’eventuale modifica costituzionale potrebbe fare chiarezza su questa problematica, ma l’approvazione di tale modifica richiede un ampio consenso, ed è proprio qui che risiede il senso delle garanzie costituzionali. Se invece dovesse essere avanzata unilateralmente, ignorando il contesto più ampio, la richiesta politica di ripristino delle competenze, resterebbe al di fuori del quadro costituzionale.
Ad ogni modo, ogni tentativo di motivare e ma anche di valutare una richiesta (politica) di ripristino delle competenze trasferite allo stato dovrebbe essere guidato in primo luogo da una riflessione sulla possibilità che tale ripristino possa costituire un valore aggiunto in termini di funzionalità: può il ripristino di alcune competenze contribuire a migliorare il funzionamento della giustizia, del sistema fiscale e di altri settori? D’altra parte, non vi è dubbio che un eventuale ripristino delle competenze inciderebbe negativamente sul processo di integrazione europea della Bosnia Erzegovina, ponendosi in netta contrapposizione con le raccomandazioni avanzate dalla Commissione europea nel suo Parere [sulla domanda di adesione della Bosnia Erzegovina all’UE], nonché con le esperienze degli stati membri. Ogni tale ripristino, specialmente se dovesse essere unilaterale e non accompagnato da proposte alternative volte a migliorare l’intero sistema, sarebbe molto problematico e rappresenterebbe un evidente passo indietro nel percorso della Bosnia Erzegovina verso l’UE.
L’autore
Jens Woelk è professore ordinario di diritto costituzionale comparato presso la Facoltà di Giurisprudenza e presso la Scuola interdisciplinare di studi internazionali dell’Università di Trento (Italia). Lavora anche presso l’Istituto di studi federali comparati dell’Accademia europea (EURAC) di Bolzano. Nei Balcani occidentali ha partecipato a vari progetti e missioni come esperto dell’UE e del Consiglio d’Europa, nonché come esperto legale internazionale presso il Consiglio superiore della magistratura della Bosnia Erzegovina (Sarajevo, 2018-2019), occupandosi delle questioni riguardanti il processo di integrazione europea.
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