Balcani: le zone calde del crimine
Quella del crimine organizzato è una piaga che affligge il sud est Europa, ma non solo. Ora un report mappa e analizza i trend criminali e il loro impatto sullo sviluppo, sull’amministrazione e sullo stato di diritto nei sei paesi dei Balcani occidentali
La “Global Initiative Against Transnational Organized Crime” ha pubblicato recentemente un report che si concentra sul crimine organizzato nei sei paesi dei Balcani occidentali. Ed individua i cosiddetti “hotspot”, ovvero le zone calde dove le attività del crimine organizzato si concentrano maggiormente.
Il rapporto contestualizza la situazione generale facendo un quadro sulle principali questioni d’attualità nei Balcani: rotta balcanica, traffico di armi verso il Medio Oriente, relazioni Kosovo – Serbia, proteste in Albania, Serbia e Montenegro, divisioni all’interno della Bosnia e alti tassi di disoccupazione – soprattutto giovanile – nella regione. Ricordando che la strada verso l’integrazione europea e la stabilità socio-economica è ancora lunga.
Si specifica poi che la posizione geografica dei Balcani occidentali li rende particolarmente attraenti come porta di accesso sia al mercato europeo sia a quello mediorientale per quanto riguarda le droghe e le armi: l’eroina prodotta in Afghanistan arriva nella regione balcanica attraverso la Turchia e la Bulgaria e poi prosegue verso l’Austria o l’Italia; dall’America Latina navi che trasportano cocaina approdano sulle coste dell’Adriatico; in Albania la cannabis viene prodotta e poi esportata in tutti i mercati circostanti; il contrabbando di sigarette è una delle maggiori attività della regione, che ha come destinatari l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa; infine la zona rappresenta un enorme mercato di contrabbando di armi da fuoco.
Hotspot
Nel rapporto si individuano poi degli “hotspot” del crimine e se ne definiscono le caratteristiche fondamentali. Sono tutti luoghi di transito, intersezione e di confine, con una forte vulnerabilità economica, ad esempio alti tassi di disoccupazione, e infine sono caratterizzati dalla presenza di istituzioni deboli. Viene inoltre sottolineato che la maggior parte dei gruppi che operano in queste aree sono “poli-criminali”, cioè dediti ad attività illegali diversificate che vanno dal contrabbando di esseri umani a quello di armi, droghe, veicoli e sigarette.
I ricercatori evidenziano che di particolare rilevanza sono i porti Adriatici di Bar, in Montenegro, e Durazzo, Albania, che fungono da punti di scambio della cocaina proveniente dall’America Latina diretta ai mercati europei. Le consegne arrivano in container il cui contenuto viene poi suddiviso all’interno di autobus, macchine e camion attraverso il Kosovo, la Serbia e la Bosnia verso l’Europa centrale. Le città portuali sono anche i luoghi di partenza verso l’Italia della cannabis prodotta in Albania e dell’eroina proveniente da est. La polizia ha aumentato l’utilizzo di strumenti di scanning ma, come denuncia il report, spesso dall’alto viene intimato di non controllare determinati veicoli.
Secondo il rapporto, la Bosnia ed Erzegovina ed in particolare Sarajevo spiccano invece per il mercato delle auto rubate, che risulta essere una delle forme più redditizie di attività criminale del paese. Contrastare questi crimini risulta difficile anche per il problema di decentralizzazione delle autorità tra la Repubblica Srpska e la Federazione di Bosnia ed Erzegovina, che impedisce una buona cooperazione tra le forze di polizia (scarso scambio di informazioni, diverse giurisdizioni e poche operazioni congiunte rendono l’inefficienza sistemica), e quando riescono a condannare i criminali questi ritornano sui propri passi, mostrando un alto tasso di recidiva.
Triangolo delle crisi
Un’altra regione che rientra nei parametri delle zone calde della criminalità organizzata è il cosiddetto “triangolo delle crisi” tra il Kosovo, la Macedonia del Nord e il sud della Serbia: è una zona prevalentemente montuosa e di difficile controllo da parte dei rispettivi governi, presenta un’economia molto debole con alti tassi di disoccupazione – un terreno fertile per il reclutamento di giovani criminali – ed è caratterizzata da instabilità politica. Questi tre fattori la rendono particolarmente attrattiva per le attività criminali. É rinomata per il contrabbando di bestiame, cibo, oro, droga e sigarette e si crede sia anche una zona di produzione di droghe sintetiche e contrabbando di esseri umani.
Il rapporto si concentra anche sul nord del Kosovo, una sorta di zona grigia – né pienamente controllata dalle autorità kosovare né da quelle internazionali. Ciò nonostante riceve ingenti fondi dallo stato, dalla Serbia e dall’UE. La combinazione di questi due fattori (insufficiente autorità istituzionale e ricezione di fondi) rende la regione un ambiente favorevole per il crimine e la corruzione. Il rapporto mette inoltre in evidenza come le diversità etniche e i confini non impediscano la cooperazione tra criminali kosovari e serbi.
In tutti questi “hotspots” esiste una sorta di “mercato della violenza” che fornisce persone volenterose di entrare nelle attività criminali. Le reclute vengono principalmente utilizzate come sicari, gangster, paramilitari, hooligans, manifestanti o addetti alla sicurezza di compagnie private (che spesso garantiscono un servizio di protezione dal loro stesso gruppo criminale, creando un sistema lucrativo basato sull’estorsione).
Il rapporto pubblicato dalla GI descrive l’ambiente dei Balcani Occidentali come un insieme di “ecosistemi del crimine”, basati sul clientelismo, dove i gruppi politici garantiscono la protezione ai gruppi criminali, i quali forniscono ricchezza, soldi, voti e potere, creando una sorta di contratto sociale che protegge le attività illegali e il potere dell’élite.
L’ultima considerazione del rapporto dell’Osservatorio riguarda i possibili “hotspots” futuri, ipotizzando una crescita del crimine organizzato lungo le aree dove nei prossimi anni investitori esteri e locali punteranno sullo sviluppo delle infrastrutture (da tenere sotto osservazione la nuova Via della seta). Una possibile evoluzione – secondo il rapporto – si potrebbe anche avere nelle attività legate al riciclo di denaro online e al cyberspazio.
GI
La Global Initiative Against Transnational Organized Crime (GI) è stata avviata nel 2013, ha sede a Ginevra e comprende un network di più di 300 esperti globali e locali indipendenti che lavorano su diritti umani, democrazia, amministrazione e sviluppo in luoghi dove il crimine organizzato è un fattore di rilievo. In particolare questo rapporto è il primo redatto dal “Civil Society Observatory to Counter Organized Crime in South Eastern Europe”, una piattaforma lanciata nel 2018 che connette e supporta la società civile nei cosiddetti WB6 (i sei paesi dei Balcani occidentali). L’obiettivo di questa iniziativa è quello di mappare e analizzare i trend criminali e il loro impatto sullo sviluppo, sull’amministrazione, sulle relazioni inter-etniche e sullo stato di diritto.
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