Bosnia Erzegovina, giovani e Covid 19
Ad Ivona, 28 anni, la pandemia ha condizionato drasticamente la vita. Anche a molti altri giovani in Bosnia Erzegovina. Voglia di lavorare, ricerca di diritti civili e spettro emigrazione: il loro sguardo sul futuro
Se non ci fosse stata la pandemia, la ventottenne Ivona Kukić di Zenica oggi probabilmente vivrebbe a Lubiana e frequenterebbe in presenza un corso di dottorato di ricerca in anglistica. A causa della pandemia è stata però costretta a seguire le lezioni da casa. Oltre alla didattica a distanza, nell’ultimo anno e mezzo Ivona ha esplorato anche altre opportunità formative, lavorative e di impegno civico. Pur non avendo avuto esperienza pregressa in ambito giornalistico, l’anno scorso aveva deciso di unirsi alla redazione di RadiYo Active di Zenica, la prima radio “comunitaria” bosniaco-erzegovese con programmi interamente ideati e realizzati da bambini e giovani. Dopo aver conseguito ben due lauree magistrali (in lingua e letteratura inglese e in storia dell’arte), Ivona per quattro mesi aveva cercato invano un lavoro che corrispondesse alle sue qualifiche, prima di decidere di unirsi all’associazione giovanile “Naša djeca” [I nostri bambini] che gestisce RadiYo Active.
“Meno di un mese dopo che avevo preso quella decisione scoppiò la pandemia e a Zenica si registrarono i primi casi di coronavirus”, ricorda Ivona. “Dal momento dell’introduzione del primo lockdown, che fu anche il più severo, tutto iniziò ad apparire surreale”.
Le misure anti contagio avevano scombussolato la vita di Ivona e dei suoi amici, ma tutto sommato avevano sopportato bene il lockdown, riuscendo anche a incontrarsi, cercando così di ridurre il senso di isolamento e di solitudine. Per Ivona il periodo del lockdown fu anche un’opportunità per ripensare il rapporto con i suoi genitori e con sua sorella con i quali vive tuttora.
“Alla mia età non è per nulla facile accettare il fatto di dover vivere ancora con i genitori, e [durante il lockdown] fu davvero difficile trascorrere così tanto tempo con loro. Noi quattro, tutti adulti, ognuno con i propri problemi, sbattevamo l’uno contro l’altro in continuazione, spostandoci da una stanza all’altra. Mi mancava l’aria fresca, mi mancavano le passeggiate notturne, mi mancava la possibilità di uscire in qualsiasi momento”, spiega Ivona, aggiungendo che il sentimento più difficile da sopportare fu la paura.
“Hai paura di contagiarti, hai paura di contagiare i tuoi genitori o una signora ottantenne che vive nell’appartamento accanto, o la donna che sta dietro di te in coda alla cassa. Non volevo essere responsabile della morte di qualcuno. Avevo paura di viaggiare, avevo paura di trasferirmi in un’altra città dove mi ero iscritta all’università perché tutto era incerto. Nuove misure potevano essere introdotte in qualsiasi momento e quindi se fossi andata all’estero avrei rischiato di rimanere bloccata lontano dal mio ambiente. Mi era difficile anche guardare le immagini che giungevano dalla Cina e dall’Italia. Sentivo che eravamo tutti sulla stessa barca, eravamo tutti alle prese con lo stesso problema, e a volte mi commuovevo di fronte alla solidarietà, al senso di comunità e di umanità”.
Sempre più giovani vogliono andarsene dalla Bosnia Erzegovina
Stando ai dati emersi da una ricerca sull’emigrazione dei giovani bosniaco-erzegovesi, pubblicata nell’agosto di quest’anno dal Fondo delle Nazioni unite per la popolazione (UNFPA), quasi un giovane su quattro sta prendendo seriamente in considerazione l’idea di andarsene definitivamente dalla Bosnia Erzegovina, mentre più del 20% dei giovani sta valutando la possibilità di trasferirsi all’estero per un certo periodo.
“Circa il 60% di quelli che desiderano lasciare il paese riflette spesso sul tema dell’emigrazione e il loro desiderio di emigrare è notevolmente aumentato durante la pandemia da Covid-19”, si legge nello studio dell’UNFPA .
Jasmin Hasić, uno degli autori della ricerca, ha spiegato che in Bosnia Erzegovina il tasso di partecipazione dei giovani al mercato del lavoro resta molto basso e che il sistema di istruzione e di formazione professionale è inadeguato a garantire ai giovani anche solo una minima possibilità di trovare un lavoro soddisfacente una volta conclusi gli studi.
Dalla ricerca pubblicata dall’UNFPA è emerso inoltre che i giovani in Bosnia Erzegovina sono perlopiù insoddisfatti del contesto in cui vivono: un terzo dei giovani intervistati si è detto insoddisfatto dei servizi pubblici, ritenendoli poco accessibili e inadeguati a soddisfare le esigenze dei cittadini, mentre oltre il 40% dei giovani crede che in Bosnia Erzegovina le tensioni interetniche siano destinate ad acuirsi. Inoltre, la stragrande maggioranza dei giovani non vede alcun miglioramento della qualità di vita nella loro area di residenza, e alcuni di loro ritengono che il tenore di vita sia persino peggiorato.
A causa della pandemia e delle limitazioni imposte alla libertà di movimento, molti giovani bosniaco-erzegovesi, come Ivona Kukić, hanno deciso di rinunciare temporaneamente all’idea di trasferirsi all’estero, cercando nel frattempo di capire quale sia la strada migliore da intraprendere.
Stando ad una recente analisi pubblicata dall’ufficio dell’Onu in Bosnia Erzegovina, le conseguenze socio-economiche della pandemia “probabilmente incideranno sulla coesione sociale [in BiH], portando all’acuirsi delle disuguaglianze, all’aumento delle tensioni, e forse anche all’esplosione del malcontento di alcuni gruppi sociali”. Secondo gli autori dello studio, la crisi provocata dal Covid-19 “esacerberà disuguaglianze economiche e fragilità già esistenti”.
“Il divario economico è uno dei motivi che spinge le persone ad emigrare e l’emigrazione è il problema sociale più urgente da affrontare. Tra i cittadini bosniaco-erzegovesi è diffusa la percezione che l’emigrazione dei giovani finisca per relegare le aree abbandonate in un circolo vizioso di sottosviluppo. Anche se il Covid-19 dovesse rallentare l’emigrazione, questa questione sicuramente riemergerà a causa dei problemi strutturali della Bosnia Erzegovina”, si legge nel rapporto dell’Onu.
Secondo uno studio sull’impatto della pandemia da Covid-19 sui giovani attivisti in Bosnia Erzegovina, pubblicata l’anno scorso dalla Fondazione Mozaik e dall’Istituto KULT, oltre il 20% degli intervistati ha perso il lavoro durante la prima ondata della pandemia (alcuni sono rimasti temporaneamente senza lavoro, altri invece sono stati licenziati). Per quanto riguarda la scuola, oltre il 30% dei giovani intervistati ha dichiarato che durante la pandemia la qualità della didattica è decisamente peggiorata e più o meno la stessa percentuale ha affermato di aver perso la voglia di studiare.
“L’impossibilità di trovare un lavoro adeguato è il timore prevalente legato alla pandemia, indicato da circa il 37% dei giovani. Seguono il timore di non riuscire a diventare economicamente indipendenti, la paura di non riuscire a proseguire gli studi intrapresi, ma anche di non poter creare una famiglia e di non riuscire a iniziare un percorso di studi già pianificato”, si afferma nella ricerca.
Katarina Vučković dell’Istituto KULT spiega che la pandemia ha esacerbato i problemi con cui si confrontano i giovani in Bosnia Erzegovina, aggiungendo che negli ultimi anni le priorità dei giovani sono cambiate, per cui molti vanno all’estero non solo in cerca di un lavoro ma anche di una prospettiva di vita più stabile che permetta loro di far valere i propri diritti civili.
“Secondo quanto emerso da una ricerca sulle esigenze e sulla condizione dei giovani in BiH che abbiamo realizzato quest’anno, i giovani si aspettano che nei prossimi cinque anni il governo affronti innanzitutto i problemi legati all’occupazione, all’istruzione e alla sanità pubblica, e solo in secondo luogo quelli riguardanti la sicurezza e la gestione dei flussi migratori nel contesto dell’emigrazione dei cittadini bosniaco-erzegovesi. Questa lista delle priorità che i giovani hanno fissato per il governo dimostra che la disoccupazione resta un grande problema, e la pandemia non ha fatto altro che esacerbarlo”, afferma Katarina Vučković.
Salute mentale
L’impatto della pandemia sulla salute mentale di bambini e giovani potrebbe farsi sentire per molti anni a venire, aggravando così le problematiche legate alla salute mentale che anche prima della pandemia non venivano affrontate in modo adeguato da parte delle istituzioni. È quanto emerge da un recente rapporto dell’UNICEF secondo cui un giovane su cinque tra i 15 e i 24 anni spesso si sente depresso o completamente disinteressato e con il perdurare della pandemia le conseguenze sulla salute mentale dei giovani sono destinate a moltiplicarsi.
“A livello globale, almeno un bambino su sette è stato direttamente interessato dalle misure di quarantena e dalle restrizioni alla libertà di movimento, mentre 1,6 miliardi di bambini hanno subito varie conseguenze riguardanti l’istruzione. L’interruzione della routine quotidiana, dell’istruzione e delle attività ricreative, così come la preoccupazione per la condizione economica e la salute della famiglia, hanno reso molti giovani spaventati, arrabbiati e preoccupati per il proprio futuro”, si legge nel rapporto UNICEF.
Ad oggi in Bosnia Erzegovina non è stata condotta alcuna ricerca approfondita sulle conseguenze della pandemia sulla salute psicofisica dei giovani. Gli unici dati disponibili sono quelli emersi dal sondaggio di cui sopra, realizzato dall’Istituto KULT, secondo cui quasi il 40% dei giovani si è sentito stressato a causa del clima generale durante la pandemia, mentre il 30% ha fatto fatica ad adattarsi alle misure di contenimento dell’emergenza sanitaria.
“Oggi non ho più tanta voglia di uscire la sera come prima. Invece di stare in un ambiente chiuso, pieno di persone, preferisco fare una passeggiata, stare a casa o andare in redazione. Tendo a privilegiare occasioni di socializzazione più intime e tranquille”, afferma Ivona Kukić.
Per quanto riguarda la didattica a distanza, Ivona si dice soddisfatta della qualità delle lezioni seguite, aggiungendo però che non è stato facile fare del proprio meglio e rispettare le scadenze nella consegna dei lavori perché tutto si è svolto online.
“I miei amici che studiano in Bosnia Erzegovina hanno incontrato problemi ancora maggiori perché l’adattamento alla didattica a distanza ha richiesto molto tempo. Durante la pandemia sia gli insegnati che gli studenti hanno lavorato meno. C’è stata molta confusione e i miei amici ritengono che la qualità delle lezioni sia drasticamente diminuita”, spiega Ivona.
Guardando indietro all’ultimo anno e mezzo, Ivona afferma che la pandemia le ha dato anche l’opportunità di riflettere sul proprio futuro, di allenare la pazienza, di conoscere meglio se stessa e di migliorare i rapporti con i suoi familiari.
“Sono sicura che, se non ci fosse stata la pandemia, sarei andata a Lubiana e vi sarei rimasta a vivere e studiare, arricchendomi di nuove esperienze, conoscenze, avventure. Tuttavia, continuo a chiedermi: se l’intero mondo non si fosse fermato a causa della pandemia, sarei riuscita a trovare un vero lavoro? In Bosnia Erzegovina forse no, ma all’estero sicuramente avrei avuto maggiori possibilità”.
Questo articolo è stato pubblicato con il sostegno di Central European Initiative – Executive Secretariat
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