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Azerbaijan e Islam, cecità o strategia?

Lo stato in Azerbaijan sembra controllare rigorosamente le strutture religiose. Eppure molti, delusi da ingiustizia sociale e mancanza di un’opposizione credibile, si rivolgono al clero

24/07/2013, Arzu Geybullayeva -

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I miei ricordi di "religiosità" nell’Azerbaijan sovietico sono limitati a poche visite ad una delle grandi moschee ancora in piedi di Baku. Non sapevo molto di Islam, non si studiava a scuola. Tutto quello che sapevo mi era stato insegnato dai miei genitori, che a loro volta l’avevano imparato dai propri. Oggi non ci sono limiti al numero di visite ad una moschea, ma esiste un altro meccanismo di controllo.

Secondo Bahruz Mammadov, consulente in affari politici presso l’ambasciata statunitense a Baku, "la situazione religiosa in Azerbaijan è controllata dal governo", tanto più che le autorità vedono con preoccupazione il moltiplicarsi di gruppi e leader religiosi. Proprio di recente, il governo ha introdotto una serie di modifiche legislative riguardanti la letteratura religiosa: è considerato reato penale importare, pubblicare o distribuire qualsiasi tipo di materiale religioso, audio o video, ad eccezione di quelli che hanno ottenuto un timbro di approvazione da parte della Commissione governativa per le organizzazioni religiose. 

La legge sulla libertà di religione vieta al governo di interferire con le attività religiose, ma è invalidata dai continui emendamenti (14 tra il 1992 e il 2011). Ogni emendamento adottato in questi ultimi dieci anni ha imposto ulteriori restrizioni sulle attività religiose e le persone che le svolgono e nessuno era aperto alla consultazione pubblica. Di conseguenza, il governo dell’Azerbaijan ha intenzionalmente creato un regime molto restrittivo che ha portato al divieto di pregare al di fuori delle moschee, all’incarcerazione di persone religiose, alla chiusura forzata di luoghi di culto e all’incarcerazione di obiettori di coscienza e molto altro.

La disapprovazione del governo per i gruppi religiosi non si riflette solo in modifiche alla legislazione. Recentemente, un parlamentare ha espresso il suo disgusto verso il ramo salafita dell’Islam. "Non posso sopportare la vista delle barbe e dei pantaloni corti preferiti dai salafiti", ha dichiarato, aggiungendo che queste persone "dovrebbero essere ostracizzate dalla società". Inoltre, il ramo salafita dell’Islam non è ufficialmente registrato presso il Comitato di stato per il lavoro con le strutture religiose e non collabora con il Consiglio musulmano per il Caucaso, un istituzione di epoca sovietica ufficialmente incaricata degli affari islamici nel paese.

Pubblicamente, i funzionari si dicono orgogliosi della modernizzazione del paese e del successo delle politiche per preservare la laicità in Azerbaijan. Tuttavia, al di là delle apparenze, i laici del paese si sentono schiacciati tra gli islamisti e un governo incapace di proteggere i loro diritti. Un esempio ben noto è il caso del giornalista laicista Rafiq Tagi, assassinato a coltellate a Baku nel 2011. Tagi aveva ricevuto una serie di minacce di morte, ma le sue numerose denunce erano state ignorate. Anche la fatwa dichiarata dall’ayatollah iraniano Fazel Laybarani era passata inosservata. Forse Tagi sarebbe ancora vivo se il governo avesse indagato il caso e offerto qualche tipo di protezione.

Dopo la morte di Tagi, Agalar Mammadov, altro noto intellettuale di Baku e professore all’Università di Khazar, ha pubblicato una lettera, firmata anche da altri intellettuali, per attirare l’attenzione sui crescenti episodi di violenza legati alla religione. Come Tagi, anche Mammadov ha iniziato a ricevere minacce e ha pensato di chiedere asilo in Svezia. Inutile dirlo, il governo è rimasto in silenzio.

Geografia, ingiustizia sociale e assenza di opposizione

La posizione geografica rende l’Azerbaijan un bersaglio perfetto per varie forme di influenza islamica-saudita (Safali / wahabita, anche attraverso il Caucaso settentrionale), turca (Nurcu, Hanafi moderati) e iraniana (sciita radicale). Nel corso degli anni, queste congregazioni religiose hanno guadagnato una roccaforte in Azerbaijan attraverso le loro scuole e moschee.

Gli esperti tendono a citare questioni come ingiustizia sociale, disuguaglianza, corruzione e altre ingiustizie fra i motivi per cui le persone si rivolgono alla religione. Ad esempio Altay Goyushov, storico azero, attribuisce la crescente influenza dell’Islam ai problemi sociali del paese, soprattutto la corruzione.

Nel 2011 Movsum Samadov, leader del partito islamico, è stato arrestato e condannato a 12 anni per aver causato disordine pubblico. Insieme a lui sono stati arrestati il suo vice Vagif Abdullayev, l’autista Mirhuseyn Kazimov e l’attivista di partito Elchin Hasanov. In seguito, sono state "trovate" delle bombe a mano negli appartamenti di due cugini di Samadov. In aprile il governo ha imprigionato otto attivisti musulmani, arrestati un anno prima mentre si scontravano con la polizia locale durante le proteste sul divieto all’hijab.

La mancanza di un’opposizione politica forte e riconosciuta contribuisce alla crescente influenza del clero. Nota Mammadov: "Quando l’opposizione laica è continuamente oppressa e costretta alla sottomissione, l’estremismo religioso sembra essere l’unica alternativa di pensiero sociale e politico. [Di conseguenza] la situazione politica attuale gioca a favore del clero".

A partire dall’avvento al potere del defunto presidente Aliyev, la maggioranza dei partiti d’opposizione è stata oggetto di continue vessazioni, dal divieto di proteste nelle principali piazze della capitale allo sfratto dagli uffici e, in alcuni casi, al rifiuto di rilasciare un passaporto. Più di recente, drastici cambiamenti alla normativa in materia di reati penali (aumento dei periodi di detenzione amministrativa e delle multe e così via) hanno trasformato l’opposizione politica in una formazione debole e poco attraente. "Il clima politico repressivo in Azerbaijan aggrava la radicalizzazione. C’è una massa di persone che credono nella Jihad e nel giorno del giudizio. E non temono nulla", mi ha detto un avvocato residente a Baku.

Inoltre, in alcuni casi etichettare i dissidenti come estremisti islamici fa sembrare il governo cieco, nella migliore delle ipotesi. Sicuramente tale approccio non migliora i rapporti tra le due parti. D’altra parte, questo sfoggio di controllo fa il gioco degli alleati occidentali e risulta una carta strategica da giocare. Le autorità azere sono sempre pronte a puntare il dito contro il villaggio di Nardaran, 25 chilometri a nord di Baku, bastione sciita e sede del Partito islamico (fondato nel 1991 e spogliato dei suoi diritti nel 1995). Le molte proteste degli ultimi anni (sorprendentemente, con limitato intervento del governo) sono sfruttate a fini politici: se l’Occidente smette di sostenere il governo in carica, questo è ciò che dovrà affrontare.

L’opposizione si sta unendo, ma di religione non si parla ancora

Il vento potrebbe cambiare con la recente formazione di una coalizione d’opposizione con un unico leader che correrà alle presidenziali del prossimo ottobre. Tuttavia, è ancora da vedere come la nuova coalizione affronterà la questione religiosa. Sarà in grado di trovare un linguaggio comune di comprensione e tolleranza? Finora l’interrogativo rimane. La coalizione esiste a malapena da un mese e la strada da percorrere è lunga. Nel frattempo, chi cerca giustizia nell’"onnipotente" continua ad affollare la preghiera del Venerdì e la lettura del Corano, iniziando un percorso moderato o facendosi prendere la mano dalle onde di "missionari" provenienti dalla Turchia o dall’Arabia Saudita.

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