Tipologia: Intervista

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Area: Azerbaijan

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Azerbaijan, dipendenza da petrolio

In Azerbaijan l’industria di estrazione degli idrocarburi, petrolio e gas, continua a fare la parte del leone. Secondo l’economista Vugar Bayramov, direttore del Center for Economic and Social Development, la gestione poco oculata dei proventi e la mancanza di una strategia di sviluppo degli altri settori rischia però di sbilanciare pericolosamente l’economia del paese. Nostra intervista

16/10/2012, Francesco Martino - Baku

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Il ruolo dell’industria di estrazione degli idrocarburi, gas e petrolio, è in continua crescita in Azerbaijan. Quanto l’economia del paese dipende oggi da questo settore?

E’ evidente che l’economia azera sia al momento vincolata allo sfruttamento delle sue risorse energetiche. Questo settore, secondo il ministero delle Finanze di Baku, pesa per più del 75% delle entrate fiscali dell’Azerbaijan, ma le nostre stime ci parlano di una cifra che supera l’84%. Gas e petrolio rappresentano poi il 95% delle esportazioni azere. Soltanto se parliamo di PIL vediamo un calo del contributo del settore petrolifero, passato negli ultimi tre anni dal 65% a meno del 50%.

Quali sono le principali sfide che l’Azerbaijan dovrà affrontare nei prossimi anni nella gestione delle proprie risorse energetiche?

La principale, è che la produzione di petrolio è in diminuzione. Il picco di estrazione è stato raggiunto nel 2010, con 51 milioni di tonnellate di greggio, scese nel 2011 a 46 milioni di tonnellate. Per il 2012, si prevede un ulteriore calo a 44 milioni di tonnellate. Nel 2015, secondo le nostre stime, la produzione scenderà ancora, arrivando a 35 milioni di tonnellate. A quel punto, se gli altri settori economici non verranno sviluppati e sostenuti adeguatamente, si potrebbe verificare un’enorme buco nelle entrate fiscali dello stato. Un rischio da non sottovalutare, anche se con l’eccezionale aumento della produzione di gas previsto nei prossimi anni, il quadro potrebbe cambiare in modo significativo. A partire dal 2016, con l’apertura della seconda fase dello sfruttamento del giacimento di Shahdeniz, la produzione di gas azero passerà infatti dai 26 miliardi di metri cubi del 2011, ai 40 miliardi di metri cubi del 2016 e agli 80 miliardi del 2020. Un’evoluzione che peserà di certo anche sul bilancio statale.

Esiste una strategia complessiva per la promozione degli altri settori economici?

Il governo ha dichiarato che il sostegno ai settori diversi da quello petrolifero rappresenta una priorità. Fino ad ora, però, non sono visibili risultati concreti e visibili in questa direzione.

Qual è l’impatto dell’industria petrolifera sul capitale umano dell’Azerbaijan? L’industria petrolifera rischia di “rubare cervelli” necessari allo sviluppo di altri settori economici?

Il salario medio in Azerbaijan è oggi di circa 500 dollari. Le compagnie petrolifere sono in grado di offrire stipendi dieci volte più alti. Esiste quindi un fenomeno “calamita” del settore nei riguardi delle migliori energie intellettuali nel paese. L’industria del petrolio, però, ha capacità ridotte di impiegare e valorizzare il capitale umano. Basti pensare che questo impiega circa il 7% della forza lavoro, contro un 45% che lavora nell’agricoltura. Anche in questo senso, bisognerebbe fare molto di più per stimolare la crescita di risorse e capacità in altri campi produttivi.

Per la gestione delle rendite petrolifere, nel 2011 il governo azero ha costituito un fondo statale sovrano, lo State Oil Fund of Azerbaijan (SOFAZ), nato per accumulare, gestire e preservare gli introiti. Come viene gestito?

L’istituzione di un fondo statale ha come scopo principale quello di “isolare” l’economia di un paese dai proventi di gas e petrolio, evitando squilibri dovuti ad un’eccessiva dipendenza dagli introiti della vendita di idrocarburi. In Azerbaijan, però, di fatto questo non accade. Il governo di Baku sostiene di applicare nella gestione di SOFAZ il “modello norvegese”. Ma in Norvegia ci sono forti restrizioni alla quantità di denaro che si può trasferire dal fondo petrolifero a quello statale: queste possono raggiungere al massimo il 4%. In Azerbaijan invece non ci sono limiti.

Non esiste quindi una strategia chiara nei rapporti tra la SOFAZ e il bilancio dello stato. Negli ultimi anni, 2012 compreso, i trasferimenti dalle casse di SOFAZ a quelle statali hanno rappresentato più del 60% delle entrate complessive. Una cifra che dà la misura di quanto il bilancio dello stato azero sia pericolosamente sbilanciato. Se la tendenza rimane quella attuale, le casse di SOFAZ potrebbero rimanere vuote già nel 2018.

Il centro che lei dirige ha più volte denunciato l’opacità delle gestione finanziaria della SOFAZ, soprattutto per quanto riguarda le voci di spesa. Qual è la situazione oggi?

La quantità di denaro spesa dalla SOFAZ per il finanziamento di diversi programmi o progetti è nota. Il problema è che non sappiamo come questi soldi vengano utilizzati in dettaglio. Secondo la legislazione vigente sulla gestione della SOFAZ, uno dei membri del consiglio di monitoraggio sulle attività del fondo dovrebbe provenire dalle fila della società civile. Dalla creazione del SOFAZ sono trascorsi 11 anni, ma fino ad oggi il seggio riservato alla società civile è rimasto vuoto. SOFAZ si limita ad ignorare la legge.

Esistono dati affidabili sull’efficienza della gestione finanziaria e degli investimenti effettuati da SOFAZ?

SOFAZ opera soprattutto all’estero, investendo negli Stati Uniti e in numerosi paesi dell’Unione europea. Le cifre spese all’interno dell’Azerbaijan, più modeste, sono dirette soprattutto alla realizzazione di progetti infrastrutturali. SOFAZ, la cui dirigenza viene nominata direttamente dal capo dello stato, è però responsabile e fa rapporto direttamente al presidente, e non al parlamento. Questo rappresenta di certo un problema in termini di trasparenza, e noi abbiamo richiesto esplicitamente che il parlamento venga coinvolto. Di fatto, oggi la società civile non ha leve né strumenti per far sentire la propria voce riguardo alla gestione del fondo.

Qual è il livello di trasparenza delle operazioni della compagnia petrolifera nazionale, la SOCAR?

Se messa a confronto con SOFAZ, la SOCAR non può certo essere definita una società trasparente. Se SOFAZ tende a dare una risposta in tempi accettabili quando riceve richieste di informazione da parte di media o di ONG, la SOCAR rifiuta di fornire qualsiasi tipo di dati, giustificandosi con il fatto di essere una società e non un fondo. Ma la SOCAR è una società pubblica e, secondo la legislazione azera, è tenuta a rispondere alle richieste di informazioni, così come a rendere pubblici tutti i dati sulla produzione di idrocarburi. Fino ad oggi, però, avere risposte dalla SOCAR si è sempre rivelato un compito estremamente difficile.

Lei ha più volte criticato i media azeri rispetto alla capacità di informare la società delle questioni legate alla gestione delle rendite petrolifere. Perché?

Quando si parla del settore idrocarburi, i media in Azerbaijan hanno purtroppo una scarsa capacità di evidenziare le questioni centrali e più significative. Questo è un problema grave, perché impedisce la presa di coscienza e la discussione partecipata. L’offerta informativa è scarsa per vari motivi: nel paese non esiste una tradizione solida di giornalismo economico. D’altra parte le risorse destinate alla formazione sono e rimangono scarse.

E le società multinazionali che operano in Azerbaijan? Qual è il loro livello di trasparenza in termini di gestione finanziaria?

Tra le società attive sul nostro territorio, la più trasparente è la British Petroleum (BP), che produce regolarmente rapporti resi pubblici dai mass-media insieme ad incontri con i rappresentanti delle società civile. Altre compagnie purtroppo hanno un atteggiamento molto diverso, e rendono pubblici i dati sulla propria attività molto raramente, oppure non lo fanno affatto.

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