Bandera, UPA e SS Galizia: il controverso frammento di passato dell’Ucraina
Il recente scandalo nella Camera dei comuni canadese, in cui il veterano delle Waffen SS Galizia Jaroslav Hunka è stato presentato come un “eroe ucraino e canadese”, portando alle dimissione del portavoce del Parlamento Anthony Rota, ha riacceso un vivace e controverso dibattito sulle questioni storiografiche dell’Ucraina e dell’Europa orientale
La guerra di invasione della Russia all’Ucraina ha amplificato e radicalizzato le voci di chi, sin dal 2014, e in alcuni casi ancor prima, sostiene come fra Mosca e Kyiv quello attuale sia solo l’atto più lampante di una lotta plurisecolare, iniziata ancor prima della costituzione formale degli Stati nazionali. Una concezione primordialista che affonda le radici nelle dispute attorno a una narrazione condivisa del passato, mentre la vacua fratellanza dei popoli sovietica ha lasciato spazio a rivendicazioni sempre più etno-nazionaliste.
Dalla Rus’ di Kyiv ai cosacchi, dall’epoca zarista all’Unione Sovietica, la Storia è sempre stata al centro della guerra di parole in cui gli imperialisti russi e i nazionalisti ucraini assumono nulla più che i due poli estremi del dibattito, mentre a tessere le trame di slogan populisti e recriminazioni reciproche sono le élite politiche e quelle intellettuali (spesso) dalle prime sponsorizzate.
Ma se le questioni storiografiche sopra citate sono quasi sempre rimaste nei confini del dibattito interno ai due paesi, la memoria attorno alla Seconda guerra mondiale – essendo quella più politicizzata ed evocativa – coinvolge diversi attori in vario modo coinvolti, e spesso offesi, dalle giravolte politiche e dai revisionismi di Mosca e Kyiv, diventati pure un fattore di mobilitazione e propaganda nei tragici eventi odierni.
Da una parte la retorica crescentemente esclusivista della Grande guerra patriottica nell’era Putin ha esasperato la narrazione auto-compassionevole dei paesi baltici, e dell’Europa centro-orientale in generale, per cui la fine della guerra mondiale "non aveva significato alcuna partecipazione tangibile alla vittoria, né tantomeno l’inizio dell’era della libertà" secondo le parole pronunciate dall’ex presidente polacco Bronislaw Komorowski nel 2015.
In Ucraina, al contrario, si è assistito a una parziale riabilitazione di formazioni militari dal ruolo controverso, comprese quelle macchiatesi di aperta adesione alla Wermacht, durante l’Operazione Barbarossa che sancì l’invasione nazista dell’Unione Sovietica, e la rottura del patto Molotov-Ribbentrop. Fra esse, figura proprio la 14. Waffen-Grenadier-Division der SS Galizien in cui ha militato dal 1943 al 1945 il novantottenne Jaroslav Hunka, descrivendolo come il "periodo più bello della sua vita".
La SS Galizia fu formata su base volontaria proprio nel 1943 dal generale nazista Otto von Wächter e dal collaborazionista ucraino Volodymyr Kubijovyč. Quest’ultimo sperava che i tedeschi avrebbero favorito la formazione di uno Stato etnicamente ucraino, senza ebrei e polacchi all’interno del Governatorato generale.
Kubijovyč era un sostenitore dell’OUN-M, nata dalla scissione dell’Organizzazione dei nazionalisti ucraini a inizio anni ’40 fra i sostenitori del più anziano Andrij Mel’nik, e quelli del giovane radicale Stepan Bandera (OUN-B), condannato nel 1935 alla pena di morte, poi commutata in ergastolo, per il coinvolgimento nell’omicidio del ministro degli Interni polacco Bronisław Pieracki.
Prima della scissione, l’OUN si era ispirata durante gli anni ’30 ai fascismi europei, in particolare quello italiano: Mussolini fu un’ispirazione per diversi leader dell’estrema destra europea. A Roma l’OUN ha avuto contatti di alto livello con l’élite del PNF, similmente agli ustascia croati. Uno dei fratelli di Bandera, Oleksandr, in Italia pure si sposò con una familiare del ministro degli Esteri Galeazzo Ciano , prima di morire ad Auschwitz nel 1942.
Tornando al fratello più celebre, evaso dal carcere nel 1939 in seguito all’invasione nazista della Polonia, Stepan manterrà contatti con l’Abwehr, i servizi segreti tedeschi. Con l’annuncio dell’invasione dell’Urss il 30 giugno 1941, Bandera e gli ultranazionalisti ucraini dell’OUN proclamano a Leopoli lo Stato ucraino indipendente, una decisione tuttavia da subito liquidata da Hitler e dai gerarchi nazisti. Bandera e altre figure percepite come irrequiete e inaffidabili vengono arrestate, sebbene la natura del loro rapporto con i tedeschi sia dibattuta dagli storici anche in seguito al 1941.
Nell’ottobre del 1942, mentre Bandera è ancora in un lager e considerato prigioniero politico di alto profilo, viene formato l’Esercito insurrezionale ucraino (UPA). L’UPA è attiva in Galizia e Volinia in una triplice lotta antibolscevica, antipolacca e – con la crescente consapevolezza del fallimento dell’Operazione Barbarossa – pure antinazista, a differenza delle SS Galizia (poi comprese nell’Esercito nazionale ucraino nella fase finale della guerra) che combatteranno al fianco dei tedeschi sino all’aprile 1945.
La riabilitazione dell’UPA e di Bandera da parte di Kyiv ha generato le critiche della comunità accademica e politica internazionale: i partigiani dell’UPA sono tutt’oggi accusati di coinvolgimento nell’Olocausto ebraico e nella pulizia etnica dei polacchi in Volinia tra il 1943 e il 1944. Quest’ultimo evento, derivante nell’uccisione di massa di circa 50.000 persone secondo lo storico Jared McBride, è stato poi sancito come genocidio dal Senato polacco nel 2016, che ha pure alzato le stime delle vittime a 100.000. Si è trattato in realtà di una decisione altamente politicizzata, una risposta della Polonia alle conseguenze della de-comunistizzazione di Petro Porošenko.
Nell’equiparare comunismo e nazismo, le leggi del 2015 hanno creato un vuoto nella memoria ucraina della Seconda guerra mondiale, gradualmente erosa dall’istituzionalizzazione di membri e simboli dell’UPA nell’iconografia statale post-Maidan e il declassamento dei più numerosi veterani dell’Armata Rossa. Oltre all’evidente contrasto con la narrazione russa e putinista, il nuovo contesto memoriale ucraino ha subito forti recriminazione da parte di Polonia e Israele, a riprova di come la questione dei banderivcy non riguardi unicamente Kyiv e Mosca.
Il culto di Bandera nell’Ucraina post-Rivoluzione Arancione
Il più dettagliato lavoro biografico sulla vita di Stepan Bandera è stato compiuto dallo storico polacco Grzegorz Rossoliński-Liebe, autore delle oltre 650 pagine di Stepan Bandera: The Life and Afterlife of a Ukrainian (Ibidem Verlag, 2014).
Per far capire la dimensione della polarizzazione e violenza che continua a muoversi attorno alla figura di Bandera, basta menzionare un episodio avvenuto nel 2012, quando il presidente filorusso Viktor Janukovyč era ancora alla guida dell’Ucraina. Rossoliński-Liebe fu invitato dall’ambasciata tedesca in Ucraina a tenere alcune conferenze incentrate sul suo lavoro di dottorato presso l’Università di Amburgo, da cui nascerà poi il libro sopracitato.
A Leopoli e Dnipro non si riuscì a trovare un luogo sicuro in cui tenere il dibattito, mentre la conferenza a Kyiv venne attaccata da un centinaio di manifestanti del partito di estrema destra Svoboda, che hanno definito lo storico polacco “un nipote di Goebbels” e un “fascista liberale di Berlino”, mobilitando la difesa degli accademici che da tempo seguivano l’evoluzione del nazionalismo ucraino e della storiografia post-sovietica, senza per questo mai esprimersi ambiguamente sulle politiche espansioniste del Cremlino e la sua ingerenza negli affari interni, compresi quelli culturali e storiografici, degli Stati indipendenti dello spazio post-sovietico.
Per capire le controversie storiografiche dell’Ucraina post-Maidan, bisogna tuttavia fare un passo indietro. A metà anni Zero, la cosiddetta “liberalizzazione della memoria” post-Rivoluzione Arancione, condotta dal presidente Viktor Juščenko (anche) per decostruire il mito russo-centrico della Grande guerra patriottica, è stata poi cooptata soprattutto da Svoboda e altre forze politiche ed extraparlamentari dell’estrema destra. Ironicamente, la liberalizzazione della memoria ha innescato processi autocratici e violenti attorno alle interpretazioni di essa.
Una delle decisioni più polarizzanti all’interno del paese, così come criticata dagli alleati europei, fu il titolo di “Eroe dell’Ucraina” concesso a Stepan Bandera durante i mesi finali della presidenza di Juščenko nel 2009, una decisione poi ribaltata nel 2011 dal tribunale amministrativo di Donec’k, storicamente incline alle pressioni politiche del Partito delle Regioni di Janukovyč.
Nonostante l’evidente politicizzazione di entrambe le decisioni, lo storico svedese Per Anders Rudling già nel 2011 sottolineava come “ironicamente, alcune interpretazioni storiche del suo successore Viktor Janukovyč e dell’elettorato nell’est e nel sud del Paese sono più in linea con il resto d’Europa rispetto a quelle di Juščenko, che descrive la sua politica come orientata verso l’Occidente”.
Il ruolo di Bandera e dell’UPA nella nuova dottrina storiografica post-Maidan
La percezione di Bandera e dei partigiani UPA ha assunto ulteriori risignificazioni durante le proteste di Euromaidan nel 2013-14, in cui il movimento Pravij Sektor (che già nella bandiera rosso-nera richiama all’UPA) e gli attivisti di estrema destra di Svoboda, seppur parte minoritaria della piazza, hanno svolto un ruolo chiave durante l’escalation di violenza con i titushki filogovernativi e la polizia antisommossa Berkut.
In modo costante durante i raduni a Maidan, i ritratti di Bandera hanno accompagnato gli eventi di protesta, a riprova di come l’ex leader degli ultranazionalisti ucraini continuasse a esercitare un’influenza magnetica su una parte dello spettro politico più radicale, nazionalista e antirusso.
Durante la sua presidenza, Porošenko ha spesso strizzato l’occhio ai simpatizzanti del movimento OUN-UPA attraverso alcuni decreti storiografici e toponomastici collegati alle leggi di de-comunistizzazione, in seguito alle quali è stata istituzionalizzata la simbologia dell’Esercito insurrezionale ucraino, mentre strade sono state re-intitolate e monumenti sono stati eretti – soprattutto nell’Ucraina occidentale – ad alcuni combattenti dell’UPA.
Un processo per certi versi simile a quello avvenuto negli anni ’90 in Croazia verso leader ustascia come Mile Budak e Jure Francetić, nell’ambito della c.d. politica di conciliazione nazionale di Franjo Tuđman, primo presidente croato e fautore della pomirba, la pacificazione fra partigiani e combattenti nazionalisti croati.
Dal punto di vista storiografico e istituzionale, il direttore, fra il 2014 e il 2019, dell’Istituto della memoria ucraino Volodymyr V"jatrovyč, vicino agli ambienti della destra nazionalista, è stato accusato a più riprese da accademici e giornalisti occidentali di imbiancare il passato controverso dell’UPA a scopi politici, attraverso l’uso di fonti storiche deboli o inesistenti. Questi processi hanno avuto inevitabili conseguenze pure sulla descrizione dei nazionalisti ucraini nei manuali scolastici di Storia.
In questo senso va letta la parziale presa di distanza di Zelensk’yj dalle politiche culturali e memoriali di Porošenko, mentre il nuovo direttore dell’Istituto della memoria Anton Drobovyč ha parzialmente preso le distanze da V"jatrovyč parlando di “de-comunistizzazione creativa” come leitmotiv del nuovo corso dell’Istituto.
Lo stesso presidente ucraino nell’aprile 2021 aveva espresso una forte condanna per una marcia, di circa 300 persone, con simboli delle SS Galizia nel centro di Kyiv. Nonostante le leggi di de-comunistizzazione del 2015 proibissero pure la simbologia nazifascista, in seguito a una lunga diatriba legale quelle della divisione galiziana non furono considerate tali.
Dopo lo scandalo canadese di metà settembre, ha però fatto scalpore la mancata presa di distanze formale da parte di Zelensk’yj, che nell’Olocausto ha perso parte della sua famiglia, nei confronti dell’accaduto. Alcuni giorni dopo, durante una cerimonia militare in cui il presidente ucraino era presente, il 131° battaglione, composto da ultranazionalisti dell’UNA-UNSO, è stato rinominato in onore del fondatore dell’OUN Jevhen Konovalets’, ucciso nel 1938 da un agente dell’NKVD a Rotterdam.
Ciò è sintomatico di come le questioni di trasparenza storiografica non siano la priorità dell’Ucraina sotto attacco russo, e di come, anzi, vadano a rinforzarsi le pressioni di alcuni componenti dell’estrema destra nella normalizzazione della propria simbologia all’interno dell’esercito. A lungo termine, si tratta di un processo carico di rischi a livello comunicativo e simbolico.
Con l’eccezione di un controverso e impreciso articolo di Politico, nei paesi occidentali vi è stato un forte imbarazzo per l’ambiguità da parte ucraina, in un periodo storico in cui lo stesso dogma del sostegno incondizionato comincia a vacillare per questioni legate ai processi politici interni all’alleanza filo-ucraina. In tal senso, la carta della propaganda russa funge come facile scusa per non prendere passi decisivi nella condanna definitiva di una delle pagine più buie della storia del paese, fornendo un’ulteriore – e questa volta volontario – assist alla retorica del Cremlino.
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