Azerbaijan: e dinastia sia!
La recente nomina da parte del presidente Aliyev della moglie alla vice-presidenza non fa che confermare che l’Azerbaijan si sta lentamente trasformando in una sorta di monarchia
Lo scorso 18 febbraio, il video-blogger Ordukhan Teymurkhan, residente in Olanda, ha ricevuto la notizia che 12 membri della sua famiglia, compresa la nipote di due anni, erano stati trattenuti in detenzione ed interrogati. La polizia ha comunicato loro un messaggio chiaro e tondo: Ordukhan doveva smetterla con il suo attivismo.
Mentre quest’ultimo era al telefono con i suoi familiari nel tentativo di tranquillizzarli, il presidente Ilham Aliyev si preparava a nominare sua moglie, Mehriban Aliyeva, prima vice-presidente. Una carica che non esisteva sino all’anno scorso, sino cioè agli emendamenti costituzionali approvati a seguito di un referendum tenutosi nel settembre 2016.
Al tempo critici del regime ed osservatori di lunga data del paese avevano sottolineato che il referendum con i suoi 29 emendamenti costituzionali non avrebbe fatto altro che aumentare la presa della famiglia Aliyev sull’Azerbaijan e rafforzare la già inscalfibile leadership del presidente. La nomina della sua first lady non è che una prova ulteriore della fondatezza di queste opinioni e di cosa spetterà nel futuro a questa piccola nazione sulla costa del Mar Caspio: l’imporsi di una dinastia.
Questioni di famiglia
Ordukhan Teymurkan non è il primo la cui famiglia venga utilizzata per mettere pressione su attivisti che sono all’interno del paese o all’estero. Il 31 dicembre del 2016, poco dopo che il rapper Jamal Ali, da Berlino, aveva postato on-line la sua nuova canzone “Grandpa Monument”, che prendeva in giro il regime per i recenti arresti di giovani attivisti e membri del movimento giovanile N!DA, sua madre e due suoi cugini sono stati presi in custodia e interrogati. Ancora una volta il messaggio era chiaro: o togli dalla circolazione il video oppure i tuoi familiari finiranno in prigione. In un altro caso due parenti di Ganimat Zahid, direttore in esilio del quotidiano d’opposizione Azadliq, sono stati condannati a sei anni di carcere sulla base di accuse, montate ad arte, di traffico di droga.
Questi sono casi frequenti in un paese dove un’unica famiglia ha il controllo di tutto da più di cinque decenni. Nel periodo sovietico Heydar Aliyev era a capo del Partito comunista che governava il paese. Nel 1993 ne è divenuto poi presidente ed ha passato la poltrona al figlio Ilham Aliyev che è al potere dal 2003. Ora, con sua moglie come prima vice-presidente, seconda persona più potente del paese, gli Aliyev mandano un segnale chiaro: il potere è e sarà una questione di famiglia, come è in ogni dinastia che si rispetti.
Mehriban Aliyeva, è del resto già a capo del Fondo Cultura; presidentessa della Federazione della Ginnastica; presidentessa del Fondo Haydar Aliyev; vice-presidentessa del partito di governo Nuovo Azerbaijan; parlamentare e ora vice-presidentessa. La sua famiglia, i Pashayev, controllano numerose banche, agenzie di assicurazione, aziende di costruzione edile e agenzie di viaggio. E molti dei membri di famiglia ricoprono cariche importanti, come ha ben evidenziato il Washington Post in un recente articolo seguito alla nomina della Aliyeva.
Le reazioni
In un’intervista rilasciata alla Reuters, Ali Karimli, a capo del Fronte Popolare, uno dei partiti storici d’opposizione, ha dichiarato che la nomina di Mehriban Aliyeva è “il primo passo per l’imposizione di una monarchia assoluta nel paese”.
Non sorprende. Dopotutto gli analisti lo avevano già anticipato lo scorso settembre anche prima del referendum costituzionale che è passato, come sancito dalla Commissione elettorale, con il 91.2% dei voti a favore. Osservatori elettorali indipendenti avevano poi diffuso immagini video di impiegati intenti a riempire le urne elettorali di schede. “A prescindere dal conteggio finale, questo referendum non è che il culmine di un intero processo a cui manca legittimità”, ha affermato Chris Smith, responsabile della Commissione di Helsinki.
E di legittimità è mancato perché si è svolto in una situazione in cui ogni dissenso è represso, come sono repressi i media indipendenti, condizioni che non potevano essere migliori per il presidente Aliyev per garantirsi i cambiamenti voluti e per rafforzare la propria presa sul potere. “In questa situazione nessuna votazione è libera”, ha affermato Ane Tusvik Bonds, responsabile regionale per l’est Europa e il Caucaso di Human Rights House Foundation. Dal canto suo la Commissione di Venezia aveva sottolineato che estendere il mandato presidenziale “non era giustificato” e che “contraddiceva l’eredità costituzionale europea”.
Se la leadership azera si fosse curata anche minimamente di questa eredità forse la gestione del paese sarebbe stata diversa. Ma la mancanza di rispetto per molti se non per tutti i valori democratici rappresenta una tradizione di lungo periodo dell’Azerbaijan degli Aliyev.
L’attuale leadership azera ha chiaramente dimenticato tutti i propri impegni e obblighi internazionali, derivanti dalla sottoscrizione di trattati, accordi, e ingresso in varie organizzazioni di cui l’Azerbaijan è membro. Ma un atteggiamento simile lo ha anche in casa, dove non rispetta la legislazione vigente. Nel nominare sua vice la moglie Aliyev ad esempio ha violato la legislazione vigente in merito all’anticorruzione. Secondo l’articolo 7 della legge sull’anticorruzione infatti è contro la legge nominare un parente in un ruolo istituzionale sotto la propria diretta subordinazione. Nel caso venga violato l’articolo la soluzione prevista è o il trasferimento o le dimissioni di chi è in violazione di legge.
Nel 2013 il presidente Ilham Aliyev è stato nominato “Corrotto dell’anno” dall’iniziativa Organized Crime and Corruption Reporting Project (OCCRP); lo scorso anno i Panama Papers hanno rivelato al pubblico gli affari segreti di famiglia e Transparency International ha più volte sottolineato gli scarsi risultati del paese nei suoi indici sulla corruzione. La possibilità che il presidente tenga conto quindi delle leggi del paese è, di fatto, inesistente.
La storia dell’Azerbaijan non è certo unica e assomiglia sempre più a quella di alcune altre repubbliche dell’Asia centrale e alla Russia. Come Aliyev anche il presidente turkmeno Gurbanguly Berdymukhamedov ha allungato con disinvoltura i termini presidenziali e, recentemente, si è guadagnato la rielezione; in Russia anche Putin ha allungato la durata della presidenza ed è probabile si imponga alle elezioni previste nel 2018; in Bielorussia Lukashenko è al potere dal 1994; in Kazakhistan Nazarbayev dal 1989; il presidente del Tajikistan governa il paese dal 1992. L’unica differenza è che Ilham Aliyev è succeduto al padre.
Quindi non un solo uomo al comando, ma una sola famiglia al comando. Ed ora con la moglie Mehriban Aliyeva al fianco del presidente, è probabile che questo dominio familiare continui anche in futuro. Continueranno, del resto, come se nulla fosse avvenuto, anche le partnership e gli accordi stretti tra Azerbaijan e le democrazie occidentali: business as usual.
Baku continuerà a mettere sotto pressione le voci indipendenti, ad arrestare i critici mentre l’economia continuerà la sua discesa. Si prevede a breve la terza svalutazione della moneta nazionale. Nonostante questo la famiglia al governo e gli alleati più stretti continueranno a trarre enormi benefici dal loro sistema nepotista. E a meno che Mehriban Aliyeva non nasconda, da qualche parte, una bacchetta magica, è difficile, ad Aliyevland, vi siano miglioramenti in vista.
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