Baščaršija la bella
L’antico mercato ottomano è uno dei simboli di Sarajevo. È con questo reportage che si chiude un nostro intenso viaggio attraverso i bazar dei Balcani
Sarajevo esprime in pieno la sua identità e la sua storia nella Baščaršija: un quartiere di stampo ottomano che sopravvive orgogliosamente al tempo e alla storia travagliata dei Balcani. È il cuore di una città che attira sempre più turisti e sembra abbia cancellato i segni della guerra. Esprime il suo fascino ottomano fin nel suo nome, che deriva dalla parola turca saraj, palazzi, suggerendo qualcosa di storicamente urbano e raffinato. Qui l’identità ottomana è sinonimo di urbano, storico e tradizionale. La guerra e gli sviluppi demografici non sono riusciti a cambiare quest’anima.
La più bella delle čaršije
Si chiama Baščaršija, che in turco significa “la čaršija* principale”, suggerendo che in passato la città ne ha avute delle altre. Questa però era la più importante, situata nel cuore della città. Insieme a quella di Skopje, la čaršija di Sarajevo è tra le più grandi dei Balcani ed è sicuramente la più bella e raffinata. Sin dagli anni ’60 è un’attrazione turistica, scelta in periodo jugoslavo dalle autorità per dimostrare il carattere multietnico di quella Jugoslavia su scala ridotta che era la Bosnia Erzegovina. Ma anche come miglior esempio di bazar tipico ottomano, da preservare a titolo museale e storico per aver un’idea della storia ottomana. Un’eccezione al principio modernizzante che ha caratterizzato gran parte dei piani regolatori delle città balcaniche nel Dopoguerra.
La sopravvivenza della Baščaršija non è solo legata al volere delle autorità comuniste. I regimi del secondo Dopoguerra sono solo una delle sfide che la Baščaršija ha dovuto affrontare. Ben prima, essa ha dovuto fare i conti con il governo austro-ungarico sotto il cui controllo il territorio della Bosnia Erzegovina era passata nel 1878.
Gli austroungarici avevano progettato di sostituire alla Baščaršija, ai suoi negozi, agli han, ai caffè, vicoli e acciottolato, un quartiere progettato secondo i canoni architettonici in voga nell’allora Mitteleuropa ma il progetto si scontrò con l’opposizione dei cittadini di Sarajevo.
A quell’epoca risale la Biblioteca nazionale, ora in ricostruzione, un edificio inserito tuttavia nell’armonia della Baščaršija, che poi si è guadagnato una drammatica fama mondiale quando nel 1994 è stato bombardato e bruciato facendo perdere nel nulla migliaia di manoscritti e pezzi della cultura ottomana, balcanica e sefardita che vi erano custoditi.
Parte di questa storia è anche la Inat kuća, un ristorante tradizionale, rimasto fedele ai gusti ottomani, in riva al fiume Miljačka. Abbattuto in nome della modernizzazione austroungarica della Baščaršija e poi ricostruito “per ripicca” sull’altra sponda del fiume, dove si trova tuttora.
Capacità d’adattamento
A garantire la sopravvivenza della Baščaršija è anche la sua capacità di assorbire la modernità e di adattarvisi, la capacità di trasformarsi senza autodistruggersi.
L’evoluzione nei secoli è visibile nelle sedimentazioni dell’architettura della čaršija. Si parte dal suo vecchio cuore, in cui si trova la moschea. Allontanandosi si incrociano la Biblioteca nazionale, la birreria più antica della città e, nella direzione opposta, l’evoluzione architettonica diventa progressiva: i negozi ottomani lasciano il posto agli edifici austroungarici, che a loro volta vengono progressivamente sostituiti dalle squadrate geometrie dei palazzi del Dopoguerra, per poi finire con i centri commerciali e le tendenze attuali.
Musulmani
La Baščaršija è tra le poche čaršije nei Balcani in cui si è conservata un’atmosfera autentica. I commercianti e gli artigiani della čaršija sono vecchi sarajevesi che sono ritornati dopo la guerra nelle loro botteghe e hanno ripreso a lavorare come i loro antenati.
La guerra ha cambiato di poco la struttura della čaršija. Tra i fabbri in uno dei vicoli della čaršija, si nota un caso insolito: una donna, che dopo che il marito è deceduto in guerra, ha imparato il suo mestiere, quello di fabbro, per riuscire a sfamare i figli orfani di padre.
La maggior parte dei commercianti sono musulmani. Gli storici dicono che anche prima della guerra la maggior parte dei negozi della čaršija era gestita da musulmani. Sono numerosi gli albanesi che gestiscono per lo più panifici e pasticcerie, e si nota qualche negozio di kebab, gestito da turchi arrivati negli ultimi anni.
Si contano con le dita di una mano i serbi. “Io sono un sarajevese, un bosniaco di religione ortodossa – mi dice il proprietario di una bottega che sfoggia sulla porta d’ingresso il nome Blagojević. Dice di non si essersi mai allontanato dalla čaršija ma si rifiuta categoricamente di parlare degli anni della guerra ed esprime il suo disagio nel vedersi schiacciato da categorie nelle quali non si riconosce.
Gli artigiani scomparsi e ritrovati
Come tutte le čaršije, anche Baščaršija sta subendo diverse trasformazioni, adeguandosi ai dettami del mercato globale. “Sta diventando un luogo di ritrovo, di soli caffè”, si lamenta un artigiano. “Morta la nostra generazione non ci sarà più nessuno nella Baščaršija a fare dell’artigianato – spiega il rappresentante dell’associazione degli artigiani – francamente neanch’io spingerei i miei figli a imparare un mestiere che oggi è poco redditizio e che richiede un enorme sforzo fisico”.
Ma nella čaršija vi sono anche esempi di nuovo tipo di artigianato. Un negozio vende dei capi di abbigliamento fatti a mano dalle donne rifugiate, per le quali questo tipo di mestiere è tra i pochi mezzi di sostentamento. Una ex costumista di teatro invece crea e vende altri capi di abbigliamento, ispirati ai principi e agli ambienti dell’abbigliamento di scena.
Turismo, storia e futuro
Mentre il turismo e la globalizzazione rischiano di non risparmiare Sarajevo, l’introduzione dei princìpi del turismo responsabile sembra essere l’unico modo per riuscire a mantenere l’autenticità della Baščaršija.
Ad avviare tale tipo di sensibilizzazione è, tra gli altri, un progetto realizzato nell’ambito del programma Seenet II che, in collaborazione con le associazioni locali, come quella dei giovani artigiani ‘ZUP’, provvederà all’apertura di una casa dei mestieri, dove poter assistere allo svolgimento di antichi lavori. In seguito sarà aperta una scuola dei mestieri, per fare in modo che anche le giovani generazioni si possano inserire nella čaršija rispettandone le tradizioni.
Seguendo i princìpi del museo diffuso, cioè un sistema museale che valorizza e collega tra loro gli oggetti della vita quotidiana, i paesaggi, l’architettura e le testimonianze orali della tradizione di un determinato territorio, il progetto mira a preparare il visitatore alla visita in chiave tematica del resto della città.
“Sarajevo è una città estremamente reattiva ai cambiamenti, e alle nuove tendenze del tempo” affermano Selma Nametak e Daria Antenucci del progetto Oxfam, promotore nell’ambito di Seenet del progetto a Baščaršija “con il turismo responsabile Baščaršija avrà un’altra occasione per cambiare, adeguarsi ai tempi e riproporre ancora la sua autentica identità”.
* Per facilitare la lettura si è scelto di usare il termine in versione ‘bchs’ (čaršija) nei testi riguardanti la Bosnia Erzegovina e la Serbia; in quelli sull’Albania, l’ortografia albanese (çarshija); invece per i bazar in Kosovo e Macedonia vengono usate indifferentemente entrambe le diciture.
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