Balcani: la corsa al carbone
L’Unione europea è alla ricerca di nuovi fornitori elettrici per ridurre la propria dipendenza dal metano proveniente dalla Russia. In questo spiraglio cercano di inserirsi i paesi balcanici e l’Ucraina tramite la vendita di elettricità, prodotta attraverso investimenti in centrali a carbone
(Originariamente pubblicato dal portale Euractive il 19 maggio 2015, titolo originale Balkan coal rush risks lasting damage, campaigners warn )
I funzionari dell’UE sembrano riluttanti all’idea di ricorrere alle trattative energetiche previste per il mese prossimo (giugno, ndt) o alle normative sul commercio per imporre ai paesi balcanici e all’Ucraina di adeguarsi a standard più esigenti in materia di inquinamento atmosferico e ambientale. Questo nonostante i rischi che questo pone sul cambiamento climatico nell’Ue, sul tema dell’allargamento e sulle finanze e la salute pubblica nei Balcani.
Bosnia Erzegovina, Macedonia, Kosovo, Montenegro, Serbia e Ucraina stanno pianificando la produzione di un totale di 14,82 GW di nuova capacità elettrica, molta della quale, secondo uno studio di Change Partnership commissionato dall’ONG CEE Bankwatch, sarebbe in aggiunta alla capacità esistente.
I paesi sono membri della Comunità dell’energia, istituita dopo le guerre balcaniche e largamente finanziata dall’UE per adottare regolamenti comuni in modo da integrare i mercati dell’area. In un incontro previsto a Vienna il prossimo 18 giugno saranno proposte delle riforme al trattato della Comunità, con l’intenzione di vederle adottate entro ottobre.
Tuttavia, gli attivisti affermano di aver notato poca voglia da parte della Commissione europea di approfittare di questi incontri per innalzare gli standard relativi all’inquinamento atmosferico e ambientale.
“La Commissione dovrebbe riflettere su possibili azioni da parte dell’Ue. Questo richiederebbe comunque ancora delle analisi per sapere quanto queste misure interferiscano con gli obiettivi delle nostre politiche e gli obblighi internazionali”, ha dichiarato ad Euractive una fonte interna alla Commissione. Il trattato istitutivo della Comunità dell’energia "in principio" non permette restrizioni alle importazioni, ha affermato la fonte, ma il farne parte "implica" che questi paesi dovrebbero adottare gli stessi standard dei paesi membri UE nel produrre energia.
Alcune ONG, tra cui il Climate Action Network (CAN) e il Centre for European Reform, (CER) hanno però sottolineato come le nazioni parte della Comunità dell’energia di fatto non sono soggette alle stesse regole a cui sono soggetti i paesi Ue.
Il Climate Action Network europeo ha sollecitato la Commissione a sfruttare la propria influenza per evitare che i paesi della Comunità dell’energia divengano una “discarica di energia sporca”, precisando inoltre il fatto che il 95% dei fondi della Comunità sono messi a disposizione dall’Unione europea.
“Questi fondi dovrebbero essere destinati a raggiungere un livello di soddisfacimento degli standard ambientali e climatici dell’UE. Ciò dovrebbe avvenire mediante un’adeguata riforma del Trattato della Comunità dell’energia da parte dell’Unione europea”, ha affermato Dragana Mileusnic, di CAN Europa.
Secondo quanto affermato dagli esperti del CER, le nuove centrali elettriche a carbone in Serbia, Montenegro e Ucraina non sono abbastanza all’avanguardia per riuscire a ridurre le emissione tossiche, quali ad esempio il diossido di zolfo. La tecnologia in grado di ridurre il diossido di zolfo è obbligatoria nei paesi UE.
Commercio
Il CER ha affermato che questi paesi hanno un ingiusto vantaggio commerciale, dal momento che non sono obbligati a usare un certo tipo di tecnologie di riduzione delle emissioni, più costose, che devono essere invece utilizzate all’interno dell’UE. Ha richiesto inoltre che la Commissione si richiami al diritto commerciale internazionale per bloccare le importazioni sulla base dei rischi che l’inquinamento del carbone comporta alla salute e all’ambiente in Europa.
L’UE, inoltre, secondo il CER, dovrebbe smettere di comprare elettricità dai paesi che non soddisfano gli standard europei sull’inquinamento atmosferico in tutte le loro centrali.
Fonti della Commissione hanno ribattuto che Serbia, Montenegro e Ucraina sono membri dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) tanto quanto lo sono i paesi europei. Nella maggior parte degli incontri dell’OMC, è la Commissione europea a parlare a nome di tutti gli stati membri dell’UE.
I membri dell’OMC non sono tenuti a limitare le importazioni da altri membri, a meno che non siano giustificati da eccezioni ambientali e di salute pubblica. E la nostra fonte interna afferma che spetterebbe alla Commissione valutare se i criteri di deroga sussistono o meno.
L’inquinamento prodotto delle centrali a carbone in paesi confinanti può nuocere ai cittadini delle nazioni vicine ed aver un impatto significativo sulla loro economia e salute.
Una ricerca della Health and Environment Alliance (HEAL) ha evidenziato che nel 2010 a causa di polveri atmosferiche ed esposizione all’ozono sono morte più di 10.000 persone in Serbia e 2,5 milioni di giorni lavorativi sono andati persi.
Le stime di HEAL indicano che i costi per la salute in conseguenza delle sole centrali elettriche a carbone sono di 4,98 miliardi di euro all’anno. La Serbia ha il secondo tasso più alto di morti precoci dovute all’inquinamento atmosferico in Europa, con concentrazioni di polveri più alte sia degli standard dell’Unione europea, sia di quelli dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS).
L’OMS stima che le morti causate da inquinamento atmosferico costano il 33,5% del PIL della Serbia, il 14,5% di quello del Montenegro e il 26,5% di quello dell’Ucraina.
Unione dell’energia
Secondo il CER, Serbia, Montenegro e Ucraina stanno aumentando “sostanzialmente” il loro utilizzo di carbone. Ciò avviene almeno in parte per ottenere vantaggi dai piani dell’UE per l’Unione energetica.
L’Unione energetica è la strategia adottata dall’UE in risposta alla scarsità energetica attuale. Nell’intento di ridurre la sua dipendenza dalla Russia per le importazioni di metano, l’UE sta infatti cercando di aumentare e diversificare i suoi fornitori di energia.
In un comunicato dell’Unione energetica, pubblicato nel febbraio scorso, si afferma che l’UE dovrebbe usare la propria influenza, in quanto grande consumatore di energia, per dare una stretta alle pratiche di commercio di energia illegali. Inoltre, si afferma che la Commissione proverà a rafforzare la Comunità dell’energia in modo che quest’ultima si assicuri che le esistenti leggi su energia, ambiente e concorrenza trovino effettiva applicazione.
Tuttavia, un recente rapporto della Comunità dell’energia ha ammesso che per i paesi che ne fanno parte raggiungere l’“acquis” ambientale è una “grande sfida”.
Questioni sull’adesione
I piani dell’Unione energetica si focalizzano poco sul carbone, concentrandosi maggiormente sull’alternativa del gas naturale che ha meno contenuto di carbonio. Uno dei principali obiettivi della strategia è infatti quello di indirizzare l’UE verso un’economia a basso utilizzo di carbonio.
Secondo quanto affermano gli ambientalisti il fatto che attualmente i paesi dei Balcani continuino ad investire nel carbone porterà loro solo a maggiori problemi in chiave di integrazione europea.
L’adozione di adeguate politiche ambientali è uno dei capitoli più impegnativi dei negoziati per accedere all’Unione europea. Esse, infatti, rappresentano circa un terzo del totale della legislazione che deve essere adeguata nei paesi che aspirano all’adesione.
Mileusinic, del CAN Europa, stima che la Serbia da sola spenderà 10,5 miliardi di euro, un quarto del suo PIL, per applicare le leggi comunitarie.
Il Montenegro potrebbe entrare nell’UE nel 2020 e la Serbia nel 2022 e in questo caso avrebbero standard ambientali e relativi al cambiamento climatico ben inferiori a quelli che l’UE si è prefissata di raggiungere entro il 2030.
Lo scorso anno i leader europei hanno concordato per il 2030 la riduzione del 40% dei livelli di gas serra rispetto a quelli del 1990, in anticipo sulla Conferenza delle Nazioni Unite in materia di cambiamento climatico, che si terrà a Parigi il prossimo novembre. Il summit di Parigi mira a definire un limite obbligatorio per il riscaldamento terrestre e che sia valido globalmente e sia al di sotto dei 2 gradi.
Le alluvioni avvenute nei Balcani nel maggio 2014 hanno ucciso almeno 86 persone e causato miliardi di danni. Gli esperti hanno fatto notare che eventi atmosferici così estremi non potranno che aumentare con il riscaldamento globale.
Un’analisi di Change Partnership, commissionata dal CEE Bankwatch, dimostra come il prezzo attuale fissato dall’UE per il permesso per l’emissione di CO2 è di 5€ a tonnellata. Le centrali elettriche a carbone e a gas esistenti nella regione dei Balcani costeranno ai loro governi, una volta parte dell’UE, almeno 575 milioni di euro ogni anno. Gli investimenti programmati per la costruzione di nuove infrastrutture in questo campo andrebbero ad aggiungere a quella cifra altri 133-317 milioni all’anno.
Se i prezzi per le emissioni di carbonio saliranno a 30 euro a tonnellata di CO2, come si prevede avverrà entro il 2025, il costo di queste nuove infrastrutture salirà dai 790 milioni ai 1,9 miliardi di euro ogni anno.
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