Arrivederci Albania, forse un giorno ti conosceremo
Sempre più turisti visitano l’Albania e tra questi sono sempre più gli italiani. Mai come questa estate il paese è sembrato aprirsi al mondo. Ma è davvero così? Un commento
“Per chi suona il contrappasso: italiani che si fiondano in Albania! Te credo, le spiagge sono pazzesche, un pranzo di pesce costa 7 euro, un lettino con ombrellone 2 euro, gli abitanti sono affettuosi, professionali e parlano italiano mejo di noi”. Comincia così, con sfumature di romanesco, il pezzo di fine estate che dagospia.com ha dedicato alla nuova meta del Mediterraneo: l’Albania. Un articolo che non rende giustizia al soggetto che rende virale ma che ben riassume l’entusiasmo sempre più diffuso per un paese “dove noi italiani mai avremmo pensato di voler andare”.
Per tutti gli anni Settanta e Ottanta, mentre la RAI tormentava i sogni proibiti degli albanesi, gli unici italiani che avevano accesso alle spiagge del paese erano esponenti di minuscole formazioni della sinistra extraparlamentare: marxisti-leninisti alla ricerca del socialismo secondo Mao Tse-tung (al tempo l’Albania Socialista e la Cina Popolare erano alleate contro l’Unione Sovietica). Poi il muro cadde e dall’Albania cominciò la fuga. Quest’estate, finalmente, dopo mezzo secolo di ermetica chiusura comunista – a differenza di Tito Hoxha trasformò il suo paese in una vera e propria prigione all’aria aperta – dopo due decenni d’emigrazione, dopo tragedie, traumi, scomposte transizioni economiche e una guerra civile, il piccolo stato balcanico è sembrato aprirsi al mondo.
Chi rende visita all’Albania odierna non è più accecato da moventi ideologici: cerca mare, sole, buon cibo e macchia mediterranea. E le trova. Tuttavia, oggi come ieri, l’Albania in carne e ossa – gli albanesi che la abitano – rimangono per lo più sullo sfondo, comparse di uno “sviluppo” ad uso e consumo degli stranieri.
“Se fossi albanese sarei contento”
Le decine di recensioni che estate dopo estate si moltiplicano in rete confermano un trend positivo: nonostante l’aeroporto di Tirana non abbia ancora aperto alle compagnie low cost, sempre più europei visitano il paese e sempre più europei ritornano soddisfatti. Secondo i dati dell’INSTAT (l’Istituto statistico nazionale albanese) tra il 2010 e il 2015 il numero assoluto di turisti stranieri è più che raddoppiato, arrivando a sfiorare la soglia del mezzo milione di pernottamenti. Un numero da approssimare per eccesso, visto che non tutte le attività turistiche sono registrate e che la cifra non tiene conto delle abitazioni private a disposizione su AirBnB, un sito già in uso anche in Albania.
L’aumento del turismo filo-albanese si colloca all’interno di un fortunato quadro balcanico; ma se, dopo anni di boom, in Grecia, Croazia e Montenegro il turismo sembra stabilizzarsi, l’Albania sta invertendo la sua tendenza. Stando agli ultimi dati disponibili, con un aumento del flusso turistico pari al 22.6% l’Albania è la terza regione d’Europa attorno alla quale cresce la curiosità (subito dietro a Tracia Orientale e Islanda). Un risultato degno di nota, con indubbie ripercussioni economiche sulle attività locali. Ma un risultato ambivalente: su cui si addensano, per dirla con Pasolini, tutte le contraddizioni di uno sviluppo senza progresso.
“Se fossi albanese mi offenderei”
Le penne che in Italia raccontano la trasformazione del “Paese delle Aquile” si dimostrano affezionate agli stereotipi degli anni Novanta. Le quarantuno parole di Dagospia forniscono uno splendido esempio di questo paradosso: l’articolo sprizza positività, ma di fatto l’italiano che va in Albania subisce un “contrappasso” come i dannati dell’inferno dantesco, mentre l’albanese che lo accoglie è “affettuoso” come un orsetto di peluche. Siamo onesti, se fossimo albanesi non troveremmo offensiva una simile descrizione?
A quanto pare, i trentenni italiani che oggi scrivono d’Albania (me compreso) hanno ancora in testa una canzoncina che girava nei corridoi delle elementari. Era il 1997: mentre a Tirana le classi erano chiuse per rischio proiettili volanti, noi piccoli benestanti al sicuro storpiavamo così l’ultima hit di Nek: “Laura non c’è, è andata via, si è rifugiata in Albania. Là fa un po’ schifo, e glielo avevo anche detto, ma lei lo ha fatto per dispetto…”. Niente di grave, direte voi: una canzonetta per bambini scemi, per giunta censurata da maestre avvedute. Ma a distanza di vent’anni, nel retroterra culturale degli articolisti che nei mesi estivi si dedicano al “miracolo albanese” (perché d’inverno, ci si faccia caso, l’Albania dei giornali italiani si trasforma in avamposto dello Stato islamico) riecheggia quello stesso disprezzo infantile. In quel “e chi l’avrebbe mai detto” che precede i vari “che in Albania si mangia così bene…” c’è tutto il menefreghismo dello straniero ricco che è disposto a rivalutare il proprio vicino, pur sempre a patto di non doverlo conoscere. Se gli euro cash fanno bene alla salute dei ristoratori locali, dovremmo essere più consapevoli del fatto che non tutte le recensioni estere contribuiscono all’autostima dell’Albania in carne ed ossa: delle persone che nella “crescita” del paese ci vivono, e che sulle loro spalle portano il peso, le frustrazioni e le contraddizioni di un’apertura solamente cominciata, lontanissima dall’essere paritaria.
La “turbo Albania” di Edi Rama
Tra i principali artefici della rinascita turistica del paese vi è senza dubbio il primo ministro Edi Rama: un “artista prestato alla politica” che prima da sindaco e oggi da premier ha rivoluzionato l’immagine del suo paese. Per rendersene conto basta dare uno sguardo allo spazio che la RAI ha dedicato alla sua esibizione alla 57° biennale di Venezia: se questo è lo spessore dell’”uomo” certo non sorprende che in patria, qualche settimana più tardi, “il politico” abbia rivinto a mani basse le elezioni. “Un paese come l’Albania potrebbe chiedere di meglio?”, è la domanda che in Albania come all’estero chiude la bocca a chiunque provi a contestare le politiche dell’artista.
Qualche giorno fa, al tramonto dell’estate dei record e alla vigilia dell’insediamento del suo secondo governo, Rama ha convocato a Tirana tutti gli ambasciatori del paese. Trattandoli alla stregua di impiegati privati, il premier ha accusato i funzionari dello Stato di non promuovere adeguatamente il brand nazionale: “Com’è possibile che siate cosi lenti (in albanese "kaq te leshtë" è un’espressione offensiva che si potrebbe tradurre con “rincoglioniti”) nel trovare le formule e i meccanismi giusti? Ci conoscono poco o niente, o peggio ancora ci conosco male. Non so come giustificarla questa mancanza: pare che abbiamo diplomatici esausti di mattina e riposati quando vanno a dormire….”. Parole estremamente dure, soprattutto perché rivolte al corpo diplomatico con meno risorse d’Europa; ma parole perfettamente coerenti al programma di Rama: un politico che intende nutrire il paese con il riflesso della sua nuova immagine estera.
Emblematico, in tal senso, un episodio minore di questa fortunata estate albanese. Tra le tante recensioni italofone, sul finire di giugno Repubblica D ha pubblicato un articolo particolarmente colorato, in cui la popolazione albanese veniva definita “islamica di fede bektashi” – la frase esatta era: “La popolazione è di fede bektashi, islamica di derivazione sufi, ma per i giovani la religione è la techno”. Sebbene appena il 2% appartenga a questa minoranza religiosa, Rama si è ben guardato dal rettificare l’informazione: l’articolo giovanilista era intitolato “Turbo Albania ”, quanto basta a guadagnarsi la diffusione sui social del governo-agenzia-turistica. Mentre leggevo Repubblica, mi sono chiesto cosa diremmo in Italia se per attrarre turisti Gentiloni contribuisse alla diffusione di un articolo secondo il quale gli italiani sono in maggioranza luterani.
La domanda è retorica, ma il sorriso che suscita getta lunghe ombre d’autunno sulla strategia di comunicazione che il primo ministro vorrebbe trasmettere ai "suoi" ambasciatori. Se, in vista della prossima estate, il nuovo governo “socialista” non si limiterà a diffondere panzane a beneficio di turista, ma attuerà politiche per le persone che gli hanno accordato fiducia, forse l’anno prossimo camerieri e cuochi albanesi guadagneranno qualcosa in più di 200 euro al mese, e potranno, chissà, farsi anche loro qualche giorno di ferie in un altro paese (anche questa, in fin dei conti, sarebbe “apertura”). Se ciò avverrà, le linguine ai frutti di mare finiranno per costare qualche euro in più, e per noi italiani le vacanze albanesi saranno via via un po’ meno “turbo”. Ma non disperiamo, per i lavoratori albanesi “il miracolo” si profila lento. Al prossimo anno, bella sconosciuta!
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