Tipologia: Recensione

Categoria:

Balcani, Europa, violenza, politica, memoria

Una recente pubblicazione accademica esplora i rapporti tra i Balcani e l’Europa, il ruolo dei conflitti e della politica internazionale, le dinamiche della memoria

09/11/2017, Marco Abram -

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Balcani, Europa, violenza, politica, memoria, è il titolo di una recente pubblicazione promossa dalla Fondazione Venezia per la Ricerca sulla Pace. Il volume, a cura di Rolf Petri, raccoglie le rielaborazioni degli interventi presentati in occasione di un workshop tenutosi presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia nell’aprile del 2013. Ad essi si affiancano i saggi proposti da altri studiosi invitati a partecipare alla riflessione. La raccolta offre uno sguardo basato su un’accezione ampia di Balcani – definizione geografica mutevole – trattando di area (post)jugoslava, di Bulgaria, di Grecia e Romania. La riflessione affronta il binomio spesso enfatizzato Balcani e violenza: quanto corrisponde a realtà? Esiste davvero qualcosa che lo rende specifico? Vengono così esplorati i rapporti tra i Balcani e l’Europa, il ruolo dei conflitti e della politica internazionale, le dinamiche della memoria.

Il volume si apre con un’approfondita riflessione di Rolf Petri sui sostantivi che vanno a comporre il titolo del volume. L’autore spiega come la posizione periferica che i Balcani occupano nell’immaginario europeo e nella geografia del continente debba essere compresa come prodotto culturale. La violenza rappresenta un “segno distintivo” fondamentale nella costruzione di tale alterità. Un processo accompagnato da dinamiche politiche e di potere. Non manca il riferimento alla memoria, spesso manipolata e propagatrice di tale immaginario. Se nei Balcani i problemi nel rapporto con il passato non mancano, sottolinea Petri, i risultati devono venire da un processo di rielaborazione partecipato e non dalla necessità di “appagare l’UE”.

Stefano Petrungaro riprende le riflessioni proposte nel suo libro “Balcani, una storia di violenza?”, nelle cui pagine aveva sfidato gli stereotipi sulle violenze balcaniche così fortemente riemersi negli anni Novanta. Petrungaro ribadisce la necessità di studiare tali violenze e indagarne l’effettiva “particolarità”. La proposta è quella della comparazione con altri territori e in questo senso offre alcuni spunti: le violenze dopo la Grande guerra nei Balcani non sembrano diverse da quelle commesse in altre aree; le brutalità della seconda guerra mondiale appaiono apparentabili a quelle registrate altrove in Europa e nel mondo in quel periodo. L’indagine della “logica” e del “contesto” delle violenze rappresenta un approccio utile a fare emergere analogie e differenze. In questo senso, la sfida rimane aperta anche per quanto riguarda gli anni Novanta.

L’analisi delle politiche della memoria permette di comprendere come le violenze del passato vengano oggi rielaborate. Il contributo di Milovan Pisarri affronta il tema nel caso della Serbia. La memoria pubblica della Prima guerra mondiale, della Seconda guerra mondiale, del comunismo e delle guerre jugoslave degli anni Novanta, restituisce un immaginario limitato alle vittime serbe. Anche per quanto riguarda il ricordo dei civili, la tendenza è quella di costruire una narrazione nazionale omogenizzante per il XX secolo. Si tratta di dinamiche che non riguardano solo il caso serbo e che trovano parallelismi nelle altre repubbliche post-jugoslave. L’autore non manca di chiedersi se si tratti davvero di uno fenomeno “balcanico” o se invece si riscontrino espressioni simili nel resto del continente.

Il volume allarga l’indagine oltre l’area (post) jugoslava che, in particolare a partire degli anni Novanta, ha concentrato su di sé molti degli stereotipi sulla violenza nei Balcani. Vengono presi in considerazione anche aspetti di storia bulgara, romena e greca. Armando Pitassio riflette sul ruolo della violenza nelle vicende della Bulgaria a cavallo tra 1878 e il 1925. Il saggio approfondisce eventi – quelli segnati dalle violenze bulgare di quel periodo – che hanno contribuito sostanzialmente alla costruzione dell’immaginario sui Balcani ad inizio XX secolo. Pitassio indaga i soggetti, gli scopi e le modalità della violenza nei primi decenni di vita dello stato bulgaro: le violenze contro le minoranze, le tensioni religiose, il terrorismo e i crimini contro i civili nel corso dei conflitti, prima che in Bulgaria l’uso della violenza assumesse caratteristiche “sempre più comuni a quelle degli altri paesi europei”. L’uso politico della violenza è il tema trattato anche dal saggio di Francesco Zavatti, dedicato ad una delle espressioni più violente della storia romena: il legionarismo. Zavatti dedica l’analisi all’elaborazione ideologica del movimento, a partire dagli scritti di Corneliu Zelea Codrenau, sostenendo come la violenza, pur diffusamente utilizzata dai suoi membri, avesse un ruolo molto più ambiguo in un’ideologia costruita sostanzialmente ex-post.

Il punto di vista greco viene offerto da Polymeris Voglis che concentra la propria attenzione sulle brutalità occorse nel paese nel corso della Seconda guerra mondiale. L’autore osserva come sia stato il contesto di guerra totale a determinare il superamento della dicotomia tra soldato e civile. La situazione prodotta dall’invasione e dalle forze occupanti sviluppò “un vortice di militarizzazione” che portò ad una violenza diffusa, propagata dalle diverse forze in campo (occupanti, collaborazionisti, resistenti) e perpetrata anche nel corso della guerra civile greca.

Gli ultime due contributi del volume ritornano a temi più recenti, pur non rinunciando alla prospettiva storica necessaria alla comprensione del rafforzamento del binomio violenza – Balcani. Luca Baldissarra analizza l’esperienza del Tribunale internazionale per la ex Jugoslavia collocandola all’interno dell’evoluzione diritto bellico e dei tentativi di regolare guerre sempre più totalizzanti. Secondo lo studioso dell’Università di Pisa, le guerre jugoslave rappresentarono un passaggio particolarmente significativo nella considerazione delle violenze contro i civili e portarono a una nuova attenzione verso i “crimini contro l’umanità”. Il fatto che tali evoluzioni abbiano fatto seguito agli eventi nei Balcani è una coincidenza degna di riflessione secondo il curatore del volume Rolf Petri, che ricorda come la stessa giustizia internazionale dipenda dai rapporti di forza tra gli stati.

A Maurizio Cermel è affidata la panoramica storica di chiusura che, seguendo l’intera questione jugoslava, si conclude con una riflessione sulla condizione delle minoranze nella regione e sul ruolo del diritto internazionale. Camerl analizza l’affermazione dei principi dello stato etnico e sottolinea come l’idea che un territorio appartenga a un determinato gruppo etno-nazionale sia alla base delle difficoltà nei rapporti con le minoranze, dagli anni Novanta fino ad oggi.

Il lettore, anche non specialistico, troverà in questo volume numerosi spunti d’interesse, sia negli approfondimenti offerti dai singoli saggi che nel confronto con il quadro complessivo che li include. I contributi appaiono piuttosto variegati in termini di impostazione e grado di approfondimento, forse anche per questa ragione i legami tra le riflessioni non risultano sempre immediati e intuitivi. Ciò nulla toglie al merito di proporre una riflessione fondamentale, sostenuta dal tentativo di affrontare le violenze balcaniche cercando di comprenderle, confrontarle e spiegarle al di là di pregiudizi e stereotipi di lungo corso.

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