Azerbaijan: petrolio, libertà e presenza internazionale
L’Azerbaijan, quale membro di Osce e Consiglio d’Europa, ha precisi impegni riguardo alla tutela della libertà di espressione. Che però spesso non vengono rispettati. Organizzazioni internazionali, governative e non, sostengono numerosi progetti per migliorare la situazione, in particolare per quanto riguarda i media. Ma gas e petrolio rendono Baku sempre più impermeabile alle critiche
Anche dopo la ‘primavera araba’, i confini dell’Europa restano costellati di dittature. Fiaccato dalla crisi finanziaria, il Vecchio Continente stenta a mantenere le posizioni raggiunte nella mission démocratisatrice del proprio vicinato. In questo contesto, la libertà d’espressione in Paesi tradizionalmente attanagliati dalla censura di Stato rischia un ulteriore deterioramento. Un caso paradigmatico è quello dell’Azerbaijan, dove la posizione dell’Occidente e delle organizzazioni internazionali che ne avallano le politiche è resa ancor più delicata dalla sovrapposizione di lauti interessi energetici ai buoni propositi di democrazia e libertà.
Il brutale trattamento riservato dalle autorità azere ai giornalisti non allineati non costituisce certo una novità. Dagli arresti sommari agli assassinii impuniti, dalle ritorsioni alle torture, tutto è stato accuratamente riportato dai media internazionali. Il controllo del governo sull’informazione televisiva è ancor più saldo che sulla carta stampata. Mentre istruttivi servizi mostrano il presidente esibirsi in prodezze ginniche sotto gli occhi dell’affascinante first lady Mehriban all’inaugurazione di una palestra, persino i giornalisti sportivi devono ponderare le loro critiche alla nazionale di calcio, ed è inconcepibile diffondere voci alternative su temi politicamente più sensibili. L’autocensura e la scarsa professionalità dei giornalisti, la criminalizzazione della diffamazione, le complicità tra potere giudiziario ed esecutivo, l’oscuramento delle emittenti internazionali in lingua azera e i blocchi ad internet completano il quadro. Article19 e Freedom House hanno peraltro denunciato l’emergere di nuove preoccupanti tendenze , che segnalerebbero la determinazione della dittatura azera nel rinvigorire la repressione. Un’intensificazione delle misure restrittive è stata registrata in corrispondenza del referendum costituzionale del 2009 e delle elezioni parlamentari del 2010, e nel maggio dello stesso anno gli abusi delle autorità hanno per la prima volta bersagliato dei giornalisti stranieri .
Eppure, l’Azerbaijan sarebbe tenuto al rispetto di precisi impegni internazionali, impliciti nel suo status di membro dell’Osce e del Consiglio d’Europa. I fatti mostrano i limiti dell’azione persuasiva che tali cornici istituzionali possono esercitare sull’autocrazia azera. Da circa un decennio, una galassia di ONG si propone di supplire a tale carenza, ma l’incisività dei loro sforzi è discutibile. Gli azeri sono i primi a guardare con scetticismo al contributo degli attori internazionali alla libertà di espressione nel loro Paese. I più disillusi denunciano l’inutilità delle organizzazioni in questione, insinuando addirittura che esse servano da copertura a una tacita intesa con la petroldittatura caspica, che ricompenserebbe il silenzio dell’Occidente sulle questioni umanitarie con promesse di sicurezza energetica. Per delineare il ruolo della comunità internazionale nella promozione della libertà d’espressione in Azerbaijan occorre però resistere al fascino delle teorie cospiratorie e vagliare i fatti. Come vengono spesi i milioni di euro e dollari allocati per la democratizzazione di un Paese di dichiarato interesse strategico? Gli sforzi delle organizzazioni internazionali e delle ONG sortiscono gli effetti sperati?
La regia dell’Osce
L’organizzazione di riferimento è indubbiamente l’Osce, il cui ufficio di Baku riesce a coordinare gran parte delle iniziative internazionali grazie a una presenza consolidata e a buoni rapporti con l’amministrazione presidenziale. Al fine di scongiurare azioni disorganiche, l’ufficio promuove il dialogo tra i vari attori presenti sul campo, quali associazioni di giornalisti, ONG, istituzioni europee e agenzie governative. In particolare, l’Osce invita i propri interlocutori a confrontarsi in occasione di assidue tavole rotonde, che godono di grande visibilità internazionale grazie alla partecipazione delle ambasciate. “A volte ci sentiamo soli” – ha raccontato a Osservatorio un collaboratore della sede di Baku dell’Osce, “il che è deplorevole se si considera che il mandato attribuito dalla Convenzione al Consiglio d’Europa è molto più ampio del nostro, e che quello ha le mani legate per mancanza di risorse e personale”. Le difficoltà oggettive di muoversi in un ambiente ostile non hanno impedito all’Osce di implementare progetti interessanti. Ad esempio, l’organizzazione sta mettendo a disposizione del governo le proprie competenze legali in materia di decriminalizzazione della diffamazione, riforma sollecitata dalla comunità internazionale. Analogamente, la consulenza dei legali dell’Osce ha contribuito in modo determinante alla redazione della legge sul diritto all’informazione varata nel 2005 nonché del codice di etica professionale per i giornalisti emendato nel 2010.
L’attività dell’Osce si intensifica abitualmente in periodo elettorale e pre-elettorale. In occasione delle presidenziali del 2008, l’ufficio di Baku ha collaborato con la BBC nel preparare i reporter dell’emittente pubblica ITV alla cronaca elettorale, e con gli osservatori dell’Ufficio per le Istituzioni e i Diritti Umani nel monitorare la copertura mediatica dei candidati in campagna elettorale. L’organizzazione intrattiene poi un rapporto privilegiato con la società civile e le ONG. Oltre a elargire finanziamenti diretti, l’Osce indirizza informalmente i fondi europei sulle organizzazioni più meritevoli, le supporta nell’azione di monitoraggio e offre loro sostegno politico. Un partner cruciale è l’Irex, con cui l’Osce implementa progetti volti a diffondere l’uso politico-sociale dei nuovi media tra i giovani blogger e giornalisti, compreso nelle regioni rurali. Altre collaborazioni di lungo corso sono quella con l’ONG locale Media Mərkəzi nel campo della formazione giornalistica e quelle con l’Istituto per i diritti dei media (Media Rights Institute) e l’Istituto per la libertà e la tutela dei giornalisti (Institute for Reporters’ Freedom and Safety, IRFS) nel campo dell’advocacy.
La politicizzazione delle ONG, conseguente dalla loro dipendenza economica da diversi donatori, ha a sua volta ingenerato una polarizzazione in organizzazioni filogovernative e antigovernative, che intralcia l’armonizzazione dei loro progetti. L’Osce si profonde dal canto suo in un’incessante azione diplomatica tesa a bilanciare le critiche con l’esigenza di mantenere rapporti di cordialità con il governo. L’organizzazione è del resto squisitamente politica e la sua sopravvivenza dipende in ultima istanza dal consenso dei 56 Stati membri. Le discussioni di bilancio sono ad esempio puntualmente marcate dalle pressioni della Russia per l’avvio del phasing out delle missioni nel Caucaso meridionale. La situazione è aggravata da una parziale diversione di fondi verso l’Asia centrale e soprattutto dalla crisi finanziaria, che nel 2011 hanno privato l’ufficio di Baku di importanti risorse. L’Osce può aggirare parte dei condizionamenti politici esprimendosi attraverso il proprio rappresentante per la libertà dei media, che ha infatti condannato più volte la condotta del governo azero. Un altro attore emergente è la delegazione UE, che – forte di considerevoli dotazioni finanziarie – sta cercando di ritagliarsi un ruolo più importante, non senza controversie. Secondo l’ultimo compendio dello Strumento europeo per la democrazia e i diritti umani, mezzo milione di euro è stato allocato al Consiglio d’Europa per la promozione della libertà d’espressione in Caucaso meridionale e Moldavia, e trecentomila euro ciascuno alle ONG Internews e IRFS per il solo Azerbaijan. L’entità dell’ultimo finanziamento europeo alla società civile ha colto di sorpresa molti osservatori, sia perché i fondi sono stati allocati su questioni politicamente molto sensibili, sia perché un flusso di denaro così ingente rischia di alimentare fenomeni di dispersione.
Petrolio e gas rendono impermeabili alle critiche
Non mancano dunque valutazioni critiche dall’interno. Quello che pochi sono pronti ad ammettere pubblicamente è che l’Occidente sta perdendo influenza nei confronti di un governo imbaldanzito dalla propria ricchezza energetica. Un report emerso da wikileaks rivela le perplessità nutrite in proposito da Anne Derse, ex ambasciatrice statunitense a Baku. “L’accresciuta sicurezza del governo azero – si legge in una nota inoltrata nel 2008 al Dipartimento di Stato – si riflette in un’accresciuta resistenza a coercizioni politiche esterne, incluse le indicazioni occidentali su democrazia e diritti umani”. La stessa ambasciatrice riconosce negli idrocarburi la causa della rinnovata risolutezza della politica estera azera e raccomanda alla diplomazia americana di coniugare alle pressioni degli “incentivi intelligenti”. Il comportamento delle autorità conferma le apprensioni della Derse: i rapporti con la Norvegia, partner petrolifero dell’Azerbaijan tramite Statoil, si sono incrinati da quando nel 2007 un politico del Paese scandinavo osò interrogare il Presidente Aliyev sulla libertà d’espressione. Come quest’ultimo asserì un anno dopo, “l’Azerbaijan non ha bisogno del supporto finanziario o delle raccomandazioni della comunità internazionale […] e non permetterà alcuna interferenza […]; cosa succede se usciamo da organizzazioni come Osce e Consiglio d’Europa?”. Lo scorso agosto, dalle minacce si è passati al respingimento della domanda di visto di Christoph Strasser, relatore speciale del Consiglio d’Europa sui prigionieri politici in Azerbaijan. Finora, d’altronde, l’unico “incentivo intelligente” applicato dagli Stati Uniti è stato quello di minimizzare le critiche, com’è risultato evidente dal viaggio di Hillary Clinton dello scorso anno.
In Azerbaijan, la genuina dedizione di tanti attivisti e funzionari internazionali alla causa della libertà d’espressione si scontra con potenti interessi politico-economici, che impediscono alla comunità internazionale di esprimersi con un’unica voce. Nonostante tali limiti, tuttavia, è importante che questa perseveri nel suo impegno: senza il suo aiuto Eynullah Fatullayev, Emin Milli, Adnan Hajizade e tanti altri giornalisti sarebbero senza dubbio ancora in prigione.
* Il nome dell’autore è stato rimosso per motivi di sicurezza
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