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Azerbaijan-Armenia: dovremmo parlare e non sussurrare
Armenia e Azerbaijan sono paesi dove il mondo del pacifismo ha sempre cercato di agire in punta di piedi, nel timore di aggressioni e strumentalizzazione. È stato giusto così?
(Pubblicato originalmente da OC Media il 24 ottobre 2020)
Come operatori di pace, siamo rimasti troppo in silenzio e abbiamo fallito nella nostra missione. Questa guerra è la prova che dobbiamo alzare la voce.
Ogni sera, prima di andare a dormire, scrivo un elenco delle cose che mi propongo di fare il giorno successivo. La sera del 17 ottobre mi sono seduta per scrivere una lista per il giorno successivo, e mi sono resa conto che la mia ultima "lista di cose da fare" era stata scritta per il 27 settembre. La vita normale si era interrotta quella mattina.
Ho voltato pagina e ho scritto una nuova lista, credendo con tutto il cuore che sarebbe bastato. Mi sono però risvegliata di notte da un butto sogno ed ho sentito l’esigenza di controllare le notizie. Ed ho capito che avevo avuto troppa fretta con la mia lista e sui miei desideri di tornare ad una vita normale.
L’unica cosa che è stata sulla mia lista in questi 22 giorni è stata di rimanere calma ed equilibrata e, almeno, di non lasciarmi andare. Ma la mattina del 18 ottobre mi sono sentita molto arrabbiata. Non nei confronti degli azerbaijani e neppure degli armeni. Ero arrabbiata con me stessa e con gli altri che credevano nella pace, che volevano la pace ma erano sempre stati troppo attenti alle proprie parole.
Anche prima della guerra, sceglievo con cura ogni parola che utilizzavo. Censuravo me stessa e i miei pensieri perché temevo di essere aggredita perché la società in cui vivo avrebbe potuto non capire, perché temevo di divenire un bersaglio, perché "non era il momento giusto".
Non lo era, il momento giusto, e non lo sarà mai.
Le nostre voci non sono state sentite, perché non abbiamo parlato, abbiamo solo sussurrato. E in società dove dominano narrazioni nazionali sul conflitto mutualmente esclusive e sempre più penetranti nessuno ascolta i mormorii sommessi di coloro che si preoccupavano di apparire troppo neutrali, con la paura di essere aggrediti e di essere chiamati traditori.
In questi giorni, penso sempre a quanto sia stato facile per le autorità di entrambi i nostri paesi manipolare le nostre società e portarci a questo stadio in cui le persone che la pensano anche un po’ diversamente hanno paura di parlare liberamente. Com’è stato facile per loro far credere alle nostre società che quelli che vivono "laggiù" sono tutti assetati di sangue, che l’intera società di un paese è omogenea.
Quanto è stato facile per loro cambiare le diverse narrazioni e le realtà complesse e dolorose degli anni ’80 e ’90 e tappezzarle di ideologie nazionaliste, seppellendo i fatti sotto la banale propaganda del "noi siamo buoni e loro sono cattivi".
Nonostante l’impatto che il conflitto ha avuto sulle nostre società e la sua ubiquità nella comprensione di noi stessi, in realtà non ne sappiamo molto. Siamo tutti cresciuti con tutto ciò che ci è stato detto a scuola e dai media. Siamo stati indotti a credere a "fatti" che cambiano costantemente in linea con la propaganda di stato. Siamo arrivati al punto che ci va benissimo che le nostre autorità conducano negoziati segretamente, a porte chiuse.
Le persone che effettivamente sono a conoscenza di tutti i dettagli di questo conflitto prendono decisioni a porte chiuse, influenzando la vita di coloro che sanno solo ciò che è loro permesso di sapere. Le persone che conoscono il conflitto fanno la guerra e poi obbligano a combattere quelli che non conoscono i termini del conflitto ma che sono stati allevati dalla propaganda nazionalista.
La guerra può sembrare molto romantica se vista da un solo punto di vista e se ci si rifiuta di guardare cosa accade dall’altra parte. Ma se si tiene uno sguardo che avvolge entrambe le parti, si svela l’orrore e la totale assurdità della guerra.
La disinformazione e la mancanza di conoscenza ci hanno portato in un luogo in cui anche le persone più istruite delle nostre società sono ora portate a generalizzare per creare un "noi" omogeneo e un "loro" omogeneo, pur mantenendo un’espressione di saggezza sui propri visi.
Ritenere di essere profondamente diversi rende molto facile desiderare la morte dell’altro. Rende facile credere che si dovrebbe diffidare di tutti dall’altra parte, se non si vuole rischiare di essere uccisi con un’ascia. E rende più facile a loro ed a te uccidersi a vicenda con un’ascia o con un proiettile perché non si vede, di fronte a sé, un essere umano. Uccidere una creatura non umana non dovrebbe essere difficile, non dovrebbe essere doloroso – è così che siamo stati educati a pensare e ad agire.
Nessuna logica può combattere queste ideologie e credenze profondamente radicate in noi. E a causa di queste stesse ideologie, siamo diventati molto simili. Ogni parte ha creato dei guerrafondai, ogni parte ha cittadini che ricordano ancora i vecchi vicini di casa dell’"altra" parte ma che si volgono ai nazionalisti appena vengono sparati i primi colpi, e ogni parte ha quelli che gridano per la pace un momento e poi diffondono incitamento all’odio il successivo.
La nostra tragica somiglianza nel vederci come profondamente diversi deriva da una mancanza di istruzione e di conoscenza, e dalla nostra reciproca incapacità di accorgerci di questa mancanza.
Alcuni giorni fa stavo parlando con un amico di alcuni fatti di geografia in questo conflitto. Erano per lui cose così nuove che continuava a provare a convincermi che avevo torto o che non ricordavo correttamente quanto gli stavo dicendo. Ha insistito tanto che per diversi secondi ho iniziato a dubitare delle conoscenze che avevo acquisito negli ultimi due anni fino a quando non ho navigato su Google per mostrargli di cosa stavo parlando.
Io stessa non ero a conoscenza di questi fatti due anni fa e anche per me è stato uno shock doverli affrontare. È così che ci viene insegnata la storia di questo conflitto: vagamente e selettivamente, saltando parti molto importanti che sono scomode. Se ce le avessero condivise durante la nostra istruzione, avremmo potuto voler risolvere questo conflitto con concessioni reciproche – questo, come tutto il resto, vale per entrambe le parti.
Se fossimo disposti a capire la storia e i sentimenti dell’altra parte, potremmo non riuscire a gioire ora delle foto di Ganja, "loro" potrebbero non celebrare le vittorie mentre i civili in Nagorno Karabakh ne muoiono. Forse nessuna delle due parti vorrebbe vendicarsi se conoscessimo o comprendessimo l’altro e il suo dolore.
Ma siamo destinati a non capire, siamo destinati a vivere in una bolla.
Nei primi giorni in cui tutto questo è iniziato, io e un amico stavamo parlando di quanto sarebbe facile per le autorità preparare le proprie popolazioni alla pace. Una semplice frase pronunciata da Arayik Harutyunyan (Presidente della Repubblica dell’Artsakh, ndr) sul fatto che ci si sta battendo contro il governo azerbaijano e non contro l’Azerbaijan, è stata ripresa e condivisa da molti sui social media, anche da coloro che ogni giorno diffondono discorsi di incitamento all’odio.
Viviamo in società che si condizionano molto facilmente e, come abbiamo visto, anche i più intelligenti tra noi sono stati addestrati all’odio. Perché siamo solo burattini che stanno seduti tutta la notte ad attendere con impazienza una brevissima dichiarazione dopo più di 10 ore di negoziazioni in una stanza segreta. Ma, se possiamo essere addestrati ad odiare, potremmo anche essere addestrati ad amare, potremmo essere addestrati per la pace.
Come hanno concordato di fare, pur non facendolo poi mai, le nostre popolazioni potrebbero essere preparate per la pace!
Eppure siamo qui – noi che ci siamo veramente allenati per la pace – ad avere paura di dire troppo, di essere troppo pacifici, troppo neutrali o di essere definiti pacifisti in tempo di guerra.
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