Balcani occidentali: a Vienna per lo sviluppo
Si è tenuto nella capitale austriaca il secondo incontro del cosiddetto "processo di Berlino", una serie di incontri per rilanciare l’economia del sud-est Europa. Migranti, cooperazione regionale e infrastrutture i temi affrontati
Esattamente un anno fa, il 28 agosto 2014, Angela Merkel invitò a Berlino i pesi massimi della politica balcanica con un obiettivo esplicito: assumere l’iniziativa del processo di integrazione nella regione, scuotendo quest’ultima dal torpore politico-economico.
Due i pilastri dell’azione tedesca: spinta sulla cooperazione regionale e forte accento sulla crescita economica. È quest’ultimo, tenuto conto di quanto la cooperazione regionale sia progredita nel corso degli ultimi anni, a essersi configurato come elemento di rottura. Mai, fino al consesso berlinese, s’era sottolineato con tanta enfasi questo aspetto, con le sue varie ramificazioni: competitività, export, riforme di mercato, investimenti diretti dall’estero.
La Bosnia Erzegovina è stata il primo laboratorio di questa rimodulazione, quando sul finire del 2014 la Germania, spalleggiata dal Regno Unito e con il cappello delle istituzioni europee, ha lanciato un’iniziativa che ha legato l’entrata in vigore degli Accordi di associazione e stabilizzazione, a lungo rimasta ibernata, con l’impegno da parte della Bosnia Erzegovina a produrre riforme a livello economico, accantonando, come condizione, l’estensione del diritto all’elettorato passivo agli esponenti di nazionalità altre rispetto alle tre principali (musulmana, serba e croata). Condizione dettata dall’ormai celebre ricorso Sejdić-Finci, che l’élite politica del paese è stata tuttavia incapace di accogliere.
L’emergenza profughi e migranti
A un anno di distanza dal vertice berlinese, ci si è ritrovati a Vienna – ieri – con l’intenzione di fare il punto della situazione e lanciare una serie di progetti infrastrutturali e nel settore energetico. A fare da cerimoniere, il governo austriaco. La Germania lo ha voluto accanto a sé sin dall’inizio del “processo di Berlino”. Così è stata chiamata l’iniziativa a matrice tedesca sui Balcani occidentali, ora in via di allargamento anche a Francia e Italia: saranno loro ad ospitare nei prossimi due anni questo vertice euro-balcanico dal formato un po’ ibrido, visto il numero ridotto di inviti inoltrati ai governi comunitari.
Prima dell’inizio qualcuno aveva lasciato intendere che la questione dei migranti e profughi potesse prendere il sopravvento, snaturando l’agenda viennese. La situazione lungo la “rotta balcanica” del resto è grave. Serbia e Macedonia registrano una crescente pressione sulle frontiere. La prima rischia di divenire una sorta di gabbia a cielo aperto, nel momento in cui l’Ungheria completerà la barriera che sta costruendo al confine e sempre che le persone in fuga dal proprio paese – cosa non irrealistica – non inizino a spostarsi verso la Croazia, cercando una nuova via per la Germania, la meta più gettonata tra queste migliaia di persone in marcia. Quanto alla Macedonia, le cronache di questi giorni sono state ricche e hanno rilevato quanto accaduto lungo il confine con la Grecia.
Durante la conferenza stampa, alla quale hanno partecipato i cancellieri di Austria e Germania, Werner Faymann e Angela Merkel, l’Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera Federica Mogherini e il primo ministro serbo Aleksandar Vučić, che ha fatto da portavoce per tutti i paesi dei Balcani occidentali (Serbia, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Macedonia, Montenegro e Albania), la questione dei migranti è stata logicamente toccata. Faymann ha esordito esprimendo l’esigenza di contrastare il traffico di esseri umani, riferendosi al ritrovamento di decine di corpi di profughi, oltre settanta, all’interno di un camion abbandonato ai lati di un’autostrada austriaca, non lontano dal confine con l’Ungheria. La notizia è giunta proprio ieri.
Il cancelliere ha inoltre affermato che è necessario stabilire un sistema di quote tra i paesi Ue. Concetto ripetuto da Angela Merkel. Dal canto suo, Federica Mogherini ha sostenuto che l’Europa non può cavarsela con un minuto di silenzio ogni volta che dei migranti muoiono, ma ha il dovere morale e legale di proteggere queste persone. Dovere che però dovrebbe emergere con forza maggiore, secondo il ministro degli Esteri serbo, Ivica Dačić, che a Vienna ha spiegato senza filtri che Serbia e Macedonia non sono responsabili per le crisi che stanno lacerando i paesi d’origine dei profughi e dei migranti e dunque stanno pagando oltremodo il prezzo per una situazione che non hanno creato, né voluto.
Rilanciare l’economia
In realtà moltissime delle richieste d’asilo che fioccano presso il governo tedesco in questi mesi provengono proprio da cittadini dei paesi dei Balcani occidentali, in particolare da Serbia, Kosovo e Bosnia Erzegovina. Berlino li reputa paesi sicuri e dunque respinge le domande, facendo scattare le relative procedure d’espulsione.
Dušan Reljić, del German Institute for International and Security Affairs (Swb), vede in questa fuga dai Balcani la prova della delicata situazione economica nella regione. "I Balcani non sono capaci, da soli, di generare crescita" e "servono da parte dei paesi membri dell’Ue investimenti capaci di creare occupazione", ha scritto l’analista in un commento apparso nel sito dell’Swb.
In effetti le economie dei Balcani occidentali non godono di buona salute, nonostante il Pil dei paesi della regione sia tornato sui livelli del periodo pre-crisi o li abbia superati. Le note dolenti: lo squilibrio della bilancia commerciale (colmato parzialmente dalle rimesse), la disoccupazione molto alta, il debito pubblico in salita (almeno in Serbia e Albania) e la quota delle esportazioni di beni e servizi sul Pil ancora troppo minuta per paesi che intendono fare dell’export il motore dei loro sistemi. È quanto emerge da una breve ricerca diffusa alla vigilia del vertice di Vienna da Austria 21, un’associazione che riunisce le più grosse compagnie austriache e promuove il ruolo ponte del paese, incastrato tra “vecchia” e “nuova” Europa.
Nella stessa ricerca è presente una lista, abbondante, di nuove strade, estensioni di arterie già esistenti, ferrovie, reti elettriche e gasdotti che potrebbero fare la differenza e che mettono d’accordo tutte le élite politiche della regione, liberando il campo dalle questioni che dividono e ancora a lungo divideranno. "È stato interessante vedere serbi e albanesi lavorare assieme su questi temi", ha riferito Aleksandar Vučić in conferenza stampa, confermando che la cooperazione regionale e gli accordi pragmatici sanno dare frutti positivi. Poco prima del vertice di Vienna, tra l’altro, Belgrado e Pristina hanno raggiunto grazie alla mediazione europea un’intesa che concede ai comuni serbi del Kosovo ampia autonomia, ma all’interno del perimetro legale kosovaro.
Vučić ha inoltre specificato che i Balcani occidentali non vedono nell’Europa soltanto un bancomat, ma un gruppo di paesi tenuti assieme dalla colla dei valori, del quale la Serbia e i suoi vicini vogliono essere parte e dal quale non pretendono – appunto – solo sostegno finanziario, ma precise sponde politiche e garanzie sull’allargamento.
Si può concludere con i giovani. Il vertice di Vienna ha portato alla firma di un documento che istituisce il Regional Youth Cooperation Office, sul modello dell’Ufficio franco-tedesco per l’amicizia tra i giovani (ofaj.org). Amicizia e cooperazione sono indispensabili, non esiste alternativa a questo tipo di lavoro, ha affermato Vučić. Anche Angela Merkel si è soffermata su questo accordo, evidenziando come possa portare nei Balcani un po’ di speranza. Ma ovviamente – e chiudiamo con le parole di Faymann – un vertice non può bastare da solo a cambiare le cose.
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