Tipologia: Recensione

Area: Turchia

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Aspettando la paura

Oğuz Atay, scomparso prematuramente nel 1977, è considerato il pioniere del romanzo moderno in Turchia. La casa editrice Lunargento propone oggi anche al pubblico italiano la raccolta dei suoi racconti Aspettando la paura” curata da Giampiero Bellingeri con postfazione di Orhan Pamuk. Nostra recensione

13/09/2011, Roberta Bertoldi -

Aspettando-la-paura

Nella letteratura turca l’ingegnere e inventore Oğuz Atay (1934-1977) ricopre un ruolo fondamentale. Il romanzo Tutunamayanlar (1972), traducibile con Quelli per i quali è impossibile connettersi, rappresenta il suo capolavoro e viene dichiarato dall’UNESCO come “probabilmente il più eminente romanzo della letteratura turca del ventesimo secolo”. Tutunamayanlar, diventa anche modello e ispirazione per il giovane Orhan Pamuk, futuro premio Nobel per la letteratura nel 2006, che riconosce un’affinità con la scrittura di Atay arrivando ad affermare ”avessi avuto vent’anni di più, avrei potuto essere io l’autore di quel libro”.

In attesa della traduzione italiana di Tutunamayanlar, possiamo avvicinarci ora a questo prezioso autore attraverso la lettura di “Aspettando la paura”, otto racconti pubblicati in Turchia fra il 1972 e il 1977 e ora disponibili in italiano grazie alla traduzione di Giampiero Bellingeri e Şemsa Gezgin.

Fin dal primo racconto “L’uomo nel cappotto bianco”, il lettore si trova immerso in un’atmosfera kafkiana, dove il protagonista, ricoperto da un improbabile cappotto da donna, si lascia passare addosso la vita, impermeabile a tutto, salvo infine concedersi e lasciarsi permeare dall’acqua del mare che lo trascina a fondo.

“Lo scordato” ci conduce nei pertugi segreti e polverosi di una soffitta, dove al buio i ricordi di una relazione finita tragicamente riemergono inattesi tra vecchie foto e crani sfondati, in un monologo condotto caoticamente dalla voce della coscienza.

Il racconto che dà il titolo alla raccolta “Aspettando la paura” toglie al lettore ogni dubbio. Questo non è un libro semplice da leggere, bisogna abbandonarsi alla prosa, non opporre resistenza al dissesto linguistico, comunicativo dei protagonisti dei racconti. La lettura va centellinata perché Atay tocca corde nascoste nel nostro intimo, le nostre paure e solitudini si confrontano con quelle dei protagonisti dei racconti e i loro disordinati tentativi di connettersi con l’altro, assomigliano così tanto ai nostri monologhi quando la paura ci attanaglia.

La paura si insinua nel personaggio narrante di “Aspettando la paura” tramite una lettera anonima, scritta in una lingua sconosciuta e morta, firmata Ubor-Metenga. La minaccia contenuta nella missiva porta il protagonista a chiudersi in casa, alimentando il proprio disfacimento logico, emotivo, affettivo… minando persino la sua integrità fisica.

(…) Perché si parlava di Ubor Metenga nella lettera a me inviata? (…) Ubor Metenga: una persona, come ritenevo i primi giorni? Forse quello era il suo nome. E forse restava solo al pari di tutti gli uomini cattivi (pari a me). E quel disgraziato Ubor Metenga aveva voluto far pagare a me l’amarezza della sua solitudine, del suo abbandono.

(…) Così ho voluto che pure quelli là imparassero com’era fatto questo mondo. Mi sono rinchiuso giorni e giorni in camera mia, a pensare una cattiveria giusta per loro. E poi ho compiuto la prima azione cattiva che doveva venirmi in mente: ho preso a scrivergli lettere minatorie; lettere di minacce Ubor Metenga (118)

“Una lettera mai spedita” e “ Né sì né no” sono due epistole, dove i protagonisti si lasciano condurre in un racconto frammentato, che procede a singhiozzo ripiegato su se stesso, degenerando in assurdità grammaticali dove la punteggiatura mancante partecipa al lettore la difficoltà da parte dei protagonisti di adattarsi alle convenzioni, anche lessicali, del vivere comune, delle relazioni.

Pur rimanendo nell’ambito epistolare, il racconto “Lettera a mio padre”, è diverso dai precedenti. Denso di riferimenti autobiografici il testo mette in evidenza il rapporto di Atay con il padre, il senso di inferiorità rispetto al padre e la sconfinata nostalgia per un uomo che pur ricoprendo alti ranghi governativi (Cemil Atay fu eletto deputato in Parlamento dal 1939 al 1950) non ha mai rinunciato alle proprie origini e non ha mai usato la politica “procacciandosi vantaggi”.

Il rimpianto, la mancanza, ma anche il cinico esorcismo della morte emergono prepotenti al termine della missiva

Io, papà, non somiglio affatto a quei tetri intellettuali; mi contrappongo a loro e tengo per la tua spontaneità. Se anche ho la testa confusa per via di certe letture, spero ancora di custodire e recare dentro di me la tua sincerità. Resta che alla fine ho paura di assomigliarti in tutto e per tutto, paparino: anch’io, cioè, finirò per morire come te?”

“Il cavallo di legno“ è un racconto fantasioso sospeso tra l’antichità dei poemi omerici e l’attualità della nascita della Repubblica turca, fino agli anni Settanta quando un inetto comitato per il decoro decide la costruzione di un cavallo da collocare lì dove il grande Ulisse introdusse con l’inganno la sua macchina da guerra. La copia del cavallo sarà però molto lontana dall’originale, addirittura in cemento. Il protagonista del racconto, Tuğrul Tuzcuoğlu, figlio di un deputato molto stimato nella regione, dedica tutte le sue energie ad impedire lo scempio rappresentato dall’erezione di quest’opera che banalizza a suo avviso l’eroico passato di Troia a favore di un presente indecoroso e commerciale.

La soluzione finale vede Tuzcuoğlu nelle vesti di un nuovo Ulisse uscire dal cavallo con l’elmo in testa, l’incedere eroico… ma con un fucile in mano.

Molto bello l’ultimo racconto, “I narratori sui binari – un sogno” che, pur percorrendo nella narrazione sentieri improbabili e onirici, è una reale dichiarazione di cosa sia stata la letteratura per Atay.

In una stazione ferroviaria, sulla cima di una montagna, tre narratori di storie, l’io narrante, un ebreo e una donna, cercano di vendere ai viaggiatori i loro racconti. Hanno tra le mani dei cesti e dentro i rotoli con le loro storie dattilografate. I treni rallentano appena in prossimità della stazione, il tempo di acquistare un panino, una bibita e… un racconto.

Il pubblico è però esigente e superficiale, vuole racconti sempre nuovi da consumare come uno spuntino veloce. La macchina censoria, rappresentata dal capostazione limita e controlla ogni libertà espressiva. Il consumismo cui sono soggetti i testi logora e sfinisce i narratori finché, l’ultimo superstite lancia stremato il suo appello e richiamo al lettore.

Eppure voglio scrivergli, a quel lettore, scrivere sempre per lui, a lui narrare racconti senza interruzione, a lui comunicare dove mi trovo. Io sono qui, caro lettore, e tu, dove sei?”

I narratori sui binari

Ci verrebbe da rispondere che anche noi siamo qui, a raccogliere dal cesto i racconti di Oğuz Atay, a srotolarli con delicatezza per leggere un messaggio che senza dubbio ci riguarda.

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