Balcani, sognando un futuro altrove
Sono in tanti, soprattutto giovani e qualificati, a emigrare o sognare di emigrare dai Balcani verso altri paesi europei. Un fenomeno che mette a rischio interi settori dell’economia e necessita di risposte urgenti
Quasi ogni notte a Tetovo, Macedonia del Nord, pullman pieni di lavoratori migranti partono diretti in Italia, Germania e Svizzera, le principali destinazioni per i migranti macedoni.
Sui volti delle persone si legge la tristezza causata dal vuoto che le ondate migratorie stanno lasciando nella regione di Polog (Macedonia nord-occidentale). La Macedonia del Nord, tuttavia, non è un caso isolato, poiché la massiccia emigrazione delinea un futuro cupo per tutti i Balcani occidentali.
L’emigrazione di massa riguarda soprattutto i lavoratori qualificati, in particolare medici e operatori sanitari, che hanno le migliori possibilità di trovare lavoro dignitoso nei paesi dell’UE.
Insicurezza sociale, scarsa assistenza sanitaria, precarietà economica, disoccupazione e clientelismo, nonché la discriminazione nei confronti di gruppi vulnerabili come le minoranze etniche, le donne e le persone LGBT, sono le ragioni principali che spingono a lasciare i Balcani occidentali, spiega Zhivka Deleva, ricercatrice indipendente sulle migrazioni presso l’"Interkulturanstalten Westend e.V." a Berlino.
Boban Gjakov, 38 anni, è uno specialista in ginecologia e ostetricia. Nel 2011 ha lasciato Skopje e si è trasferito in Slovenia per cercare stabilità economica. "È una sensazione triste e disperata, quando sei un medico e lo stato ti butta via come spazzatura", dice.
Secondo Gjakov, trovare un lavoro dignitoso nella Macedonia del Nord richiede forti connessioni politiche. "Mi sono pagato anni di studi, e alla fine lo stipendio iniziale negli ospedali macedoni era inferiore a quello che prendevo da cameriere", racconta amaramente.
Secondo la Banca mondiale, quasi 500mila cittadini della Macedonia del Nord vivono attualmente all’estero, vale a dire il 25% della popolazione totale.
A preoccupare Dejan Nakovski, professore universitario a Skopje ed esperto di migrazioni, sono le possibili disfunzioni che l’emigrazione potrebbe portare in alcuni settori. "Questo è legato al livello di istruzione e status sociale dei migranti, ad esempio: l’emigrazione del personale medico porta a disfunzioni nell’assistenza sanitaria, l’emigrazione dei lavoratori generici porta alla carenza di manodopera nel settore industriale ecc.”, afferma Nakovski.
Emigrazione di massa anche nel vicino Kosovo
Tra il 2008 e il 2018, i paesi UE hanno rilasciato circa 245mila permessi di soggiorno per lavoro ai cittadini del Kosovo. Secondo dati EUROSTAT, quasi la metà di questi permessi è stata rilasciata dall’Italia, ma molti professionisti, in particolare nel settore sanitario, scelgono la Germania.
Vigan Roka, 32 anni, è tra i molti medici che hanno lasciato la regione. Nel 2013 è andato in Germania per la specializzazione in oftalmologia. Il motivo principale della scelta sono state le condizioni offerte dalla clinica universitaria. "Era impossibile realizzare il mio sogno di diventare un chirurgo oculista in Kosovo, quindi ho dovuto partire, con il cuore spezzato, ma molto motivato", racconta.
La tendenza è evidente: solo nella piccola città di Detmold ci sono altri sei medici che, come Roka, provengono da Gjakova, nel Kosovo occidentale.
Ancora più preoccupante è il numero di operatori sanitari e infermieri che lasciano il Kosovo. La Camera degli infermieri e professionisti sanitari del Kosovo riceve quotidianamente decine di richieste di licenze e certificati etici, documenti necessari per ottenere un visto di lavoro per l’UE.
Naser Rrustemaj, a capo della Camera degli infermieri del Kosovo, afferma che ogni giorno il sistema perde da tre a cinque professionisti. "La preoccupazione maggiore è che stiamo perdendo gli infermieri che lavorano in dipartimenti come la terapia intensiva, e la formazione per queste posizioni richiede molto tempo, oltre due anni", sottolinea.
La Germania ha bisogno di operatori sanitari, afferma Vigan Roka, che fa il medico in Germania da oltre cinque anni. "La clinica in cui lavoro fatica a trovare specialisti e infermieri, e questo innesca un costante movimento di operatori sanitari verso la Germania", spiega.
La migrazione irregolare rimarrà bassa, ma aumenterà la migrazione regolare, afferma Besnik Vasolli, esperto di integrazione UE che lavora in Kosovo. "Vediamo un aumento dei permessi di lavoro negli Stati membri UE come Germania, Croazia e Slovenia", afferma.
Le ultime elezioni in Kosovo hanno portato cambiamenti politici e qualche speranza; tuttavia, secondo Vasolli, questa avrà vita breve. "Le difficoltà economiche non scompariranno, il nuovo governo farà fatica a mantenere le promesse fatte durante la campagna elettorale e la popolazione continuerà ad avere gli stessi problemi", afferma, aggiungendo che l’emigrazione continuerà.
La Germania ha 1,6 milioni di posti vacanti nel sistema sanitario
Corina Stratulat, Senior Policy Analyst presso l’European Policy Center, un think tank con sede a Bruxelles, evidenzia i problemi con i lavoratori che ottengono la loro istruzione a casa e poi portano le loro conoscenze e competenze altrove.
"Certamente c’è domanda di lavoratori qualificati e il fatto che la Germania metta in atto politiche per attrarli è comprensibile e non c’è nulla di sbagliato in questo. Diverso è se questa diventa una strada a senso unico, in cui i lavoratori qualificati dei Balcani occidentali vengono nell’UE, ma non viceversa, senza ritorno, senza reinvestimento di risorse, competenze, tempo ed energia nei paesi che hanno lasciato. In questo caso, abbiamo un problema”, afferma.
La disperazione porta gli albanesi a sognare l’Occidente
L’Albania ha i più alti tassi di emigrazione nella regione, ma il governo di sinistra di Edi Rama riduce la questione a generica "tendenza globale". Secondo i dati dell’Istituto nazionale di statistica, negli ultimi cinque anni oltre 200mila albanesi sono emigrati nei paesi dell’UE o negli Stati Uniti.
Essendo la Germania la destinazione principale, la domanda di apprendimento della lingua tedesca è salita alle stelle.
Alketa Kuko, direttrice dell’Istituto Goethe di Tirana, ha visto moltiplicarsi il numero di medici, paramedici, architetti o ingegneri che si iscrivono ai corsi di lingua tedesca.
"Mi serve solo un livello B2 in tedesco e tutto il resto è pronto per me in Germania", afferma Olti, 23 anni, paramedico di Tirana che spera di iniziare una nuova vita a Düsseldorf il prossimo gennaio. Ha studiato molto per imparare il tedesco negli ultimi mesi e afferma di essere tra i molti giovani albanesi che hanno scelto di iscriversi alla scuola per paramedici con l’intenzione di migrare in Germania. Il suo stipendio nell’unità di cure urgenti di Tirana è di 35.000 lek [286 Euro] al mese, mentre in Germania potrebbe guadagnare sei volte di più.
Poiché medici e paramedici sono tra i professionisti più ricercati in Germania, l’Albania, come altri paesi della regione, sta perdendo molti operatori sanitari. Secondo dati parziali dell’Ordine Medici e Paramedici di Tirana, 1.049 medici e 1.271 paramedici hanno attualmente depositato i documenti necessari per emigrare.
Nell’ottobre 2018, l’organizzazione "Together for Life" ha pubblicato i risultati di un sondaggio nazionale su 1.000 medici dell’Albania. Circa il 78% di loro ha affermato che preferirebbe emigrare se ne avesse la possibilità.
"I medici non sono soddisfatti: sono oberati di lavoro, non rispettati e stressati", afferma Eglantina Bardhi di "Together for Life". Le ragioni principali che spingono i dottori ad emigrare sono i bassi salari e le pessime condizioni di lavoro, aggiunge.
Mentre l’emigrazione è stata una caratteristica fondamentale del paese durante il periodo di transizione, gli esperti sono preoccupati dalla nuova ondata negli ultimi anni e dalla perdita di personale qualificato.
"Le persone più qualificate stanno lasciando il paese e la fuga di cervelli è un grosso problema per l’Albania", afferma Eda Gemi, esperta di politiche migratorie e integrazione. "Attualmente abbiamo un paese senza cervelli, quale futuro possiamo immaginare?", riflette.
Sebbene il paese abbia una strategia sull’emigrazione e un ministero per la Diaspora, Gemi osserva che le cause sottostanti dell’emigrazione non sono all’ordine del giorno del governo e suggerisce la necessità di costruire ponti per aiutare la diaspora a impegnarsi nel paese d’origine.
Serbia, restare è più rischioso che partire
Attualmente incapace di fermare il processo di emigrazione, il governo serbo si sta invece concentrando su misure per stimolare i tassi di natalità con il nuovo ministero per le Politiche demografiche, che fornisce sussidi per chi fa figli.
Secondo una nuova legge, una famiglia con un primo figlio nato dopo il primo luglio 2018 riceve un pagamento una tantum di 800 Euro. Per un secondo figlio, le famiglie ricevono 80 Euro al mese per due anni, mentre per un terzo il sussidio è di 100 Euro al mese per i prossimi dieci anni. Il governo ha anche aumentato gli stipendi di medici e infermieri nel tentativo di fermare l’emigrazione degli operatori sanitari.
Il Servizio tedesco per la migrazione stima che nel 2017-2018 quasi 51mila persone si siano trasferite dalla Serbia alla Germania e, grazie alle procedure agevolate per ottenere i permessi di lavoro, l’ondata migratoria dovrebbe continuare.
Mirjana Arnaut faceva la giornalista in Serbia. Ora vive in Germania, disoccupata, ma con il sostegno di suo marito, che lavora per un’azienda tedesca. Hanno deciso di far crescere il loro bambino lontano dalla Serbia. “La Serbia non è un posto dove vogliamo vivere. È triste e deprimente, promuove valori sbagliati, cattiva politica e non la vedo più come un posto per la nostra famiglia”, afferma Mirjana.
Anche Ivan Andrić, membro dell’Ong "Serbia 21", vuole andare all’estero. Secondo lui, invece di aprirsi, la Serbia sta diventando una società chiusa. "Se non puoi esprimere opinioni politiche diverse, se non hai le stesse possibilità di trovare lavoro delle persone che prendono la tessera del partito al potere, è probabile che ad un certo punto vorrai andartene", afferma Andrić.
Secondo l’OSCE, quasi 655mila persone hanno lasciato la Serbia dalla caduta del regime di Milošević nel 2000. Si stima che quattromila persone lascino la Serbia ogni mese, il che significa che la Serbia perde ogni anno una città media di 50mila persone. Negli ultimi due decenni, a causa dell’emigrazione, la Serbia ha perso il 10% della sua popolazione.
Secondo dati OCSE, la maggior parte degli emigranti (179mila) ha scelto la Germania. La seconda destinazione principale è l’Austria con 105mila, seguita dalla Svizzera (circa 70mila).
Due terzi dei giovani vogliono lasciare il Montenegro
Il Montenegro ha la popolazione più piccola dei Balcani occidentali, solo 625mila abitanti. Nonostante la fiorente industria turistica, si stima che circa 150mila persone abbiano lasciato il paese negli ultimi trent’anni. Secondo dati EUROSTAT, circa 17.346 montenegrini hanno ottenuto un permesso di soggiorno nell’UE tra il 2008 e il 2018. La Germania ha rilasciato circa tremila permessi di lavoro a cittadini montenegrini: più di quanti ne impieghi qualsiasi azienda locale. I dati dei sindacati dei medici mostrano che 150 medici specialisti hanno lasciato il Montenegro negli ultimi 4 anni.
Anche Nenad Todorović, specialista in oftalmologia di Podgorica, si sta preparando a partire. Come i suoi colleghi, da mesi studia il tedesco per ottenere un permesso di lavoro in Germania. Il Montenegro, come altri paesi della regione, non crea prospettive per i giovani medici.
"I nostri salari sono bassi. Ho un mutuo, e una volta pagato quello mi rimangono 300 Euro per vivere insieme alla mia famiglia, quindi sono molto depresso per la mia attuale situazione economica".
Un recente sondaggio della Fondazione per la democrazia di Westminster in Montenegro ha rilevato che circa il 70% dei giovani sta pensando di lasciare il Paese.
Tutto ciò pone i paesi balcanici in un circolo vizioso: gran parte della popolazione sta pianificando di andarsene, le ondate migratorie indeboliscono ulteriormente l’economia e la scarsa situazione economica allontana sempre più persone.
Secondo la Banca mondiale, fra le conseguenze negative degli alti livelli di emigrazione ci sono la perdita di capitale umano e una crescita economica più lenta.
Romania, emigrazione di massa dopo l’adesione all’UE
Dal 2007, quando la Romania è entrata nell’UE, i confini europei si sono aperti ai cittadini romeni, agevolando così le persone che desiderano lasciare l’economia in difficoltà del paese.
Secondo la Banca mondiale, 3,6 milioni di romeni vivono attualmente all’estero, vale a dire il 18,2% della popolazione. I lavoratori altamente qualificati rappresentano il 27% dei migranti. Secondo la Banca mondiale, dal 1990 al 2017 l’emigrazione dalla Romania è aumentata del 287%.
Questo processo ha portato a carenze di manodopera, specialmente nei settori scientifici e tecnologici.
Secondo Stefan Cibian, direttore dell’Istituto di ricerca Făgăraș, l’emigrazione è aumentata durante tutte le fasi del processo di integrazione dell’UE, in particolare dopo la liberalizzazione dei visti.
“Alle nostre istituzioni serve un approccio strategico per gestire l’emigrazione, e devono accettare la realtà. Con questo approccio, limiteranno le conseguenze negative dell’alta emigrazione, ma ne trarranno anche i benefici, perché avere una comunità così grande che vive all’estero è una risorsa immensa”, afferma Cibian.
Christian Moreh, docente di Sociologia alla York St. John University e autore del libro “Romanians of Alcalá. Migration and social differentiation”, spiega che le modalità di liberalizzazione dell’economia romena negli anni ’90 hanno causato una nuova ondata migratoria, poiché i romeni erano già in grado di viaggiare liberamente verso altri paesi europei.
"Il lento sviluppo della liberalizzazione politica e della democratizzazione è ancora un problema in Romania, che impedisce alle persone di tornare e avviare le proprie attività", afferma. "La burocrazia impedisce ai migranti di tornare in Romania e porta ancora più persone ad andarsene", aggiunge Moreh.
Gli esperti non vedono soluzioni immediate, ma suggeriscono che i paesi colpiti da alti livelli di emigrazione debbano offrire a livello locale qualcosa che i paesi dell’Europa occidentale non possono offrire ai giovani, come infrastrutture tecnologiche e norme più semplici per creare aziende.
I migranti dei Balcani occidentali, sia uomini che donne, tendono ad essere giovani e ad avere livelli di istruzione relativamente alti. A lungo termine, alti livelli di emigrazione, specialmente tra i più istruiti, generano disallineamenti tra le competenze disponibili e quelle necessarie nel paese di origine.
Poiché l’emigrazione di massa dai paesi dei Balcani occidentali è in corso ancor prima che entrino nell’UE, ci si può solo chiedere quante persone rimarranno una volta raggiunta l’integrazione.
Questo articolo è parte del progetto “Migration in the Balkans, before and after joining the EU” promosso dal "Kosovo Institute for Economic Development" dal "Făgărash Research Institute", e finanziato dall’ "International Alumni Centre-Berlin".
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