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Bosnia Erzegovina: la crisi di dicembre

Si aggrava il conflitto istituzionale aperto tra Banja Luka e Sarajevo. Gli accesi toni nazionalisti di questi giorni, però, sembrano rivolti a coprire questioni di corruzione, non problemi etnici

23/12/2015, Rodolfo Toè - Sarajevo

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Il lungo braccio di ferro che da mesi sta opponendo il governo della Republika Srpska a quello di Sarajevo ha conosciuto una nuova fase nella prima metà di dicembre, dopo che le autorità di Banja Luka hanno annunciato che avrebbero sospeso la propria collaborazione con la Corte e la Procura della Bosnia Erzegovina, oltre che con la SIPA (State Investigation and Protection Agency), l’agenzia che si occupa della lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata.

Gli arresti a Novi Grad

Bosnia Erzegovina – Mappa OBC

Il 10 dicembre scorso, il ministro degli Interni della RS, Dragan Lukač, ha dichiarato che avrebbe interrotto ogni cooperazione con le autorità giudiziarie di Sarajevo, dopo che la SIPA aveva arrestato cinque persone sospettate di crimini di guerra a Novi Grad, municipalità a pochi chilometri da Prijedor, nel nord-ovest del Paese. Durante l’azione, la SIPA ha perquisito anche una stazione di polizia, oltre che il municipio e un’azienda di proprietà pubblica. Un’azione che, secondo Lukač, "avrebbe violato gli accordi sulla polizia tra il ministero degli Interni della RS e le autorità di Sarajevo", e che sarebbe stata "contraria alla Costituzione".

Nel suo annuncio, cui ha fatto seguito una sessione d’emergenza dell’Assemblea Nazionale (Parlamento) della RS, Lukač sottolineava che il suo ministero avrebbe impedito l’accesso alla polizia nazionale o ai procuratori nazionali a qualsiasi ufficio pubblico della Republika Srpska. Secondo Milorad Dodik, le azioni della SIPA a Novi Grad "avrebbero potuto innescare un conflitto armato; tale conflitto è stato finora evitato soprattutto grazie al nostro senso di responsabilità".

Nonostante i toni bellicosi, l’ennesima levata di scudi a Banja Luka è stata risolta dopo un incontro tra Lukač, il suo omologo a livello nazionale, Dragan Mektić, e il direttore della SIPA, Perica Stanić, cui ha fatto seguito un nuovo accordo (firmato venerdì scorso) tra il ministro degli Interni della RS e la SIPA, che dovrebbe regolare i loro futuri rapporti.

Nazionalismo e corruzione

Nel contesto di questo prolungato conflitto tra il governo della Republika Srpska e le autorità giudiziarie e di sicurezza bosniache, questo episodio è soltanto l’ultimo di una crisi che si trascina ininterrottamente dalle elezioni dell’ottobre del 2014, da quando – cioè – il partito di Milorad Dodik (SNSD) è stato escluso dal governo centrale, nel quale invece ha fatto il proprio ingresso l’Alleanza per il cambiamento (Savez za promjene), formazione che raggruppa i principali partiti di opposizione della Republika Srpska, e che è riuscita anche a imporre il proprio candidato (Mladen Ivanić) al posto di membro serbo della Presidenza del Paese.

"Era facile prevedere che la crisi tra la Republika Srpska e il governo centrale avrebbe seguito la dinamica attuale", spiega ad OBC Srdjan Puhalo, politologo e opinionista di Banja Luka. Già un anno fa, Puhalo aveva previsto che la tensione tra le agenzie di polizia statali e la RS sarebbe cresciuta, soprattutto dopo che il direttore della SIPA non è più Goran Zubac, ma Perica Stanić. Stanić, che è stato nominato nel novembre scorso, è considerato una persona vicina al principale partito di opposizione della RS, il partito democratico serbo (SDS).

"Al momento, la strategia che sta mettendo in atto Dodik ha tre obiettivi. Vuole dimostrare ancora una volta che la Bosnia Erzegovina è uno stato disfunzionale, rendendo più accettabili agli occhi dell’opinione pubblica le proprie reiterate proposte di organizzare dei referendum per mettere in discussione l’autorità di Sarajevo. Inoltre, acutizzando la crisi tra la Republika Srpska e il resto del Paese, distrae il pubblico da problemi più importanti all’interno dell’entità, rendendogli più facile il compito di governarla. Infine", conclude Puhalo, "è molto probabile che attraverso questi attacchi Dodik stia cercando di proteggersi da un eventuale arresto con l’accusa di corruzione, che gli è stata mossa dall’opposizione".

Secondo un’altra politologa di Banja Luka, Tanja Topić, Dodik ha sfruttato l’attuale crisi per rinforzare il proprio governo sull’entità, soprattutto dopo che la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale la festa della Republika Srpska alla fine di novembre.

"In questo momento, nell’entità il dibattito politico ruota quotidianamente attorno a due grandi narrazioni", ha spiegato Topić a OBC. "Da una parte abbiamo la retorica di governo, con la quale l’SNSD cerca di rassicurare gli elettori che tutto va bene, e cerca di bollare ogni critica come un tentativo di distruggere la Republika Srpska, squalificando l’opposizione e accusandola di essere ‘dalla parte di Sarajevo’. Dall’altra parte, però, l’SDS già da mesi sta accusando il vertice dell’entità di essere coinvolto in scandali relativi a casi di corruzione e privatizzazioni fraudolente. Intendiamoci, sono questioni che devono ancora essere provate", continua Topić, "ma hanno un grande peso sui cittadini dell’entità. Prima della sentenza della Corte, Dodik si trovava con le spalle al muro, continuava a perdere consensi. Ma poi ha saputo sfruttare la sentenza per ricompattare l’opinione pubblica dell’entità a suo favore, giocando con i sentimenti nazionali. A mio parere", conclude l’analista, "Dodik però ha fatto un passo falso interrompendo la cooperazione con la SIPA la settimana scorsa. Perché in molti, in RS, hanno cominciato a chiedersi se per l’appunto questa non sia semplicemente una mossa per scansare degli eventuali processi a suo carico".

Banche, ville e processi

In effetti, gli ultimi risvolti del conflitto che vede coinvolti Milorad Dodik e il leader dell’SDS, Mladen Bosić, lasciano intuire una singolare tempistica tra le posizioni assunte dal presidente dell’entità contro Sarajevo e, dall’altra parte, le accuse rivoltegli dall’opposizione. Il 18 novembre scorso, appena due settimane dopo la nomina di Perica Stanić alla guida della SIPA, uomini dell’agenzia facevano irruzione nella sede della Pavlovic Banka, a Bijeljina. Lo stesso giorno, Bosić accusava Dodik di avere ottenuto dall’istituto un prestito illegale di circa 750mila euro, con il quale avrebbe acquistato una villa a Belgrado nel 2008.

Nonostante le due azioni non siano state ufficialmente collegate, in molti hanno ravvisato nella loro concomitanza un segno che la giustizia bosniaca sarebbe pronta a muovere delle accuse concrete nei confronti del leader dell’SNSD. La settimana scorsa un’importante network regionale affiliato alla CNN, N1, aveva anche riferito la notizia che la Procura della Bosnia Erzegovina starebbe formalmente indagando su Dodik. Indiscrezioni immediatamente smentite dalla stessa Procura, ma che sembrano confermare quanto già OBC aveva scritto in estate, all’epoca del crack della Bobar Banka: la lunga battaglia di Dodik contro il sistema giudiziario bosniaco potrebbe servire, più che a difendere l’autonomia della Republika Srpska, a difendere se stesso da accuse pesantissime.

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