Belgrado e i suoi bambini di strada
A Belgrado i bambini che vivono e lavorano in strada sono sempre di più, ma le istituzioni fanno fatica ad affrontare efficacemente il fenomeno. Ne è un esempio il caso dello Svratište, un centro di accoglienza temporanea divenuto un modello per la regione, che in questi giorni ha rischiato di chiudere
Per chi vive a Belgrado, incontrare un bambino o una bambina di strada è un’esperienza sempre più comune, spesso quotidiana. Muovendosi per la città non è raro imbattersi in bambini che lavorano come lavavetri ai semafori, che aiutano nella raccolta di materiali di scarto, che cantano e suonano per intrattenere i passanti, o che chiedono l’elemosina. E’ facile incontrarli nelle periferie, ma anche nelle trafficate vie del centro. Molti di loro – ma non tutti – sono bambini rom. Le loro storie personali, così come le ragioni specifiche che li hanno costretti a vivere (e sopravvivere) sulla strada, sono varie e diverse. Ma ciò che accomuna le loro vulnerabili esistenze è il rischio grave di essere abusati, trascurati e sfruttati.
Uno degli aspetti più drammatici di questo fenomeno è che molto spesso chi sfrutta il lavoro dei bambini di strada sono i loro stessi genitori o comunque dei familiari. Come sa bene chi si occupa della questione, questo solleva un dilemma morale: da un lato è lecito accusare gli adulti sfruttatori di venire meno alla propria responsabilità di garantire ai bambini una crescita fisica, emotiva e intellettuale dignitosa; dall’altro lato, è imprudente respingere come infondata la nozione che per certe famiglie in condizioni di estrema povertà e privazione il lavoro dei più piccoli è una delle poche risorse disponibili per “tirare avanti”.
La legislazione internazionale include lo sfruttamento dei minori in un reato più ampio, quello di traffico di esseri umani (in inglese trafficking, si veda la convenzione delle Nazioni unite contro la criminalità organizzata, stipulata a Palermo nel 2000). In una recente conferenza sul tema, Sanja Kljajić, rappresentante del Centro per la protezione delle vittime di trafficking, ha segnalato che in Serbia le forme più comuni di sfruttamento dei minori sono il lavoro forzato, l’accattonaggio e la prostituzione. Mitar Đurašković, coordinatore nazionale per la lotta contro la tratta degli esseri umani, ha confermato che nel paese il numero di numero di bambini che vivono e lavorano in strada (spesso insieme alla propria famiglia) è in costante aumento.
Che cosa fa la città
A Belgrado sono due le istituzioni che si occupano a tempo pieno dei bambini di strada. Una è il Prihvatilište, una struttura pubblica gestita dal comune che accoglie varie categorie di minori in situazioni di difficoltà, inclusi i bambini di strada e quelli privi di tutela genitoriale. L’altra è lo Svratište, un centro di accoglienza temporanea fondato e gestito da più di 6 anni da un’organizzazione non governativa locale, il Centro per l’integrazione dei giovani (CIM).
Il Prihvatilište è pensato per accogliere persone di età compresa tra i 7 e i 18 anni che si trovano in situazioni particolarmente critiche, per un periodo massimo di trenta giorni. Il centro, che esiste da più di 50 anni, da tempo versa in cattive condizioni. Non solo la manutenzione è carente, ma lo spazio del centro, che comprende solo 16 posti letto, è di gran lunga insufficiente per ospitare tutti i minori in difficoltà che avrebbero diritto all’accoglienza.
Lo Svratište è un luogo sicuro in cui i bambini di strada possono “fare sosta” (questo il significato del nome del centro) sia di giorno che di notte. Ad accoglierli c’è un team di educatori professionali, pedagoghi, operatori sociali, volontari, e anche uno psicologo e un’infermiera. Nello Svratište i bambini possono riposare, lavarsi, mangiare, giocare, ricevere assistenza medica e psicologica, ma anche imparare insieme a conoscere i propri diritti e i modi in cui farli valere presso le autorità.
Il centro ospita in media ogni giorno 30 bambini, numero che però sale a 70 nei mesi invernali. Gli utenti attivi sono 140, ma il numero totale dei bambini che nel corso dell’anno usufruisce del centro supera addirittura i 600. Si tratta per lo più di maschi, e l’età media è compresa tra i 10 e i 14 anni. La maggior parte di loro sono bambini rom, le cui famiglie abitano in insediamenti informali nelle periferie di Belgrado. Oltre allo staff del centro, c’è un team di operatori di strada che visita quotidianamente gli “hot spots”, ovvero i luoghi della città più critici, per stabilire contatti con i bambini di strada e con le loro famiglie.
Lo Svratište lancia un appello per scongiurare la chiusura
Nel corso degli anni le due istituzioni, pur avendo operato in condizioni precarie, non hanno mai smesso di offrire i propri servizi. Ma lo scorso 22 marzo lo staff del CIM, l’organizzazione che gestisce lo Svratište, ha annunciato l’imminente chiusura del centro. In un comunicato diramato ai media si spiega che il motivo della decisione riguarda il meccanismo attraverso cui vengono finanziate le attività del centro. Lo Svratište infatti viene finanziato, per così dire, “a progetto”, il che comporta una situazione di incertezza e precarietà che il CIM definisce “insostenibile”. Da qui il drammatico annuncio: o si modifica il sistema di finanziamento entro la fine di marzo oppure dal primo aprile lo Svratište sarà costretto a chiudere.
Il budget complessivo del centro è di circa 230.000 euro all’anno. Di questa somma, 130.000 euro sono a carico del Segretariato per la protezione sociale del comune di Belgrado. I restanti 100.000 invece provengono da donazioni di soggetti privati (organizzazioni della società civile, società e singoli benefattori). Quale che sia la provenienza dei fondi, la loro erogazione avviene su base progettuale, ovvero con minime garanzie di continuità. Questo sistema, afferma il CIM, impedisce al centro di operare in modo efficace. Infatti, il reinserimento sociale dei bambini di strada è un processo a lungo termine, che di solito dura anche qualche anno. La situazione è resa ancora più grave dal fatto che il contratto con il comune è scaduto a fine 2012 e ancora non si sa se verrà rinnovato. Come se non bastasse, il comune è in ritardo di vari mesi sui pagamenti arretrati, e così da gennaio gli impiegati del centro non ricevono lo stipendio.
La richiesta avanzata dal CIM è che il servizio di accoglienza temporanea dei bambini di strada venga riconosciuto come “servizio sociale” a tutti gli effetti (come previsto peraltro dalla legge sulla protezione sociale entrata in vigore nel 2011), e che quindi lo Svratište non venga più finanziato “a progetto” ma attraverso un concorso pubblico. In questo modo si garantirebbe un sostegno sostanziale e continuativo a un servizio di cui la stessa città di Belgrado ha riconosciuto pubblicamente l’importanza.
L’annuncio dell’imminente chiusura è stato quindi una specie di “ultimatum” rivolto al ministero competente, quello del lavoro, dell’impiego e delle politiche sociali: se il ministero non si fosse attivato entro la data fatidica del 29 marzo, lo Svratište avrebbe chiuso.
Conto alla rovescia
Venerdì 29 marzo l’atmosfera all’interno dello Svratište è stata febbrile. Alcuni ragazzini guardavano la televisione, un bambino era intento a disegnare, una bambina suonava allegra lo xilofono. Intorno a loro giacevano vari scatoloni, pronti per l’imminente (ma ancora eventuale) trasloco. A gestire il centro in quelle ore decisive vi erano Dragana Teodorović, assistente sociale, e Jelena Vulić, psicologa. E’ con preoccupazione che Dragana mi confermava che se non fosse arrivata nessuna risposta entro la fine della giornata, lo Svratište sarebbe stato costretto a chiudere. Gli scatoloni sarebbero stati portati al Centro diurno di Novi Beograd; si tratta di un centro che offre servizi simili, ma che data la distanza e gli orari ridotti non avrebbe potuto supplire alla funzione dello Svratište.
Jelena mi ha raccontato con orgoglio che lo Svratište, nato qualche anno fa dall’entusiasmo di un manipolo di studenti e volontari che hanno cominciato a prendersi cura dei bambini di strada di Belgrado, è col tempo diventato un’esperienza modello sia per la Serbia che per la regione: “A partire dal nostro esempio sono stati aperti i centri di accoglienza di Novi Sad e Niš, e anche cinque centri in Bosnia Erzegovina, con i quali comunichiamo e scambiamo esperienze regolarmente”. Dragana ha aggiunto che lo Svratište ha sviluppato una rete di relazioni virtuose con altre istituzioni della città, come ad esempio i Centri per il lavoro sociale (cioè i servizi sociali) e lo stesso Prihvatilište.
Mentre parlavamo, i bambini continuavano nelle loro attività, solo apparentemente ignari del destino incerto del centro che per molti di loro è diventato una seconda casa. “Questo periodo è stressante e drammatico”, raccontava Jelena, “e si sono create molte tensioni tra di noi e anche tra i bambini. Le reazioni alla notizia della possibile chiusura sono tante e diverse. Alcuni bambini, soprattutto quelli che frequentano il centro da più tempo, manifestano totale incredulità: per loro lo Svratište esiste ‘da sempre’, e continuerà a esistere per sempre. Altri bambini esprimono rabbia e rancore verso ‘quelli che vogliono farci chiudere’. Altri ancora hanno paura e si sentono smarriti, e chiedono a gran voce ‘da lunedì dove andrò?’."
Epilogo
La risposta del ministero, alla fine, non è arrivata, e lunedì le porte dello Svratište sono rimaste chiuse. Ma la reazioni non si sono fatte attendere, e già la mattina dello stesso lunedì un centinaio di persone, amici e sostenitori dello Svratište, hanno protestato di fronte alla sede del Segretariato per la protezione sociale del comune di Belgrado (video).
E’ in questa atmosfera di incertezza e preoccupazione che lo staff del CIM e il Segretariato si sono riuniti, nell’arco della stessa giornata, per un incontro “di emergenza”. L’esito è stato positivo: il CIM ha accettato di riaprire lo Svratište già dal giorno successivo (martedì), e il Segretariato si è formalmente impegnato a incontrarsi a cadenza settimanale con il CIM per tutto il mese di aprile, con l’obiettivo di risolvere il problema della sostenibilità delle attività del centro. Non si tratta, evidentemente, di un vero e proprio lieto fine, poiché non è stata ancora trovata una soluzione definitiva al problema originario.
E’ doloroso constatare come un’istituzione modello come lo Svratište si sia trovata costretta a ricorrere a un ultimatum (e in un certo senso a un bluff) per richiamare l’attenzione delle autorità pubbliche sulle proprie difficoltà. Probabilmente minacciare la chiusura era l’unico modo in cui lo Svratište poteva davvero sperare di riuscire nell’impresa. Ma è certo che questa dolorosa vicenda vede ancora una volta vittime gli utenti del centro, quelle decine di bambini e bambine, ragazze e ragazzi che hanno passato giorni nel timore di essere privati di un servizio di vitale importanza per il loro benessere e, spesso, per la loro stessa sopravvivenza.
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