Armenia: lungo la strada dell’alta moda
Vahan Khachatryan è un giovane stilista armeno, formatosi in Italia. Ora apre una casa di moda improntata a un percorso narrativo del tutto originale
In occasione del primo Fashion Trade show al neo-inaugurato spazio Expo di Yerevan, OBC Transeuropa ha incontrato Vahan Khachatryan, stilista armeno giovane ma già affermato, che in Italia ha lavorato per Dolce&Gabbana, per poi tornare in Armenia e lanciare un proprio marchio.
Vahan, come è iniziata la tua avventura nel mondo della moda? Quando hai scoperto questo tuo talento?
Tutto è cominciato quando avevo 15 anni. Un gruppo di amici aveva messo insieme un complesso rock, e volevano dei costumi di scena. Mi sono offerto di dare una mano e la cosa è andata molto bene… ho cominciato a essere richiesto, collaborando con atelier a Yerevan. Ho fatto il percorso inverso al solito, ho cominciato con il settore celebrities! Man mano che il tempo passava ampliavo un po’ le mie attività, divenendo direttore artistico presso pubblicazioni di moda. A un certo punto però mi sono sentito di dover indirizzarmi e strutturarmi meglio in un settore solo.
C’è stata quindi una seconda svolta significativa, dopo un esordio così giovanile e casuale?
Sì. Nel 2008 mi sono chiesto cosa volevo davvero fare. Mi rendevo conto che mi mancavano degli strumenti creativi e tecnici. Ho deciso di studiare. La mia scelta è stata l’Accademia Italiana di Firenze. Ho lasciato quindi Yerevan per l’Italia.
All’Accademia mi sono venuti incontro sul curriculum studiorum: normalmente è di 3 anni, ma siccome io non ero un esordiente assoluto mi hanno abbuonato un anno e mezzo. A Firenze ho appreso molto di quello che volevo sapere sulla sartoria, e anche sull’industria della moda. Ora mi aspettava il mondo del lavoro con nuovi strumenti. Prima di lasciare l’Italia per tornare a Yerevan ho quindi inviato curriculum in giro, nella speranza che qualcuno si facesse avanti.
E di nuovo hai cominciato da là dove per molti si arriva dopo anni…
E’ andata inaspettatamente bene! La mia candidatura spontanea ha destato l’interesse di Dolce&Gabbana. Sono tornato in fretta e furia in Italia per il colloquio e mi sono trovato a lavorare a Milano, all’Ufficio Stile Alta Moda. Un’esperienza intensissima che è durata un anno. Di nuovo ho imparato tantissimo, forse quello che ancora mi mancava dopo Firenze. Ho potuto seguire come nasce, cresce e si materializza una collezione, ho conosciuto moltissime persone che mi hanno aiutato a formarmi e a continuare il mio percorso professionale e creativo. E poi ho deciso per una nuova svolta: tornare in Armenia e provare a mettere in piedi nella mia città un marchio tutto mio.
Sei diventato imprenditore: com’è stato l’inizio?
Ovviamente è diverso dall’essere esclusivamente un creativo. Ho dovuto re-settare le mie ambizioni sulla base della fattibilità del mio progetto, trovare un sostegno economico. Non ho trovato programmi governativi per start-up di giovani imprenditori, quindi mi sono dovuto rivolgere a privati. Fra questi ho trovato una persona che aveva disponibilità di investimento, e che mi ha aiutato divenendo mio partner.
Sicuramente ci sono riuscito perché nel mio curriculum c’era l’esperienza a D&G. Una firma così è stato un biglietto da visita che ha reso possibile attivare un processo che altrimenti sarebbe stato molto difficile far partire: una collezione mia, uno spazio dove creare e vendere e – nel 2013 – cominciare a sfilare.
E’ nata quindi la Vahan Khachatryan …
Sì, dal 2013 riesco a fare 2 collezioni all’anno e a presentarle in Armenia e ora anche all’estero. Finora ho presentato quattro collezioni al Kiev Mercedez Benz Fashion Days. Uscire dall’Armenia è un grande sforzo, anche economico, che faccio non solo per vendere e affacciarmi su un altro mercato, ma anche perché Kiev è già più inserita nel circuito della moda internazionale, almeno come garanzia di visibilità del marchio, rispetto a Yerevan. Ed è stata la scelta giusta: sono stato notato, anche nella stampa internazionale. Le mie collezioni risentono del gusto italiano, la mia formazione e inclinazione estetica emergono, e si uniscono a chiari riferimenti all’arte e alla cultura armena. Questa miscela pare destare interesse.
Anche in Italia, dove il tuo lavoro è stato riconosciuto anche dopo il tuo ritorno in Armenia..
Sì. Vogue Italia per due volte mi ha voluto nell’inserto di settembre, quello dedicato agli stilisti emergenti, così come ho partecipato all’Expo a Milano per Pitti Immagine/Vogue Italia, selezionato dalla talent scout Sara Maino, mentre Simonetta Gianfelice mi ha voluto alla settimana dell’Alta Moda di Roma.
Ci hai accennato alla tua estetica. Come descriveresti le tue collezioni?
Ogni collezione ha una sua dimensione estetica, quasi un percorso narrativo. E forse questo è già un elemento molto armeno: la nostra arte è piena di simbologia, ha una ritualità implicita che va decifrata. Ho già accennato al fatto che questo si sia poi fuso con tutto quello che ho visto e amato in e dell’Italia. E poi ci sono i messaggi o i ricordi che voglio trasmettere attraverso le mie sfilate. Ho dedicato una collezione al centenario del genocidio. E una collezione speciale è stata ispirata e realizzata in omaggio al centenario della nascita di mio nonno, Suren Stepanyan, pittore ufficiale dell’Unione Sovietica: i quadri in mezzo ai quali sono nato sono divenuti stampe su tessuti italiani.
E adesso? Quali sono i prossimi passi artistici e imprenditoriali?
Oltre a mantenere il mio progetto sostenibile, mi piacerebbe differenziarlo, lanciare una linea pretaporter per una fascia economica media, aprire un secondo negozio dedicato a questa a Yerevan. E uno a Firenze, una cooperazione italo-armena.
Sono programmi ambiziosi, e ci sono davvero molti ostacoli per un imprenditore armeno che opera su un mercato transfrontaliero. Le tasse di importazione mi costano di più della produzione, di cui buona parte si concentra in Italia. Secondo me questo strozza davvero l’imprenditorialità armena.
Vahan, c’è qualcosa che trovi importante aggiungere sul tuo percorso, a bilancio della tua avventura finora?
Voglio dire a chi ci ha letto che davvero niente è impossibile. Io 15 anni fa – con pur tutte le difficoltà che ci sono state e con cui continuo a confrontarmi – non avrei mai immaginato che il mio sogno si sarebbe potuto realizzare. Un percorso come il mio mi sarebbe sembrato una cosa titanica, per uno sconosciuto, in un paese come l’Armenia, piccolo, con un minuscolo mercato e fuori dai circuiti internazionali della moda. Per cui continuate a lavorare e non smettete di credere: se è successo a me può succedere anche a voi.
E poi spero di poter essere l’apripista, che da uno i nomi di stilisti che emergono dall’Armenia diventino sempre di più, oltre agli armeni già affermati che provengono dalla diaspora.
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