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Belgrado, un dossier contro l’impunità

Un recente dossier del Centro per il diritto umanitario di Belgrado porta a galla i crimini compiuti dalla famigerata Decima unità sabotatori. Dalla ricerca è emerso che questa formazione militare fu fondata il 14 ottobre 1994 per ordine di Ratko Mladić e nel luglio del 1995  partecipò attivamente al massacro di Srebrenica

10/10/2011, Ana Ljubojević - Belgrado

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Quando qualche mese fa Ratko Mladić e Goran Hadžić, gli ultimi due ricercati per crimini di guerra dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (TPI), sono stati arrestati dalle forze dell’ordine serbe, il presidente Boris Tadić aveva dichiarato: “La Serbia ha finalmente chiuso una pagina difficile della sua recente storia”.  L’élite politica serba ha inoltre definito gli ultimi arresti come “il punto finale delle guerre degli anni ’90 e dei crimini allora commessi”.

Eppure, occorre ricordare che il Tribunale dell’Aja nei suoi procedimenti ha messo sotto accusa solo 161 persone, in massima parte alti funzionari dell’esercito e politici di primo piano. Spetta, dunque, ai vari tribunali nazionali il compito di evitare il cosiddetto “impunity gap”, il cono d’ombra d’impunità generalizzata, per arrivare a giudicare anche gli altri responsabili.

E’ proprio questo il punto di partenza che ha spinto il Centro per il diritto umanitario (Fond za Humanitarno Pravo – FHP ) di Belgrado a pubblicare un dossier sulla famigerata Decima unità sabotatori (10. Diverzantski odred). Il 16 aprile del 2010, il Centro ha denunciato i crimini commessi dal comandante della Decima unità e da almeno altre dieci persone, ma a tutt’oggi la Procura non ha ancora avviato un’indagine ufficiale.

Durante la conferenza stampa, organizzata il 14 settembre 2011 a Belgrado, la direttrice del Centro per il diritto umanitario Nataša Kandić ha sottolineato l’importanza del contenuto dell’atto di accusa, spesso passato sotto silenzio dai media. Il Dossier in sostanza vuole essere un tentativo di produrre un rapporto analitico sulle gravi violazioni del diritto umanitario intercorse durante le guerre balcaniche. Basato sulle prove usate nei processi legati al genocidio di Srebrenica davanti al TPI, nonché su quelle disponibili al FHP, il Dossier cerca di avviare un dibattito pubblico sul passato.

Cos’era ila Decima unità sabotatori

Jelena Plamenac, ricercatrice e autrice del Dossier, ha raccolto le prove ufficiali sull’operato della Decima unità sabotatori ed ha fatto un vero e proprio identikit di questa formazione, ai tempi posta sotto il diretto controllo dell’allora Esercito della Republika Srpska.

La prima parte del Dossier descrive la struttura della formazione stessa, la seconda analizza in dettaglio le prove dei fatti legati alle operazioni sovversive condotte dal gruppo, mentre l’ultima parte espone le biografie di alcuni comandanti della formazione. Parlando di metodologia della ricerca, la Plamenac ha chiarito che le prove principali sono costituite dalle testimonianze rilasciate davanti al TPI, davanti alla Corte della Bosnia Erzegovina, nonché davanti alla Corte federale americana. Dal momento che gli ordini non erano scritti, i dati sono stati raccolti attraverso testimonianze giurate, dichiarazioni o interviste.

Inoltre, per la stesura del Dossier è stata usata documentazione militare, materiale audiovisivo e anche intercettazioni telefoniche.

Dalla ricerca è emerso che la Decima unità è stata fondata il 14 ottobre del 1994 per ordine di Ratko Mladić, capo di Stato maggiore dell’Esercito della Republika Srpska. Nel luglio del 1995 questa unità partecipò attivamente al genocidio di Srebrenica. È stato inoltre provato che presso il villaggio di Pilice la formazione militare prese parte all’esecuzione di circa 1.200 bosgnacchi catturati a Srebrenica.

La cosiddetta “squadra degli otto” era composta da Franc Kos, Marko Boskić, Aleksandar Cvetković, Dražen Erdemović, Brano Gojković, Vlastimir Golijan, Zoran Goronja e Stanko Savanović. Un’altra esecuzione di massa provata dai documenti è quella compiuta il 23 luglio 1995 nel villaggio Bišina, quando i membri del distaccamento uccisero almeno 39 prigionieri.

Il peculiare carattere multietnico e multiculturale della squadra del tenente Milorad Pelemiš fu conseguenza di un accordo stretto con alcuni soldati non-serbi catturati nel campo Bataković nel 1992 e 1993 allo scopo di formare un gruppo sovversivo guidato dal colonnello Petar Salapura e posto agli ordini diretti del generale Zdravko Tolimir. In questo momento, contro Tolimir si sta svolgendo il processo di prima istanza davanti al TPI.

Tuttora, quindici anni dopo, di tutti gli individui identificati come responsabili di crimini di guerra solo Dražen Erdemović e Marko Boskić sono stati condannati anche in appello dal TPI e dalla Corte della BiH. A carico degli altri quattro esecutori diretti è in corso il processo di prima istanza davanti alla Corte della BiH, mentre per un altro membro si attende l’estradizione da Israele.

Dalla Bosnia al Kosovo

Il FHP ha denunciato anche altri individui coinvolti nella linea di comando della Decima unità. Siccome la Corte speciale per i crimini di guerra non ha ancor aperto un’inchiesta, i sospettati Petar Salapura, Milorad Pelemiš, Dragomir Pećanac e altri tre ufficiali dell’esercito della Republika Srpska e/o Jugoslavia sono ancora liberi e a disposizione delle istituzioni competenti della Repubblica di Serbia.

Nataša Kandić ha inoltre evidenziato un collegamento tra Milorad Pelemiš e i crimini commessi in Kosovo dal gruppo “Pauk” (Ragno) presso il villaggio di Dečani, come rivelato a suo tempo dal PM Nebojša Maraš. Il processo contro questo gruppo è ancora nella fase delle indagini preliminari.

Quello che unisce entrambi i casi è l’assenza di una chiara volontà istituzionale e politica di affrontare il passato. Anche l’esiguità del numero dei giornalisti tra il pubblico alla presentazione del dossier la dice lunga sul disinteresse mediatico che copre i ricordi di un passato difficile.

L’attenzione del discorso pubblico oggi è rivolta piuttosto verso le barricate nel nord del Kosovo. Che però richiamano un doloroso dejà vu di vent’anni fa.

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