Beato chi è nato parlamentare
Gli abitanti del villaggio di Jrapi nella regione di Shirak si svegliano ogni mattino affacciandosi sulle colline di fronte dove è scritto: beato chi è nato turco
Di Tigran Paskevichyan, per Hetq online novembre 2007 (titolo originale: "Happy is He Who is Born a Congressman ").
Traduzione per Osservatorio Caucaso: Chiara Sighele
Gli abitanti del villaggio di Jrapi nella regione di Shirak si svegliano ogni mattino affacciandosi sulle colline di fronte dove stanno scritte parole incomprensibili in una lingua straniera. Jrapi è un villaggio di frontiera e le colline si trovano al di là del confine, in Turchia.
"Che c’è scritto su quella collina" ho chiesto al vicesindaco del paese Pargev Balasanyan.
"Beato che è nato turco", mi risponde
"Non è psicologicamente pesante vedere quella scritta tutti i giorni?"
"La cosa difficile è vivere qui, cosa ci importa di quella scritta?"
Gli abitanti di Jrapi sono agricoltori e allevatori. Le industrie vengono a raccogliere il loro latte, mentre il raccolto – grano e orzo – è appena sufficiente per gli abitanti stessi. La cattiva qualità delle sementi, la mancanza di fertilizzante e l’abitudine di rifiutare l’acqua per l’irrigazione per economizzare producono poveri raccolti.
"Certo, abbiamo aree irrigate, ma poi bisogna avere denaro a sufficienza per pagare l’acqua" spiega Pargev Balasayan, "Il sistema di irrigazione è montato, tutto quel che serve sono i soldi". Le persone del villaggio non hanno soldi per pagare le acque irrigue. Poiché loro non pagano, le loro terre non ricevono acqua. E poiché la terra non riceve abbastanza acqua, i raccolti sono miseri. E poiché il raccolto è misero, i paesani non hanno soldi per comprare l’acqua da irrigare. Così si finisce in un circolo vizioso e l’unico modo per venirne fuori per alcuni è andarsene dal villaggio.
"Abbiamo dai 60 ai 70 ettari di terreno di nostra proprietà che non possiamo coltivare. Non c’è denaro, quindi niente sementi. Questa è la ragione per cui molti sono costretti a lasciare il paese" racconta il vicesindaco, convinto che i suoi due figli – attualmente soldati di leva nell’esercito – vorrebbero andarsene dal paese una volta terminato il servizio militare.
"In città le persone riescono a guadagnare abbastanza per mantenere le loro famiglie e affittare un appartamento. Qui non devono pagare l’affitto, ma non hanno soldi per mantenere la famiglia. Ci sono giovani al villaggio che non se la sentono di sposarsi e di metter su famiglia. Ci sono giovani che a 35 o 40 anni sono ancora da sposare."
Pargev Balasanyan è convinto che la situazione potrebbe essere migliorata se il governo intervenisse in qualche modo. Gli abitanti del paese dovrebbero avere la possibilità di accendere mutui di lungo periodo in modo da poter coltivare in modo adeguato i loro terreni. "Questo garantirebbe ai residenti una seria opportunità e allo stesso tempo aumenterebbe il loro senso di responsabilità" dice il vicesindaco. "Le persone farebbero di tutto per restituire il denaro preso in prestito e quando vedranno che le cose iniziano a funzionare, non se ne andranno."
Nel villaggio15 persone ricevono un sussidio di stato, mentre circa 30 ricevono un salario governativo. Il resto vive del denaro inviato loro dai parenti all’estero. Circa il 30 per cento delle persone del paese non vive qui. Il numero degli scolari è diminuito di circa 100 unità negli giro di 10 anni. "19 o 20 ragazzi si diplomano, ma le nuove ammissioni contano solo 8 o 9 bambini" racconta la preside della scuola, la signora Antaramyan.
Lo stabile della scuola, costruito nel 1974, non ha più subito alcun lavoro di rinnovamento negli ultimi 33 anni. Dopo il terremoto fu dichiarato edificio pericolante e le classi furono spostate in via provvisoria in una piccola struttura di legno. Anni dopo, un altro comitato decise che dopo tutto le condizioni dell’edificio ne permettevano l’uso. Prima che le classi rientrassero nella vecchia scuola fu rifatto il soffitto e furono apportate piccole modifiche. "Non siamo tuttora sicuri delle condizioni in cui versa la struttura. Ci sono classi in cui non permettiamo agli studenti di entrare quando piove" spiega la direttrice.
Nonostante ciò, il livello di istruzione degli scolari è piuttosto alto e molti di loro proseguono gli studi nelle università di Yerevan. Una volta ottenuta la laurea questi ragazzi non tornano al paese. Sia il vicesindaco sia la direttrice della scuola lo trovano ovvio. "Cosa farebbero se tornassero al villaggio? L’unico posto dove potrebbero lavorare è la scuola, ma non abbiamo insegnanti in procinto di andare in pensione."
I muri dei corridoi della scuola non hanno uno spazio vuoto a cercarlo. Poster di ogni dimensione parlano di ogni genere di questione patriottica e morale. Le parole di Khachatur Abovyan – "Cedi il tuo respiro, cedi la tua anima ma non cedere la tua Patria al nemico" – dovrebbe essere nel cuore di ogni ragazzo, secondo la signora Antaramyan. "Instilliamo molto amore per la patria nei nostri ragazzi" dice, raccontando di come i ragazzi abbiano partecipato alla veglia per Hrant Dink.
Lasciando il villaggio, ho guardato ancora una volta le colline al di là del confine. Ho letto la scritta straniera e mi sono ricordato che in quei giorni il Congresso degli Stati Uniti stava discutendo una risoluzione sul riconoscimento del Genocidio . "Felice chi è nato uomo del Congresso" mi sono detto e così me ne sono andato dal paese di Jrapi nella regione di Shirak.
editor's pick
latest video
news via inbox
Nulla turp dis cursus. Integer liberos euismod pretium faucibua