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BiH, il paradosso delle sanzioni contro Dodik

Pochi giorni fa gli Stati Uniti  hanno imposto sanzioni a quattro leader politici della Republika Srpska, entità della Bosnia Erzegovina, per aver sostenuto una legge che consente di ignorare le decisioni dell’Alto rappresentate in BiH. Il commento del caporedattore del portale Buka

02/08/2023, Aleksandar Trifunović - Banja Luka

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(Originariamente pubblicato sul portale Buka , 1 agosto 2023)

Dopo essere stato inserito nella lista nera degli Stati Uniti, Milorad Dodik ha vinto varie tornate elettorali, ha rafforzato il suo potere fino a raggiungere un dominio quasi assoluto, continuando al contempo a incontrare i funzionari statunitensi. È stato ospitato anche dall’ex ambasciatore [degli Stati Uniti in BiH] nella sua residenza a Sarajevo. Questo induce a pensare che anche le nuove sanzioni americane rese note lunedì 31 luglio siano destinate ad avere lo stesso effetto. A giudicare dalle prime reazioni, i funzionari della Republika Srpska appena inclusi nella lista nera hanno accolto le sanzioni come un riconoscimento. Certo, nel loro intimo non possono restare indifferenti all’intera vicenda, ma sono consapevoli che non può che aiutarli a rimanere là dove sono. Mica male!

Governare senza doversi assumere alcuna responsabilità e senza dover raggiungere alcun risultato, continuando instancabilmente a rafforzare il proprio potere e a impoverire la popolazione. Il potere si farà sempre più forte, come anche la repressione contro chi la pensa diversamente. Su questo punto non vi è alcun dubbio.

L’opposizione, ovviamente, non appoggerà le sanzioni, perché se dovesse farlo, si allontanerebbe dal già magro risultato [raggiunto alle ultime elezioni]. Il giorno stesso in cui è stata resa nota l’introduzione della sanzioni, è arrivata la notizia che l’azienda Prointer, vicina alla famiglia Dodik, che vende un software americano, si appresta ad acquistare il centro commerciale “Boska” [uno dei simboli di Banja Luka] e a costruire un grattacielo nel centro storico della città.

È bizzarro, ma Milorad Dodik teme solo l’America. Ha investito decine di milioni sottratti alle nostre tasche in attività di lobbying in America, invitando a votare Trump, e questo è il risultato: sanzioni, esplicite e tacite, e un avvertimento ufficiale lanciato dalle autorità statunitensi, ossia un’esortazione a non investire in Bosnia Erzegovina, e in particolare nella Republika Srpska, a causa della corruzione. Ad un certo punto Dodik ha persino dichiarato che avrebbe chiesto una revisione della decisione di sottoporlo a sanzioni, sperando che l’amministrazione Trump revocasse la decisione adottata dall’amministrazione Obama. Ciò non è avvenuto, anzi, le sanzioni contro Dodik sono state prolungate, senza essere minimamente alleviate.

Le sanzioni non sono il segno della potenza, bensì dell’impotenza e del disinteresse dell’amministrazione statunitense ad affrontare la questione dell’Accordo di pace di Dayton – quindi di un accordo americano, sottoscritto sul suolo americano – in un modo che va oltre le sanzioni. La decisione degli Stati Uniti di piazzare Dodik nella posizione che tuttora occupa gli si è ritorta contro e non vogliono più rischiare.

In fin dei conti, perché l’UE e gli Stati Uniti dovrebbero preoccuparsi dei soldi bosniaco-erzegovesi finiti nelle tasche dei contribuenti europei e americani, se anche gli stessi cittadini della Bosnia Erzegovina rinunciano al loro paese? E continueranno a rinunciarvi, a emigrare o a vivere un esilio interiore, sentendosi di troppo nel proprio paese.

Pur avendo ostinatamente cercato di dimostrare il contrario, la comunità internazionale, in qualunque senso la si voglia intendere, non ha mai avuto tempo né una chiara idea di come aiutare la società bosniaco-erzegovese.

[I rappresentanti della comunità internazionale] hanno consapevolmente scelto una strategia più abbordabile, ma anche più rischiosa, quella di utilizzare i leader politici locali per innescare cambiamenti: hanno creduto alle false promesse di questi leader, incontrandosi con loro nelle kafane, nelle pasticcerie, negli alberghi, quindi fuori dalle sedi istituzionali. Così facendo, hanno solo contribuito a rafforzare il potere dei politici locali fino a renderli intoccabili, a portare ad un aumento del costo della vita delle persone comuni pari all’ammontare delle accise sui carburati e a dare un’inequivocabile immagine di sé come di un alleato del potere, molto lontano dai cittadini.

La Bosnia Erzegovina esiste sì sulla carta, ma come comunità statale e umana sta scomparendo. Pur essendo stati i cittadini di questo paese, con le loro scelte sbagliate e priorità politiche, ad aver contribuito maggiormente all’attuale situazione, una parte rilevante della responsabilità grava sulla comunità internazionale. Assumersi questa responsabilità è il minimo che la comunità internazionale possa fare se pensa di essere un valido interlocutore con cui discutere del nostro futuro.

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