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Balcani, il futuro è un’impresa

Riforme e fisco più leggero per attrarre investimenti. Anche se talora a spese della sicurezza sociale. La mappa aggiornata di dov’è più semplice avviare nuove aziende nei Balcani occidentali è nel rapporto Doing Business 2011 di Banca Mondiale. La regione sconta gli effetti della crisi e i ritardi della politica. Ma non mancano i passi avanti

04/03/2011, Laura Delsere - Roma

Balcani-il-futuro-e-un-impresa

La miglior economia del Sud-est Europa per facilità di fare impresa? La Macedonia, sesta classificata addirittura di tutto l’Est censito da Doing business 2011. Il quaderno di Banca Mondiale ogni anno misura in 183 Paesi il grado di efficienza delle leggi sull’imprenditoria. Poche le innovazioni segnalate quest’anno nei Balcani occidentali. Per alcuni versi il 2010 è stato un anno perso. L’area appare nella segno della stagnazione normativa. Con l’economia frenata dalle mancate scelte politiche, nonostante la crisi renda non prorogabili riforme e piani anti-disoccupazione.

Macedonia, primo mercato dei Balcani per appeal

Il rapporto di Banca Mondiale accomuna in un’unica regione ben 25 stati, dall’Adriatico alle repubbliche centro-asiatiche, passando per il Caucaso e il mar Caspio. In questa macroarea, la Macedonia si mette in vista. Gli assi di Skopje sono i tempi più brevi di tutta la regione –dunque non solo dei Balcani occidentali- per avviare una nuova società, le norme varate a protezione degli investimenti (al 3° posto su 25 stati, al 2° sui 7 balcanici, Slovenia esclusa) e le tasse più basse e attraenti, dopo Estonia e Cipro.

Spicca inoltre la velocizzazione dell’iter per avviare un’impresa attraverso lo sportello unico, oltre alla ridotta tassazione per le aziende, ottenuta però anche con il taglio dei contributi per la sicurezza sociale. Già dal 2010 i tempi per avviare un’azienda erano scesi a 8 giorni. La Macedonia resta il 38° approdo più favorevole a livello mondiale. Tuttavia nell’ultimo anno la situazione è peggiorata (-2 punti rispetto al gennaio 2010) per la poca trasparenza dei registri di proprietà, nonostante l’ulteriore semplificazione fiscale.

Albania, incertezza politica ma è più facile di un anno fa fare impresa

(Carolco / Flickr)

In evidenza anche l’Albania: pur in un quadro affannoso, dove corruzione e incertezza politica mettono a dura prova le nuove norme per attrarre investimenti, Tirana è -sulla carta- il 2° miglior Paese, dall’ex Jugoslavia all’Asia centrale, per tutela degli investitori e il 3° per tempi e facilità del credito. Un ex aequo che condivide con Serbia, Romania e Bulgaria, nuovi ‘porti franchi’ del prestito bancario dietro alle leader Lettonia e Bulgaria.

Nel Paese delle aquile, nuove norme hanno ridotto la tassazione per le imprese, anche qui a prezzo di un taglio dei contributi per la previdenza sociale. Introdotti per le nuove aziende registrazione e pagamento elettronici. Ridotto anche il capitale minimo per costituirle. Cambiate anche le regole sulla bancarotta, con l’introduzione di un’Agenzia nazionale insolvenze, con compiti di supervisione.

Oggi Tirana è all’82° posto nell’indice di facilità d’impresa su 183 economie censite, e al 91° per la certezza del rispetto dei contratti. Il grande passo avanti l’Albania l’ha fatto sul fronte dell’avvio d’impresa, passando tra 2008 e 2010 dalla 123ma alla 46ma posizione. Un risultato reso possibile dalla decisiva apertura di due uffici di e-government (il Centro nazionale per le licenze e l’Ufficio nazionale del registro), nati da fondi e consulenza Usaid. Un taglio netto dei tempi, e –questo è l’auspicio- dei margini di corruzione.

A livello mondiale, sul fronte delle riforme, l’Albania ha perso un anno: gli analisti di Doing Business (DB) le assegnano un punto in meno (ora è 82.ma su 183 Stati) rispetto al 2010, perché la modernizzazione sembra restare inapplicata.

Montenegro, giù le tasse per le imprese e ma con meno welfare per i lavoratori

In generale gli analisti di Banca Mondiale collocano nella metà bassa della classifica la maggior parte dei Paesi dei Balcani occidentali. A parte exploit, peraltro contenuti, come quelli del Montenegro. Le norme più recenti hanno reso Podgorica tra i posti migliori dell’area per velocità delle cessioni societarie, per gli scambi transfrontalieri, per la tutela degli investimenti e la concessione del credito. Tutte voci virtuose, ma di doppia lettura in un clima finanziario ibrido, terz’ultimo per trasparenza dei registri proprietari e quart’ultimo per il rispetto dei contratti, ossia per le modalità di risoluzione delle vertenze commerciali. In una parola, la giustizia civile.

Eliminate comunque diverse procedure d’avvio d’impresa: oggi basta un unico modulo di registrazione. Tagliato l’obbligo di pagamenti in anticipo per le tasse sul reddito societario. Meno imposte di import-export alle dogane per potenziare gli scambi. Forte deregulation anche sul fronte edilizio nel 2010, con l’abolizione della tassa di edificazione, oltre a controlli sui progetti minori ormai delegati ai municipi. Due provvedimenti che rischiano di produrre però danni sul fronte ambientale. Dimezzata fino al 9% la tassa sul reddito d’impresa e tagliate dal 12 al 9% le imposte previdenziali a tutela dei lavoratori.

Peggioramento leggero (-1 punto) a livello mondiale per il Montenegro, oggi 66mo. Tranne che per start up più agili e scambi transfrontalieri agevolati, tutti gli altri valori arretrano, segnalando il persistere di una zona grigia e di riforme rimandate.

Serbia, aspettando la modernizzazione

Oltre al Montenegro, la certezza nei contratti –per gli analisti di Doing Business– non ha visto passi avanti neppure in Macedonia, Albania e Serbia, tutte agli ultimi posti, con Bosnia e Kosovo che chiudono la classifica (sono rispettivamente 23ma e 25ma economia) dei Paesi del sud est Europa appetibili per le imprese straniere. Proprio in Serbia, è modernizzazione non pervenuta, almeno secondo i giudizi di Doing Business.

Solo un passo avanti in classifica per Belgrado nel 2011: oggi è 89ma nel mondo, grazie a miglioramenti nel registro di proprietà e per le cessioni, ma con una burocrazia respingente e poche certezze, specie per chi voglia dare il via a un’attività o per chi sperava in una semplificazione fiscale. Note positive: la Serbia da pochi mesi ha varato la nuova norma fallimentare, che unifica e facilita le procedure. Migliorato già nel 2010 l’accesso all’informazione sul credito.

Tuttavia urgono innovazioni strutturali. In Serbia nei primi 9 mesi del 2010, sono crollati del 40% gli investimenti esteri, con appena 600 milioni di euro all’attivo, rispetto allo stesso periodo 2009. Lo ha segnalato la rivista specializzata belgradese ‘Biznis e Finansija’ che ogni anno premia le migliori performances imprenditoriali.

Bosnia, è sos economia per il lungo impasse politico

La Bosnia è preda dell’immobilità, ferma al 110° posto su 183 Stati, senza nemmeno un passo avanti in dodici mesi, se non per aver migliorato –e molto, in questo caso- le norme sul registro di proprietà (ha rimontato la classifica per ben 38 punti), perdendone però ad esempio 15 sul fronte degli scambi transfrontalieri, peggiorati nell’ultimo anno per volume e mancata semplificazione.

Nuovo input anche sul costo del lavoro, con imposte ridotte, ma anche stavolta a spese dei minori contributi per la sicurezza sociale. Nel 2010 erano stati già ridotti i tempi per i permessi di edificazione e registrazione al catasto. Il clima di investimenti non può che risentire delle ostilità etniche incrociate. "Il tempo non è nostro alleato. Ci auguriamo di veder presto una migliore atmosfera politica, necessaria alla stabilità dell’economia" ha commentato di recente con preoccupazione il governatore della Banca centrale bosniaca, Kemal Kozarić. Che dal suo osservatorio, fissa in "fine febbraio 2011 il termine ultimo" per formare un esecutivo (il Paese attende da 4 mesi che si formi una maggioranza, a livello centrale e nell’entità federale (FBiH), all’indomani delle elezioni del 3 ottobre scorso, ndr) e puntare alla ripresa dell’economia.

“Senza governo i progetti si fermeranno” gli ha fatto eco dalle pagine del quotidiano ‘Dnevni Avaz’  Mario Mantovanelli, responsabile di Banca Mondiale in Bosnia. “I nostri progetti sono in corso ma ovviamente saranno rallentati" ha aggiunto Mantovanelli, riferendosi ai 660 milioni di euro di crediti, stanziati da BM e istituzioni europee per nuove strade e infrastrutture, ora bloccati per il veto interetnico. Anche il settore privato –dicono i numeri- partecipa sempre meno alla ristrutturazione del sistema economico bosniaco: se nel 2009 gli investimenti diretti esteri erano crollati del 36% su base annua, nel 2010 la perdita di capitali toccherebbe ormai il 50%.

A Zagabria, meno burocrazia con l’e-government

Markale, mercato del centro storico di Sarajevo (manufrud/Flickr)

La Croazia, candidata a medio termine a 28° stella europea, nell’ultimo anno ha migliorato l’ambiente imprenditoriale, salendo di 5 punti. Unica nei Balcani, a livello mondiale è tra i 10 Stati con più progressi nel clima di investimenti.

Oggi è 84ma su 183 Paesi censiti, soprattutto per aver facilitato le procedure di avvio d’impresa (con la registrazione elettronica) e i permessi edilizi (col certificato unico).

Kosovo, l’emergenza inascoltata

In Kosovo, le procedure sono state addirittura complicate nel 2011 –richiama ‘Doing Business’ – nella fase di avvio d’impresa, rimpiazzando il numero di contribuente con un codice fiscale, che però richiede iter e accertamenti burocratici più tortuosi. Nel 2010 Pristina aveva già tagliato le tasse sul reddito d’impresa dal 20 al 10%.

A livello globale, è lievemente peggiorato il Kosovo: non proprio una terra delle opportunità, ha perso un punto nell’attrattiva per le imprese, e oggi è 119° su 183 realtà nazionali prese in esame. Il fisco è diventato più semplice, ma restano ancora troppe incertezze, dalla fase di start up al credito.

Così nello Stato più giovane dei Balcani occidentali, con un tasso di disoccupazione stellare (45%), tra scandali politici e impasse istituzionale, l’economia resta al palo. In questo quadro, "dal 2005 la crescita annuale è decelerata al di sotto del 5%" osserva ancora Banca Mondiale, in un’economia dipendente dalle rimesse dall’estero e dai donors internazionali.

Nel complesso dunque economie in faticosa crescita nel Sud-est Europa, ancora fragili. Spesso le nuove norme hanno tagliato la burocrazia. E ridotto con i costi anche i diritti, a spese del welfare dei lavoratori. In parallelo i Balcani occidentali vengono ritratti dall’ultimo Rapporto Bers (Banca europea ricostruzione e sviluppo) con proiezioni positive. In media è dell’1.9 % la previsione di incremento medio del Pil nel 2011, rispetto all’1.6% calcolato in precedenza. La stima è in rialzo per tutti i Paesi dell’area, a parte la Bosnia, invariata al +2.2%.

Le innovazioni normative sono urgenti però, dal momento che la crescita comunque non sarà in grado di restituire posti di lavoro, indica un altro rapporto di Banca Mondiale, il ‘Global Prospects 2011’. E proprio l’alto tasso di disoccupazione continuerà a frenare sia gli investimenti, che i consumi. A meno di riforme che riaprano il futuro.

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