Balcani: gli stanchi giorni dei media
A distanza di tre anni dalla sua prima edizione, l’impressione che emerge dai Media Days – evento promosso dalla Commissione Ue nei Balcani – è quella di una telenovela dal finale prevedibile, dove i personaggi si muovono all’interno di un perimetro ben definito. Ma ai media della regione serve di più
Si è concluso senza troppe emozioni uno tra i più rilevanti appuntamenti di questi ultimi anni sui media dei Balcani Occidentali, l’EU Western Balkans Media Days. L’evento, promosso dalla Commissione Europea e giunto ormai al terzo anno di vita, ha radunato a Podgorica più di 350 esperti tra policy makers, giornalisti, rappresentanti della società civile e di organizzazioni di advocacy impegnate nella difesa e nella promozione della libertà di espressione.
Almeno sulla carta, la novità di questa edizione è stato il (tentato) coinvolgimento di rappresentanti politici attraverso il panel ‘Policy meets Media’, richiesto a gran voce dalla comunità dei media per avere finalmente la possibilità di “un aperto e onesto confronto sullo stato di avanzamento della libertà dei media nei Balcani occidentali, sulle responsabilità dei governi e sulle azioni concrete per il miglioramento della situazione attuale”, come sottolineato nella brochure della conferenza da Johannes Hahn, Commissario europeo per la politica di vicinato e i negoziati per l’allargamento.
Un coinvolgimento che però, secondo Srđan Cvijić, analista politico all’Open Society Foundation (OSF), si è dimostrato vano: "Nonostante ci sia stato il tentativo da parte dell’UE di coinvolgere direttamente gli attori politici nel dibattito, una discussione diretta con giornalisti e altri partecipanti non è avvenuta". Un parere condiviso anche da Maja Vasić Nikolić dell’Independent Journalists’ Association of Serbia (IJAS), la quale ci ha confermato che "la sessione generale, con il suo focus sulla politica, è stata un fallimento".
Repetita iuvant (ma a volte stufa)
L’avvio del meeting è stato macchiato proprio dall’assenza dello stesso Johannes Hahn, il quale ha inaugurato ‘virtualmente’ la conferenza con un video messaggio pre-registrato . Un’apertura piuttosto prevedibile, in cui il Commissario ha ribadito temi e concetti già ampiamente decantati, quali le critiche condizioni dei media nell’ambito del fragile processo di transizione, la centralità della libertà di stampa nel contesto della nuova Western Balkan Strategy intrapresa nel 2018 e la sua non negoziabilità per quel che riguarda le condizioni per l’accesso nell’Unione europea.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Christian Danielsonn, Direttore generale per la politica di vicinato dell’UE e i negoziati sull’allargamento e Genoveva Ruiz Calavera, Direttrice per i Balcani Occidentali alla Commissione europea, la quale ha ribadito il sostegno a "una serie di programmi e iniziative che vanno dalla sostenibilità economica all’alfabetizzazione mediatica e informativa, dalla responsabilità dei media alle reti regionali che promuovono la cooperazione e la riconciliazione".
Dichiarazioni che hanno fatto storcere il naso a più di qualcuno, e sintomatiche di un sempre più evidente scollamento tra la vaporosa politica UE e la violenta realtà mediatica dei Balcani. Uno scollamento che diventa ancora più palese se si prendono in considerazione le (esigue) dichiarazioni dei (pochi) politici della regione presenti al meeting: sintomatica la battuta di Mihajlo Jovović, giornalista della testata montenegrina Vijesti, che in risposta “agli sforzi delle autorità nella promozione dello stato di diritto e della libertà di stampa in Montenegro” millantati negli opening remarks dal ministro della Cultura Aleksandar Bogdanović, ha commentato: "Mi chiedo di quale paese stia parlando".
E infatti, è del 9 settembre scorso l’appello internazionale alle autorità montenegrine per l’assoluzione del giornalista investigativo Jovo Martinović, nel quale si sottolinea che quest’ultimo "è accusato di contrabbando di marijuana e associazione a delinquere e condannato a 18 mesi di detenzione nonostante prove schiaccianti che i suoi unici legami con il crimine organizzato siano quelli di giornalista". Un caso che si aggiunge a quello di Olivera Lakić – giornalista investigativa gambizzata nel maggio 2018 – in cui, come evidenzia Maja Vasić Nikolić, "sono emersi dubbi sollevati sulle indagini e sul verdetto del tribunale".
Qualche nota positiva
La stessa Nikolić sottolinea comunque che "l’evento ha dato anche la possibilità di condividere idee, preoccupazioni e possibili soluzioni a problemi che i media stanno affrontando, in pratica, a livello globale".
"Ho avuto grandi discussioni in quei tre giorni, e sono sorte anche alcune idee interessanti, quindi vediamo cosa ne esce alla fine", aggiunge ad OBCT Ilir Gashi, analista dei media ed ex direttore della Slavko Ćuruvija Foundation (SCF) . "Positiva è stata anche l’opportunità che abbiamo avuto di parlare direttamente con gli alti rappresentanti della Commissione europea e di informarli sugli attuali sviluppi nel campo della libertà dei media nei nostri paesi. Abbiamo avuto forti garanzie che per loro questo tema è una conditio sine qua non del processo d’adesione. D’altro canto, sono ormai cinque anni che ci incontriamo e parliamo in questa e molte altre conferenze, ed è difficile dire quale sia stato il reale impatto sulla nostra situazione locale".
Ma è soprattutto durante i tre seminari – Independent Reporting, Reconciliation and Regional Cooperation, Encouraging New Generations of Journalists and New Business Models – che sono emerse idee concrete per il miglioramento della situazione: come ci riferisce Maja Vasić Nikolić, relatrice del workshop ‘Reconciliation and Regional Cooperation’, "il gruppo ha fornito agli organizzatori un elenco concreto di raccomandazioni che possono contribuire a superare la narrativa nazionalista". Tra queste, rinnovate pressioni per garantire lo stato di diritto, sostegno alle associazioni di categoria e alla rete regionale dei Press Councils, istituzione di un organo di autoregolamentazione nazionale e/o regionale per gli inserzionisti privati, alfabetizzazione mediatica e campagne contro i media che alimentano l’hate speech.
Libertà di stampa e adesione UE: uno specchietto per le allodole?
A distanza di tre anni dalla sua prima edizione, l’impressione che emerge dai Media Days è quella di una telenovela dal finale prevedibile, dove i personaggi si muovono all’interno di un perimetro ben definito, tra dichiarazioni reiterate fino allo sfinimento e ‘contentini’ volti a sedare gli animi.
Non ha quindi tutti i torti Predrag Blagojević, direttore di Južne Vesti, giornale serbo vittima di accanimento amministrativo, quando afferma via Twitter che"gli EU WB Media Days non sono altro che una valvola di sfogo dato dall’amministrazione UE ai giornalisti e i media dei Balcani". Una sferzata che rispecchia la sensazione, condivisa da molti, che l’assioma “No libertà di stampa – No UE” sia ormai diventato un mero specchietto per le allodole: difatti, di fronte al progressivo deterioramento della libertà di espressione, la reazione dell’Unione europea è stata spesso flebile e distratta, poco incline ad esercitare le dovute pressioni per un effettivo miglioramento della situazione.
Non bastano quindi, come sottolineato anche da Nikola Burazer in un articolo su BiEPAG Blog, le pesanti critiche esplicitate nei famosi country reports, o le dichiarazioni a seguito di casi eclatanti, a fatti già avvenuti: di fronte all’evidente crisi di questo diritto fondamentale – proprio nei paesi in cui il processo di adesione è allo stadio più avanzato, ovvero Serbia e Montenegro – è necessario andare oltre a semplicistiche prese di consapevolezza, ed affermare in modo convinto un potere più assertivo: in poche parole, una ‘condizionalità negativa’.
Questo significa in primo luogo smettere di fingere che, nel contesto dei negoziati di accesso, tutto abbia lo stesso peso. L’impressione, infatti, è che il tema della libertà di stampa venga spesso soffocato dalla gravità di altre questioni, tra tutte la stabilità dell’area. Indicative quindi le parole di Ilir Gashi, secondo cui “vi è l’evidente sensazione, nella nostra comunità mediatica [serba, ndr], che l’UE stia chiudendo un occhio su ciò che si sta palesemente trasformando in un’autocrazia galoppante, purché siano soddisfatti i più ampi criteri della cosiddetta ‘stabilità regionale’ e purché il presidente Vučić continui a sembrare disposto a risolvere la questione del Kosovo".
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