Bosnia Erzegovina: la festa della discordia
La Corte Costituzionale della Bosnia Erzegovina ha dichiarato incostituzionale la data del 9 gennaio come festa nazionale della Republika Srpska (RS), l’entità del paese a maggioranza serbo bosniaca. Il presidente della RS, Milorad Dodik, minaccia un referendum contro la decisione dei giudici
Bakir Izetbegović, membro bosgnacco della presidenza collettiva del paese, aveva chiesto alla Corte Costituzionale della Bosnia Erzegovina nel 2013 di annullare il giorno scelto dalle autorità serbo-bosniache come festa nazionale della Republika Srpska. Tale giorno (il Dan Republike) riveste un duplice significato. Secondo il calendario giuliano, il 9 gennaio è il giorno di Santo Stefano, santo patrono dell’entità a maggioranza serbo-bosniaca, ma il 9 gennaio è anche il giorno in cui, nel 1992, poche settimane prima dell’inizio della guerra, l’autoproclamata assemblea serbo-bosniaca proclamò la Repubblica Serba di Bosnia Erzegovina.
La festa dell’entità ricorda dunque unicamente le aspirazioni politiche del popolo serbo e, secondo Izetbegović, discrimina bosgnacchi e croati, gli altri due popoli costitutivi della Bosnia Erzegovina secondo la Costituzione del paese. La decisione dei giudici sulla incostituzionalità della festa, tuttavia, viene vista dalla maggior parte delle forze politiche della RS come un attacco all’entità – come già, dieci anni fa, la decisione relativa allo stemma e all’inno della Republika Srpska.
La Corte Costituzionale bosniaco erzegovese ha tentennato a lungo. Nel giugno del 2013, la Corte aveva deciso di chiedere un parere alla Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa. Nel suo parere, la Commissione ha ritenuto che il Giorno della Repubblica víoli il principio di non-discriminazione sia a livello bosniaco che a livello europeo, in base agli standard della Convenzione europea sui diritti dell’uomo.
La decisione della Corte
Il verdetto della Corte (U-3/2013) è arrivato dopo quasi tre anni. L’assemblea della Republika Srpska aveva già fatto sapere, mesi prima della sentenza, che non avrebbe rispettato il verdetto della Corte nel caso i giudici avessero stabilito di cancellare la festa del 9 gennaio. Nel rendere pubblica la propria decisione, la Corte si è premurata di precisare che non si tratta di una sentenza contro una religione o un popolo, ma a favore di una Bosnia Erzegovina multiculturale e multireligiosa.
Come anche in altre decisioni ad alto impatto politico, la Corte si è divisa su linee nazionali. Ai due giudici bosgnacchi, uniti ai tre giudici internazionali, si sono opposti i due giudici serbo-bosniaci ed i due giudici croato-bosniaci. Come successo altre volte in passato, la Corte ha cercato di trovare un compromesso. Lo stesso giorno, infatti, i giudici hanno annunciato di aver rigettato il ricorso di un quarto dei membri del parlamento bosniaco (principalmente del partito bosgnacco SDA) contro una legge che potenzialmente limita i diritti dei rifugiati bosgnacchi nella Republika Srpska (decisione U-5/2015). Con queste due decisioni, una favorevole e l’altra sfavorevole allo SDA di Bakir Izetbegović, la Corte ha cercato di dimostrare la propria imparzialità.
La Corte ha stabilito che la Republika Srpska ha sei mesi per trovare un’altra data per la sua festa nazionale. Ciò vuol dire che in Republika Srpska si potrà comunque festeggiare il 9 gennaio 2016. La Corte ha altresì chiarito che la sentenza sarà pubblicata una volta completata la revisione editoriale e depositate le opinioni separate dei giudici di minoranza.
Le reazioni politiche
Sulla decisione della Corte Costituzionale i politici serbo-bosniaci sono d’accordo: la sentenza va contro gli interessi della RS e non verrà messa in atto. Anche Mladen Ivanić, membro serbo della presidenza bosniaca per il partito PDP e principale oppositore del presidente della RS, Milorad Dodik, ha parlato di sentenza politica. Dodik vuole indire un referendum per chiedere alla popolazione della RS se è favorevole alla decisione della Corte Costituzionale. La consultazione popolare si terrebbe a marzo.
L’Alto Rappresentante della comunità internazionale in Bosnia Erzegovina, Valentin Inzko, al termine di una riunione del Peace Implementation Council (PIC), organismo che riunisce i paesi e le organizzazioni che monitorano il processo di pace nel paese, ha insistito sul fatto che la sentenza va rispettata. Bakir Izetbegović si è detto sicuro che, anche se le autorità serbo-bosniache non rispetteranno la scadenza fissata dalla Corte (6 mesi), la sentenza verrà attuata nel medio o lungo periodo. L’Alto Rappresentante Inzko, come anche il giudice bosniaco alla Corte di Strasburgo, Faris Vehabović, hanno sottolineato che in uno stato di diritto le decisioni della Corte Costituzionale sono da rispettare. Il vice-presidente della Republika Srpska, Razim Salkić (SDA), ha dichiarato che i bosgnacchi sono disponibili ad accordarsi su un’altra data, purché non sia una festa religiosa ortodossa.
Il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, ha parlato di un verdetto politico. Come già in passato, Dodik insiste per l’approvazione di una legge che rimuova i giudici internazionali dalla Corte, minacciando in caso contrario di indire un referendum sulla Corte Costituzionale e di ritirare i propri rappresentanti dalle istituzioni statali. I principali partiti politici croato-bosniaci appoggiano Dodik e chiedono la fine anticipata del mandato dei tre giudici internazionali. La proposta di Dodik è che sei giudici vengano scelti dalla Federacija BiH (l’entità a maggioranza croata e bosgnacca) e tre dalla Republika Srpska.
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