Balcani sottotono al Torino Film Festival
Alla 28ma edizione del Torino Film Festival, tenutasi dal 26 novembre al 4 dicembre 2010, i film balcanici hanno deluso le aspettative. Ad eccezione di “L’autobiografia di Ceausescu” di Andrei Ujica anche il cinema romeno non ha convinto
Cinema dei Balcani un po’ sotto le attese al 28° Torino Film Festival che ha chiuso il 2010, ma già alla ribalta nel nuovo anno. Il film d’apertura del Festival di Rotterdam, il primo dei grandi appuntamenti europei di stagione in programma dal 26 gennaio al 6 febbraio, sarà il greco “Wasted Youth” di Argyris Papadimitropoulos (il cui esordio “Bank Bang” nel 2008 era stato un buon successo commerciale in patria) e Jan Vogel, storia di sedicenni in una calda giornata estiva ad Atene.
Al di là del potente “Autobiografia lui Nicolae Ceausescu – The Autobiography of Nicolae Ceausescu” di Andrei Ujica, già passato al Festival di Cannes e acquistato per l’Italia da Cinecittà Luce (che si spera lo distribuirà presto e in modo adeguato), gli altri film passati a Torino non si sono dimostrati al livello delle aspettative.
L’atteso romeno “Portretul luptatorului la tinerete – Portrait of the Fighter as a Young Man” di Constantin Popescu era tra i 16 del concorso internazionale torinese, ma è stato a ragione ignorato dalla giuria presieduta da Marco Bellocchio, che ha premiato l’ottimo “Winter’s Bone” dell’americana Debra Granik, di gran lunga il migliore del lotto. L’esordio nel lungometraggio di uno dei cinque registi di “Racconti dell’età dell’oro” (l’episodio “La leggenda del camionista di pollame”) è il racconto delle vicende di alcuni gruppi di giovani che, dopo l’invasione sovietica della Romania del 1944, scelsero la resistenza armata nelle campagne e sulle montagne.
Il film racconta la vita e le azioni di uno di questi gruppi di combattenti – fino alla resa alla fine degli anni ’50 – descrivendo l’amicizia tra i suoi componenti, le imboscate, i tradimenti, gli scontri a fuoco. Un film tutto fughe e inseguimenti, su per i monti, tra i campi, i boschi, un movimento perpetuo che ben presto ha come unico scopo la pura sopravvivenza. La macchina da presa non sta ferma un attimo e ben si adegua a questa condizione esistenziale dei ribelli, anche se non ci sono i lunghi piani sequenza che caratterizzano gli altri registi del giovane cinema romeno.
Il limite del film (che in origine durava quasi tre ore e poi è stato ridotto a due) lo si individua nei seguenti elementi: i personaggi raccontati hanno scarsi contatti con il resto del mondo, non è mai chiaro a cosa siano finalizzati i loro sforzi se non a una resistenza ad oltranza al comunismo (ma senza veri piani o organizzazioni per rovesciarlo) e alla sopravvivenza. Tra gli interpreti Constantin Dita, Bogdan Dumitrache, Alexandru Potoceanu, Mihai Constantin e i più noti Mimi Branescu e Razvan Vasilescu.
Nella sezione “Onde”, la più sperimentale, ha incuriosito ma non convinto del tutto il greco “Mesa sto dasos – In the Woods” di Angelos Frantzis, girato in modo indipendente utilizzando la funzione video di una fotocamera digitale. Due ragazzi e una ragazza tra un bosco e il mare, le corse, i giochi, anche sessuali, la natura come limbo delle pulsioni che irrompono nei corpi dei protagonisti, tra mistero, desiderio e paura. Un viaggio visionario che non segue nessuna linea narrativa, un’immersione nelle emozioni e negli archetipi della giovinezza, della paura e della sensualità.
Tra i documentari del concorso “Italiana.Doc” (vinto da “Bakroman” di Gianluca e Massimiliano De Serio) c’era “I racconti della Drina” di Andrea Foschi e Marco Neri, girato a Bratunac, in Bosnia. Al centro del film Stanoika “Cana” Tešić, che nel 1999 fondò il Forum Žena per riunire donne dei diversi gruppi nazionali, sua figlia Vladana e le loro compagne.
La costruzione dell’ora e mezza di racconto è lacunosa, ci sono troppe cose e allo stesso tempo troppo poche, gli autori non fanno una vera scelta del come rappresentare queste donne e questo luogo. Così introducono temi che poi lasciano in sospeso, e magari riprendono mezz’ora più tardi senza svolgerli o farli proseguire. Il documentario dà l’impressione di non partire mai: finisce per essere poco comprensibile e appassionante per chi conosce in modo approssimativo la situazione bosniaca e risultare superficiale e abbozzato per chi la conosce. Anche delle protagoniste non è restituita sullo schermo la forza con la quale portano avanti i loro progetti. “I racconti della Drina” finisce con il non soddisfare né come ritratto di donne né come rappresentazione di un luogo ancora pervaso dalle tragedie degli anni ’90 e dalle fatiche del periodo successivo. In più, nonostante sia ambientato a 10 chilometri da Srebrenica, il massacro del luglio ’95 è come se non fosse avvenuto, come se non fosse uno dei tanti tasselli (il più sanguinoso) che ancora condizionano la vita in quell’angolo di Bosnia. Una scelta forse legata al fatto che la televisione della Republika Srpska è coproduttrice dell’opera, ma che comunque rende il quadro incompleto.
Infine due progetti romeni e uno bosniaco sono stati tra i vincitori del Torino Film Lab. Il più consistente premio dei Production Awards (140.000 euro) è andato a “Wolf” del romeno Bogdan Mustata (già Orso d’argento per il miglior cortometraggio alla Berlinale 2008), “per la sua assoluta libertà nel creare un paesaggio originale e per il profondo impatto della sua verità emozionale”. “Bait” di Aida Begić (vincitrice della Semaine de la Critique a Cannes con “Snijeg – Snow”) ne ha ricevuti 100.000 con la motivazione: “Per una voce genuina che illumina la memoria di una generazione e plasma un presente da sogno”. Tra i sei progetti ammessi al Development Programme del 2011 anche “Romanian Spring” di Anca Miruna Lazarescu.
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