Bosnia Erzegovina: è tempo di impegnarsi in difesa dei valori antifascisti
Sead Đulić è presidente dell’Unione degli antifascisti e combattenti della guerra popolare di liberazione. Un’intervista – dopo l’ennesima devastazione del Cimitero dei partigiani di Mostar – in cui si ragiona sul futuro della Bosnia Erzegovina
(Originariamente pubblicato dal quotidiano Oslobođenje, il 4 luglio 2022)
Partiamo inevitabilmente dalla recente devastazione del Cimitero dei partigiani di Mostar. Mi concentrerei innanzitutto su quello che dovrebbe essere l’aspetto meno problematico dell’intera vicenda, ossia sulla questione dei soldi necessari per ricostruire il complesso memoriale distrutto. Lei cosa pensa dell’iniziativa di Denis Zvizdić [vice presidente della Camera dei rappresentanti dell’Assemblea parlamentare della Bosnia Erzegovina], il quale ha presentato alla Camera dei rappresentanti una mozione con cui si chiede al Consiglio dei ministri della BiH di stanziare 200mila marchi [circa 100mila euro] per la ricostruzione del cimitero?
Tendo ad osservare questa questione da una duplice prospettiva. Da un lato è bello vedere che qualcuno vuole aiutare e, come recita un vecchio proverbio popolare, a caval donato non si guarda in bocca. Trovo però ipocrita l’atteggiamento di quelli che ora fanno a gara nel lanciare iniziative per contribuire alla ricostruzione del Cimitero dei partigiani, continuando al contempo a passeggiare per le vie di Sarajevo, alcuni anche vivono a Sarajevo, dove il parco memoriale di Vraca versa ormai da anni in condizioni simili a quelle in cui è stato ridotto il complesso di Mostar. Quindi, anche a Sarajevo, dove i politici che sono al potere ormai da 25-30 anni incidono su tutti gli aspetti della vita quotidiana, e dove potevano, e possono ancora fare molto per proteggere i monumenti, non è mai stato fatto nulla per salvaguardare il memoriale di Vraca.
È vero che questo monumento non è mai stato oggetto di atti vandalici come quelli a cui abbiamo assistito a Mostar, ma essendo stato lasciato al degrado, ha finito per essere ridotto in condizioni simili a quelle in cui si trova il complesso memoriale di Mostar. A volte il memoriale di Vraca è talmente sommerso da erbacce e rifiuti che sembra una discarica. Di tanto in tanto vengono messe in atto varie azioni e iniziative per salvare questo complesso monumentale, ma ciò non basta.
Date queste premesse, credo che l’attuale tendenza a fare a gara nel promettere la ricostruzione del cimitero di Mostar non sia altro che un tentativo di guardagnare facili punti politici. Se ciò dovesse rivelarsi vero, allora siamo di fronte ad un atteggiamento decisamente ipocrita. Se non fosse tragico, sarebbe comico.
Dall’altro lato, pur ritenendo doveroso ringraziare chiunque sia mosso da una sincera volontà di aiutare, credo ci siano modi migliori per contribuire alla salvaguardia del memoriale di Mostar che semplicemente condannare quanto accaduto e fare mere promesse. La somma di duecentomila marchi è solo una goccia nel mare. Per ricostruire il Cimitero memoriale dei partigiani ci vorrà, come minimo, un milione di marchi (circa 500mila euro), una cifra che probabilmente non basterebbe portare a termine tutti i lavori necessari. Con 200mila euro potremmo solo ingaggiare, per un periodo di dodici mesi, alcuni addetti alla sicurezza armati per proteggere il cimitero 24 ore al giorno. Già questo però sarebbe un primo passo positivo, perché senza un’efficace protezione fisica dei monumenti non può esserci alcuna ricostruzione.
Immagino che, quando lei utilizza la terza persona plurale, si riferisca agli antifascisti…
Esatto, ma non solo agli antifasciti che sono membri del SABNOR BiH (Unione degli antifascisti e combattenti della guerra popolare di liberazione della BiH) e dell’UABNOR (Associazione degli antifascisti e combattenti della guerra popolare di liberazione) di Mostar, bensì a tutte le persone che hanno a cuore i valori dell’antifascismo e quindi tengono alla salvaguardia del patrimonio monumentale che ci è stato lasciato in eredità. Un patrimonio costituito da veri e propri capolavori artistici, completamente estranei al realismo socialista. Il Cimitero dei partigiani è privo di simboli di qualsiasi sistema o ideologia, è un’opera atemporale che vuole trasmettere un messaggio universale – un insieme di segni universali della civiltà umana da leggere come un monito, un vero e proprio monumento al futuro.
Vi è un altro punto su cui vorrei soffermarmi. Considerando che il Cimitero dei partigiani è un monumento nazionale protetto, non pensa che lo stato abbia l’obbligo di dispiegare le forze dell’ordine per proteggerlo e di impegnarsi per identificare i responsabili della recente devastazione?
Certo, ma viviamo in Bosnia Erzegovina, ossia in uno stato talmente frammentato che ogni sceriffo locale può arrogarsi il diritto di decidere se un monumento nazionale verrà effettivamente protetto o meno. Sono ormai trent’anni che il Cimitero dei partigiani di Mostar viene continuamente distrutto. La prima devastazione avvenne nella notte tra il 9 e il 10 marzo 1992, quando il cimitero fu bombardato con l’intento di raderlo al suolo. L’attacco però si rivelò meno devastante di quanto auspicato dai suoi autori. Da allora gli atti vandalici ai danni del memoriale non sono mai cessati.
Ad alimentarli è sempre la stessa politica, gli stessi mandanti, gli stessi fautori del male. Gli attacchi di questo tipo non possono essere messi in atto senza l’appoggio dei politici e di una parte delle forze dell’ordine. L’ultimo attacco al Cimitero memoriale dei partigiani non sarebbe stato possibile senza il coinvolgimento di un gran numero di persone. Se solo per strappare settecento fogli di carta, o semplicemente per contare fino a settecento serve molto tempo, viene da chiedersi quanto serva per distruggere settecento lapidi, a cui vanno aggiunte le basi su cui poggiavano le lapidi. Parliamo quindi di quasi millequattrocento lastre. La distruzione di tutte queste lastre non poteva che provocare forti rumori, e quindi non poteva passare inosservata, a prescindere dal fatto che si sia verificata di giorno o di notte. A compiere questa azione è stato un grande gruppo di persone, con l’approvazione di alcuni politici e, come sempre accaduto finora, con la complicità di una parte delle forze dell’ordine. Bisogna quindi evitare che siano i mandanti di questo attacco a indagare su di esso.
Questo ci riporta alla mia prima domanda, ossia all’iniziativa di Denis Zvizdić. Forse sarebbe più opportuno che Zvizdić e altri presunti difensori del Cimitero dei partigiani proponessero al Consiglio dei ministri di ordinare al ministero della Sicurezza, ossia alla Direzione per il coordinamento delle forze di polizia, di dispiegare le forze dell’ordine per proteggere il Cimitero memoriale di Mostar allo stesso modo in cui proteggono il Memoriale di Srebrenica? Soprattutto considerando che la proposta di stanziare 200mila marchi – cifra peraltro irrisoria – non passerà mai, perché anche se dovesse essere approvata dalla Camera dei rappresentanti, non otterrebbe il via libera della Camera dei popoli, dove sicuramente verrebbe bloccata dall’Unione democratica croata della BiH (HDZ BiH) e dall’Unione dei socialdemocratici indipendenti (SNSD). Insistendo su questa proposta, anziché risolvere il problema, si finirebbe solo per mettere a nudo una politica finalizzata a minare lo stato bosniaco-erzegovese e i valori dell’antifascismo…
Sì, credo che in questo momento l’unica cosa giusta da fare sia dispiegare le forze dell’ordine per garantire la sicurezza del memoriale. Tutti sappiamo che l’iniziativa di Zvizdić non passerà, contribuirà solo a smascherare chi vuole distruggere questo paese, e quindi si dimostrerà un’ottima mossa alla vigilia delle elezioni. Un intervento delle autorità preposte alla sicurezza a livello centrale è l’unica soluzione. A compiere atti vandalici ai danni del Cimitero dei partigiani sono i piccoli delinquenti, noi li conosciamo e sappiamo che hanno paura. Scappano appena qualcuno alza la voce e si sentono forti solo in gruppo. Quando il cimitero verrà protetto da due, tre uomini armati in uniforme, i delinquenti spariranno. Su questo punto non nutro alcun dubbio. Anche perché quando, dopo l’ultima ricostruzione del memoriale, alcuni agenti erano stati dispiegati per proteggerlo, era tutto sotto controllo, nessuno aveva osato strappare nemmeno un filo d’erba. Quindi, è indispensabile che il cimitero venga protetto.
Sta di fatto però che nelle città governate dall’HDZ dei monumenti antifascisti ormai non è rimasta alcuna traccia: i monumenti a Stolac e Ljubuški furono fatti esplodere negli anni Novanta, il “Fiore“ di Široki Brijeg fu distrutto, il grande monumento a Drvar fu fatto saltare in aria e la stessa sorte toccò al monumento nazionale a Makljen, quel famoso pugno di Boško Kućanski. Là dove governa l’HDZ tutto viene distrutto semplicemente perché questo partito si presenta come erede delle ideologie sconfitte nel 1945.
Durante la campagna elettorale per le ultime elezioni amministrative a Mostar un piccolo partito – che, se non erro, non è nemmeno entrato in consiglio comunale – aveva lanciato l’idea di radere al suolo il Cimitero dei partigiani e di restituire il terreno alla Chiesa cattolica. Secondo lei, il motivo alla base della costante devastazione del complesso memoriale è riconducibile alla questione della proprietà? Si tratta davvero di una lotta per la terra?
Il piccolo partito a cui lei si riferisce è solo il portavoce di un grande partito. Quella idea risale al 1992. Poi nel 1994-95 furono anche elaborati alcuni progetti che prevedevano che venisse cambiata destinazione d’uso dell’intero terreno occupato dal complesso memoriale – esclusa solo quella parte dove si trova l’ossario e dove vengono apposte corone di fiori che doveva essere conservata come luogo commemorativo – e che la parte del terreno che i promotori di questa idea ritenevano appartenesse alla Chiesa cattolica venisse restituita a quest’ultima. Recentemente, anche il sindaco di Mostar, parlando del complesso monumentale, ha utilizzato il termine “luogo commemorativo” che risuona fortemente delle idee degli anni Novanta quando si cercò di far sparire il Cimitero memoriale dei partigiani, lasciando solo un piccolo spazio commemorativo, come amano chiamarlo, come se volessero dire: “Ecco, se volete ricordare, fatelo pure”. Ecco perché abbiamo reagito così fortemente. È chiaro dove sta il problema.
Mi preme però ricordare che il Cimitero memoriale dei partigiani fu inaugurato nel 1965, quindi in un periodo caratterizzato non dalla nazionalizzazione, bensì dall’espropriazione dei beni privati, che fu sempre accompagnata da una ricompensa all’espropriato. Quindi, anche se una parte del terreno occupato dal Cimitero memoriale dei partigiani un tempo fosse stata di proprietà della Chiesa cattolica, quest’ultima aveva sicuramente ricevuto un’indennità per l’espropriazione. Poi, certo, molti documenti successivamente sono stati pesantemente modificati, molte operazioni non sono state portate a termine in modo adeguato. Ancora oggi si continua a sfruttare e strumentalizzare questi errori grazie ad un’alleanza tra religione, potere ed estrema destra, che in realtà è una destra neofascista.
Ma anche noi altri siamo in molti. Per trent’anni ci siamo sempre comportati educatamente, cercando di dialogare e negoziare, a volte abbiamo anche reagito in modo troppo blando. Ora però è tempo di alzare la voce e di agire. Se lo stato non vuole impegnarsi per proteggere il Cimitero memoriale dei partigiani, lo faremo noi, cittadini.
Dice che anche noi altri siamo in molti. Lo siamo davvero? Crede che ci sia veramente la volontà di porre un freno alla deriva fascista che in alcune parti della Bosnia Erzegovina ha ormai assunto i contorni della più barbara ideologia nazista?
Credo di sì. Negli ultimi tre anni, ossia da quando ho assunto l’incarico di presidente dell’Unione degli antifascisti e combattenti della guerra popolare di liberazione, ho avuto la fortuna di girare la Bosnia Erzegovina in lungo e in largo, dai villaggi più sperduti alle città più grandi, e di incontrare molte persone, rendendomi conto che la gente si è risvegliata. Ci siamo risvegliati anche noi, membri delle associazioni antifasciste, comprendendo di non poter più limitarci alle attività commemorative legate alla conservazione della memoria storica, bensì di dover adottare un modus operandi proattivo, dando vita ad un ampio fronte antifascista che prescinda dall’appartenenza etnica.
Abbiamo quindi pensato di elaborare un documento intitolato “Piattaforma per la società bosniaco-erzegovese antifascista del XXI secolo” e ora lo stiamo presentando in diverse città della BiH, continuando al contempo a raccogliere nuove idee. Abbiamo concepito questo documento come una provocazione, un’esca per risvegliare i cittadini, e dalle reazioni che stiamo ricevendo ho capito che molte persone, che finora hanno taciuto, hanno ritrovato il coraggio di parlare. Stiamo serrando i ranghi.
Qui a Mostar, ad esempio, ci sono tantissime persone disposte a darci una mano per organizzare turni per sorvegliare il Cimitero dei partigiani 24 ore su 24. Ci stanno contattando anche molte persone che vivono in altre città, anche molti politici, come ad esempio il sindaco di Podgorica, il quale ci ha offerto il suo pieno sostegno, un sostegno molto concreto. Ci ha contattati anche un gruppo di esperti provenienti da Novi Sad, ma anche dal Montenegro e dalla Croazia. Quindi, ci sono molte persone pronte ad attivarsi, questa è la nostra forza.
Sembra che l’ultimo atto vandalico ai danni del Cimitero dei partigiani di Mostar sia stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso. È intervenuta persino l’Unesco, ed è la prima volta che questa organizzazione alza la voce contro la devastazione dei monumenti antifascisti nel nostro paese. Hanno reagito anche alcune ambasciate, i rappresentanti della Commissione europea… Sembra che molte persone abbiano finalmente prestato attenzione e compreso le nostre parole e azioni, rendendosi conto che non siamo – come alcuni ci definivano fino a poco tempo fa – vecchi comunisti e combattenti ad un passo della morte che non fanno che pronunciare discorsi inutili. Ci si è resi conto che tra gli antifascisti ci sono anche molti giovani e che difendendo l’eredità antifascista della Bosnia Erzegovina difendiamo i valori della civiltà europea e dell’intera umanità. La Bosnia Erzegovina dovrebbe essere orgogliosa del suo passato antifascista, traendone forza per costruire il futuro.
Ultimamente molti politici parlano della necessità di ritornare alla versione originaria degli Accordi di Dayton. Noi invece continuiamo a ribadire la necessità di ritornare ai principi originari della ZAVNOBiH [Consiglio nazionale antifascista per la liberazione popolare della Bosnia Erzegovina che, durante la prima seduta, tenutasi nella notte tra il 25 e il 26 novembre del 1943, definì la Bosnia Erzegovina come un paese né serbo, né croato, né musulmano, bensì sia serbo, sia croato, sia musulmano, quindi un paese fondato sul principio di uguaglianza e fratellanza tra i popoli]. È qui che risiede la nostra forza.
Viene però da chiedersi come sia possibile ritornare ai principi originari della ZAVNOBiH se l’Unione delle associazioni dei combattenti della guerra popolare di liberazione della Republika Srpska (SUBNOR RS) fa parte del Comitato per la celebrazione della tradizione delle guerre patriottiche, quindi di un organismo che tende a mettere sullo stesso piano l’eredità della lotta partigiana e l’eredità dell’Esercito della Republika Srpska che, come stabilito in diverse sentenze, aveva attuato la politica serba degli anni Novanta in Bosnia Erzegovina, macchiandosi anche del crimine di genocidio…
Purtroppo, la situazione della Republika Srpska è lo specchio di quanto sta accadendo in Serbia. In Republika Srpska le celebrazioni commemorative non vengono organizzate dal SUBNOR, bensì da quel comitato da lei citato che opera in seno al ministero dei Veterani, mentre gli ex combattenti e membri del SUBNOR fungono da decoro. La dirigenza del SUBNOR RS ha accettato di essere relegata ad un ruolo meramente decorativo in cambio di due spicci e alcuni benefici. È un atteggiamento desolante e deplorevole, totalmente estraneo alla tradizione antifascista.
Dall’altra parte, è incoraggiante che molte associazioni antifasciste e singoli cittadini della Republika Srpska continuino a intrattenere rapporti con noi e a partecipare alle nostre manifestazioni. Ad esempio, alla recente cerimonia di commemorazione della battaglia della Sutjeska, tenutasi a Tjentište, hanno partecipato molti membri delle associazioni dei combattenti e sostenitori dell’idea della lotta popolare di liberazione provenienti da diverse città della RS. Alcuni di loro partecipano regolarmente anche alle cerimonie che ogni anno organizziano sul monte Igman [per commemorare l’anniversario della celebre Marcia dell’Igman]. Inoltre, partecipiamo tutti insieme alle cerimonie di commemorazione dell’anniversario dell’uccisione dei combattenti del 5° battaglione della 1° brigata proletaria a Pjenovac, nel comune di Han-Pijesak, in Republika Srpska. Queste cerimonie vengono organizzate dall’associazione antifascista locale, ma sempre in collaborazione con noi. Lo stesso vale anche per le commemorazioni dell’anniversario della formazione della 1° brigata proletaria a Rudo. Sono sempre più numerose le manifestazioni che organizziamo in collaborazione con le associazioni antifasciste della Republika Srpska, con cui abbiamo avviato anche una serie di incontri. Ovviamente, quando si intromette la politica l’intero processo subisce un rallentamento, ma sono convinto che a breve riusciremo a dar vita ad un’alleanza antifascista – forse si chiamerà in un altro modo, poco importa – ispirata alla tradizione della Lotta popolare di liberazione e impegnata nel mantenere vive le idee antifasciste nell’intera Bosnia Erzegovina.
Secondo lei, quanto tempo ci vorrà per riunire tutte le forze antifasciste in Bosnia Erzegovina?
Per come stanno andando le cose, credo meno di un anno.
Glielo chiedo perché, essendo cresciuto nella Jugoslavia di Tito, tendo a percepire l’antifascismo all’interno della tradizione della sinistra, cioè come un tratto distintivo della sinistra. Mi rendo però conto che la società di oggi è diversa da quella jugoslava. Forse il nocciolo del problema sta nella tendenza della sinistra a, per così dire, appropriarsi dell’antifascismo? Forse è proprio questo atteggiamento della sinistra a rendere molte persone – che, pur essendo vicine alle idee nazionaliste, comprendono il problema del fascismo – restie ad abbracciare i valori dell’antifascismo? Non credo che tutti gli abitanti della parte occidentale di Mostar possano essere definiti ustascia, anzi, penso ci siano molte persone contrarie alla devastazione del Cimitero dei partigiani, che però tacciono, sia perché hanno paura, sia perché non vogliono essere associate ai presunti komunjare [termine spregiativo per indicare i comunisti]…
Per limitarci al caso di Mostar, è vero che la maggior parte dei cittadini, a prescindere dall’apparteneza etnica o religiosa, è estranea alle posizioni estreme. Negli ultimi giorni molti mostarini, di tutte le parti della città, hanno reagito positivamente alle nostre iniziative, esprimendo la propria disapprovazione per quell’atto vandalico presumibilmente compiuto da alcuni “hooligan minorenni e irresponsabili”, come la polizia li ha definiti. Noi invece continuiamo a ripetere che si tratta di un gruppo di neonazisti ben organizzati, in uniforme, che hanno una sede, hanno tutto… A Mostar queste cose sono ormai risapute. I recenti fatti hanno dimostrato inequivocabilmente che l’estremismo a cui stiamo assistendo a Mostar non è un tratto distintivo di un solo popolo, bensì dei gruppi che si sono lasciati indottrinare all’estremismo per motivi economici o ideologici, oppure perché fanno parte di certe formazioni politiche estremiste.
Però è anche vero che una parte del problema risiede nella tendenza a equiparare l’antifascismo alla sinistra. Questo perché da noi manca ancora un’idea chiara di cosa sia la sinistra. A mio avviso, oggi in Bosnia Erzegovina non c’è alcun partito di sinistra. Ci sono alcuni partiti che si presentano come forze di sinistra, ma il loro comportamento – quindi non quello che c’è scritto nei loro programmi, bensì quello che fanno – dimostra che si tratta dei partiti di centro. Questi partiti non affrontano mai temi legati al lavoro e al sindacalismo, evitano di occuparsi seriamente di questioni riguardanti la giustizia sociale, l’effettiva uguaglianza e la libertà. È chiaro quindi che non si può parlare di vera sinistra.
Ecco un esempio concreto. Quando nella Federazione BiH c’era il cosiddetto governo di sinistra, con un ministro dei Veterani che si dichiarava di sinistra, il SABNOR BiH fu costretto ad abbandonare la sua sede storica, vedendosi anche negare qualsiasi finanziamento pubblico. Anche allora il Cimitero memoriale dei partigiani poteva essere protetto, il complesso di Vraca poteva essere pulito e messo in ordine, il monumento ai caduti nella guerra popolare di liberazione a Drvar poteva essere messo sotto tutela e potevano essere avviati alcuni processi penali per la sua distruzione, lo stesso vale per il monumento di Makljen, distrutto nel 2000. Eppure non è stato fatto nulla per proteggere i monumenti antifascisti in BiH. L’antifascismo retorico non è vero antifascismo. Quando durante un comizio elettorale o di altro tipo un uomo politico pronuncia lo slogan “Morte al fascismo”, questo non significa che siamo di fronte ad un antifascista, significa che quel politico sta cercando di conquistare il consenso di una parte dell’elettorato.
Questi sono i principali problemi che ostacolano il rafforzamento del movimento antifascista. Mi preme però sottolineare che ormai un anno fa, forse due, la nostra organizzazione ha preso le distanze da tutti i partiti politici, nel senso che non permettiamo a nessuno di appropriarsi in modo esclusivo della nostra tradizione e non intratteniamo un rapporto preferenziale con nessun partito. Come precisato nel nostro statuto, siamo un’associazione apartitica che riunisce individui impegnati a mantenere vive certe tradizioni, ma anche a contribuire allo sviluppo di alcuni valori fondanti della civiltà umana nel nostro paese.
Tra i membri del SABNOR BiH ci sono molte persone che non appartengono a nessuna formazione politica, molti attivisti, ma anche alcuni sostenitori dei partiti al potere. Queste persone credono di poter contribuire in qualche modo alle nostre attività e si impegnano effettivamente a farlo. Sarebbe davvero bello se il nostro movimento diventasse quello che abbiamo sempre auspicato: un movimento che unisce tutti i popoli della Bosnia Erzegovina aprendo uno spazio per discutere, da cittadini, di tutti i problemi che affliggono il nostro paese. Qualcosa di simile – oggi è impopolare dirlo, ma lo faccio lo stesso – alla Lega dei comunisti della Jugoslavia che contava oltre un milione di membri (su un totale di circa venti milioni di abitanti). A quel tempo esisteva anche la Lega socialista del popolo lavoratore della Jugoslavia di cui facevano parte non solo i membri del Partito, ma anche gli altri – atei, credenti, operai, contadini – e, grazie all’esistenza di certi meccanismi, tutti potevano incidere sulle dinamiche sociali e dare il propio contributo alla comunità. Se dovessimo riuscire a dar vita ad un movimento antifascista fondato su tali principi, avremmo qualche speranza per il futuro.
Un’altra idea impopolare risalente al periodo jugoslavo è contenuta nello slogan: “Un popolo con una gioventù come la nostra non deve preoccuparsi del proprio futuro”. Com’è oggi la gioventù bosniaco-erzegovese? O meglio, come riportare sulla retta via tutti quei ragazzi che negli ultimi trent’anni hanno frequentato scuole intitolate a personaggi come Mustafa Busuladžić [sostenitore degli ustascia e dei fascisti durante la Seconda guerra mondiale]?
I giovani sono quasi come una tabula rasa, il male viene da quelli che li educano. Nel nostro paese ci sono molte scuole intitolate a figure storiche controverse, ci sono tre programmi scolastici diversi e due di questi programmi insegnano ai ragazzi, esplicitamente o implicitamente, che sono qui solo di passaggio perché la loro vera patria è la Serbia o, nel caso del programma croato, la Croazia. Inoltre, l’insegnamento della storia è sostanzialmente limitato al periodo precedente alla Seconda guerra mondiale, lasciando così ampio spazio a manipolazioni e distorsioni dei fatti, ossia al revisionismo storico. Così si è arrivati a definire Draža Mihailović il primo guerrigliero europeo e Ante Pavelić il primo uomo a combattere per l’indipendenza della Croazia dopo sette secoli, e gli ustascia vengono considerati “soldati croati“. A Mostar stanno costruendo un cimitero dedicato agli ustascia, e lo chiameranno, molto ipocritamente, “Cimitero della pace“. Ecco un altro esempio: quando il membro bosgnacco della Presidenza tripartita della BiH si reca in visita in Turchia si rivolge al presidente turco dicendogli: “Lei è anche il nostro presidente”, una retorica in perfetta sintonia con quell’aneddoto secondo cui Alija Izetbegović sul letto della morte avrebbe lasciato la Bosnia in eredità a Erdoğan. Tutto questo suscita confusione tra i giovani, spingendoli nella direzione sbagliata. Si cerca di infondere nei giovani l’idea secondo cui non esisterebbe uno stato e una nazione bosniaco-erzegovese.
Vi è poi un’altra questione su cui ormai da qualche tempo cerco di riportare l’attenzione. Cito un esempio concreto in cui emerge tutta la problematicità del concetto di popoli costituenti. Sappiamo tutti cos’è la diaspora. La diaspora nasce quando un gruppo di persone, andate via dal proprio paese, si stabilisce in un altro paese, creandovi una comunità più o meno grande, che può essere organizzata in vari modi, ma resta sempre e comunque una comunità immigrata. La politica croata in BiH ha fatto propria l’idea di Tuđman secondo cui i croato-bosniaci rappresenterebbero una diaspora, e ora i politici croato-bosnaici si candidano nelle liste della diaspora per le elezioni parlamentari in Croazia. Quindi hanno accettato l’idea che li definisce immigrati provenienti dalla Crozia e, al contempo, cercano con insistenza di dimostrare di essere un popolo costituente. Queste due idee però si escludono a vicenda: non si può essere allo stesso tempo diaspora e popolo costituente.
I croati sono un popolo costituente, allo stesso modo in cui lo sono i bosgnacchi e i serbi. Se invece non vogliono più essere un popolo costituente, ossia se vogliono essere considerati come una diaspora, allora dovrebbero accontentarsi dello status di minoranza, godendo ovviamente di tutti i diritti riconosciuti alle minoranze nelle convenzioni europee…
È proprio di questo che sto parlando. Semplicemente, una cosa esclude l’altra. Eppure, nessuno ne parla, essendo tutti intrappolati in questo clima di follia collettiva. Nessuna sorpresa quindi se i giovani non vedono l’ora di comprare un biglietto di sola andata. I giovani non se ne vanno dalla Bosnia Erzegovina solo per motivi economici legati alla mera sopravvivenza materiale. Lo so perché lavoro con i giovani. Anche molti giovani che erano riusciti a trovare un lavoro ben retribuito e a raggiungere successi professionali se ne stanno andando dalla Bosnia Erzegovina, senza volgersi indietro, cercando così di scappare dalla follia che li circonda. Non vogliono più vivere in una città dove i monumenti vengono continuamente distrutti, dove ogni partita di calcio si trasforma in una guerra, dove chi vuole portare un mazzo di fiori al Cimitero memoriale dei partigiani ci deve essere accompagnato dai membri delle forze speciali della polizia a bordo di un pullman appositamente predisposto, come se dovesse andare in Afghanistan per affrontare i combattenti dell’Isis. Nessuna persona normale vuole vivere in condizioni simili.
I ragazzi se ne vanno, è vero, spesso insieme ai gentiori che, essendo nati durante la guerra o nel periodo immediatamente successivo, non conoscono una vita diversa da quella che fanno. Quindi partono intere famiglie perché non vogliono più vivere in queste condizioni, ma anche perché non hanno né la possibilitù né la forza di cambiare le cose. Così siamo arrivati al punto in cui le persone che vorrebbero impegnarsi per cambiare la situazione in BiH sono costrette ad andarsene, mentre resta chi è favorevole al mantentimento dell’attuale status quo. Come possiamo recuperare i trent’anni perduti?
Oggettivamente, sarà molto difficile recuperarli. Oggi la Bosnia Erzegovina è una grande casa di riposo e un grande cimitero destinato ad allargarsi ulteriormente. Qualsiasi analisi seria lo confermerebbe. Tuttavia, mi sembra che molte persone che, pur non avendo mai avuto alcuna voce in capitolo su questioni politiche di peso, finora hanno sempre appoggiato con fermezza lo status quo in BiH, finalmente stiano aprendo gli occhi. Queste persone vogliono cambiamenti, anche perché i loro figli e nipoti continuano ad andarsene dal paese.
Si sa già chi si presenterà alle prossime elezioni e con quale programma, ma non c’è nessuno capace di proporre idee nuove, fresche, moderne. Concordo con il professor Bajtal quando afferma che in Bosnia Erzegovina non ci sono maggioranza e opposizione, c’è solo la competizione. I politici non fanno altro che lottare per le poltrone, tutti portano avanti discorsi più o meno simili e sempre aggressivi. Abbiamo bisogno di un politico capace di proporre una Bosnia Erzegovina diversa, ma deve essere una proposta realistica e fattibile.
Parlando di questo tema mi piace citare un aneddoto risalente ad una ventina di anni fa. Con il Teatro dei giovani di Mostar, dove lavoro, andammo in tourneé negli Stati Uniti. Un giorno l’uomo che aveva organizzato tutto – un ricco americano, molto rinomato e impegnato in politica, il cui figlio, all’epoca studente dell’ultimo anno delle superiori, suonava in un gruppo rock – mi chiese se potessi portare la band di suo figlio in Bosnia Erzegovina per un piccolo tour, magari coinvolgendo anche qualche band locale, precisando che lui avrebbe coperto tutte le spese. Voleva che i ragazzi capissero che il loro mondo non era l’unico mondo esistente.
Così organizzammo la tourneé, a cui parteciparono anche la band “Drugo stanje” di Konjic, in cui cantava la giovane Irina Kapetanović, e il cantante Elvir Laković Laka. Il secondo giorno partimmo di mattina presto per Goražde attraverso la regione montuosa di Romanija. Era settembre, il sole splendeva sui quei paesaggi meravigliosi, immersi nel verde. Ad un certo punto uno dei ragazzi americani disse all’altro: “Guarda quanto è bello!”, e l’altro rispose: “Noi li abbiamo portati al Parco di Yellowstone per sfoggiare le bellezze del nostro paesaggio, e il loro intero paese è un enorme Yellowstone!”.
Solo quando ci renderemo conto delle ricchezze naturali del nostro paese, iniziando a gestirle in modo adeguato e considerandole “nostre” e non serbe, bosgnacche o croate, la situazione volgerà al meglio per tutti i cittadini bosniaco-erzegovesi, a prescindere dalla loro appartenenza etnica. Quindi abbiamo bisogno di persone, o meglio – visto che ci piacciono tanto i leader – di leader politici in grado di proporre programmi concreti, pratici, fattibili, e soprattutto comprensibili sia alle persone anziane che ai giovani.
Per ritornare al movimento antifascista. Leggendo la dichiarazione del Politburo del Comitato centrale del Partito comunista jugoslavo del 1941 ci si rende conto che si tratta di un invito ad una rivolta popolare, un semplice invito rivolto ai cittadini affinché difendessero il loro paese in nome della libertà, dell’uguaglianza e della giustizia sociale. Un invito scritto non ricorrendo ad un lessico politico, bensì utilizzando un
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