Armenia: Lgbt+, ostaggi contro la rivoluzione
Dopo la schiacciante vittoria di Pashinyan alle politiche dello scorso dicembre la precedente classe dirigente dell’Armenia si è unita con un gruppo di forze omofobe e di estrema destra, tentando di muovere la società contro il nuovo corso nel paese
(Originariamente pubblicato il 17 maggio 2019 da OC Media )
L’8 marzo scorso, intervenendo ad un forum sulla questione delle donne dove erano presenti membri del parlamento e attiviste, l’attivista Lara Aharonian ha tenuto un intervento riguardante i diritti delle donne povere, delle donne con disabilità, delle madri single e, tra le altre, delle donne omosessuali, bisessuali e transessuali. La reazione è stata immediata: Aharonian ha ricevuto online una raffica di offese e di minacce di morte, di stupro e di violenze indirizzate sia a lei che alla sua famiglia, tutto ciò solo per aver menzionato l’esistenza delle donne armene omosessuali, bisessuali e transessuali.
Meno di un mese dopo, la transessuale Lilit Martirosyan si è rivolta al Parlamento armeno durante un dibattito pubblico sui diritti umani, subendo a sua volta minacce di violenza e di morte. Aveva parlato dei problemi che le persone LGBT+ si trovano ad affrontare, tra cui i centinaia di attacchi contro di loro. Questo non ha certo preoccupato quegli attivisti anti diritti umani, anzi ha portato a nuovi crimini. Un membro del Parlamento del partito di opposizione “Armenia Prospera” ha pure richiesto che Lilit e altre persone LGBT fossero bruciate in piazza.
Durante quest’incontro pieno d’odio un prete della chiesa apostolica Armena ha tenuto un discorso dove pretendeva la criminalizzazione della “sodomia”, una cosa che non era presa in considerazione dalla chiesa apostolica Armena nemmeno nel Medioevo.
È passato più di un anno dalla Rivoluzione di velluto armena contro la leadership corrotta del paese ma, come il caso Aharonian dimostra, l’attivismo a favore della democrazia e dei diritti umani è ancora vulnerabile.
Dalla rivoluzione l’Armenia ha camminato sulla corda molto sottile della transizione, periodo in cui si è passati dal fervore rivoluzionario ai lenti processi di riforma.
Le elezioni parlamentari indette a sorpresa lo scorso dicembre sono state il passo finale nel consolidamento di una nuova Armenia, un paese impegnato verso un futuro di democrazia, stato di diritto e trasparenza.
Durante questo processo le forze della precedente classe dirigente hanno cercato di alimentare le controversie tra il governo post-rivoluzionario e la società e di attrarre sempre più persone verso di loro.
Dopo aver perso le elezioni e la loro rappresentanza in parlamento, hanno continuato a far fronte comune con un’agenda politica regressiva e manipolatrice, con l’obiettivo di screditare la rivoluzione e il governo del primo ministro Nikol Pashinyan. E uno dei principali argomenti che ritengono sia strumentale a creare polarizzazioni sono proprio i diritti degli LGBT+.
Gli attacchi alle persone LGBT+ dopo la rivoluzione di velluto
Il tre agosto 2018 nove persone sono state attaccate nel villaggio di Shurnukh nel sud dell’Armenia. Avevano viaggiato fino a lì per incontrarsi con altre persone LGBT+ ed erano ospitate da una famiglia conosciuta per la sua opposizione al precedente governo e per avere un figlio attivista.
Durante l’attacco una massa di persone ha circondato la casa urlando minacce e insulti riferiti all’orientamento sessuale degli inquilini ed infine li ha cacciati dal villaggio, lanciando pietre e ferendo alcuni di loro.
Quanto accaduto dimostra come membri del vecchio regime fomentino l’omofobia per portare avanti la propria agenda politica. Cosa ha infatti causato quest’improvviso cambio d’atteggiamento nei residenti del villaggio, che fino a quel momento non avevano interferito con la famiglia già nota per le sue idee politiche? Come è poi emerso, il capofamiglia aveva proposto una petizione per sporgere denuncia per corruzione contro il leader della comunità Hakob Arshakyan e per farlo aveva usato l’account email del figlio, inconsciamente rendendolo un bersaglio politico: il fatto poi che lui fosse gay è diventato un mezzo per aizzare gli attentatori.
Diversi giorni dopo l’attacco, un gruppo di attivisti di estrema destra e sostenitori del precedente governo – che online avevano giustificato quanto accaduto – si sono recati nel villaggio per organizzarvi una celebrazione nazionale.
Un altro incidente, una schermaglia tra persone transessuali e poliziotti, è avvenuto il 14 agosto 2018 in una delle stazioni di polizia della capitale. Le immagini circolate online e il titolo omofobo della clip hanno insospettito alcuni attivisti per i diritti umani che hanno ipotizzato che si potesse trattare di una messa in scena per istigare all’odio.
Un altro video circolato in agosto e che mostrava bambini vestiti con costumi in stile carnevalesco ad un campo estivo è stato presentato come “propaganda gay”. Le immagini dei bambini sono state condivise e disseminate sul web, violando il loro diritto alla privacy e rendendoli assieme ai loro genitori obiettivi politici. Il caso ha generato atteggiamenti omofobi. Alcune persone si sono sentite in dovere ad esempio di esprimere pubblicamente la propria omofobia. È stato il caso di un gruppo musicale locale, la Hot’n Roll Band, che ha dichiarato in modo poco velato che le persone gay non erano benaccette ai loro concerti.
Il vecchio regime fomenta e ringrazia
Questi incidenti dove si promuove l’omofobia avvengono in un contesto politico in cui le relazioni tra l’Armenia post-rivoluzionaria e la Russia sono sempre più tese. C’è chi ritiene che l’ascesa dell’attivismo di estrema destra sia stata possibile grazie al sostegno del governo russo ad alcune ONG. Queste organizzazioni regolarmente prendono di mira donne e persone LGBT+, presentano la democratizzazione e i movimenti per i diritti umani come politiche occidentali e ora stanno collaborando con i sostenitori del regime politico pre-rivoluzionario.
Per esempio l’ex parlamentare Aragats Akhoyan – dopo non aver preso alcuna posizione in pubblico per un po’ di tempo, ha partecipato a una conferenza stampa contro le persone LGBT+ dopo che suo fratello Stepan, proprietario dell’azienda edile Spitak Tnak, è stato arrestato durante il giro di vite contro la corruzione portato avanti dal nuovo governo. Stepan Akhoyan era stato insignito con un’onoreficienza statale all’ex presidente armeno Serzh Sargsyan nonché è stato beneficiario di numerosi appalti statali.
Negli ultimi cambiamenti politici radicali nel paese, in particolare durante la campagna per le scorse parlamentari, la demonizzazione delle persone LGBT+ è diventata una delle principali narrative usate dal vecchio ordine politico per togliere voti alle forze rivoluzionarie ed in particolare alla squadra di Pashinyan. Una tecnica per dividere la società utilizzando le tradizioni come scure contro un fantomatico nemico comune.
Il populismo di estrema destra
I partiti del vecchio regime hanno cominciato a manipolare i temi LGBT+ prima delle elezioni dello scorso dicembre proponendo diversi emendamenti omofobi e utilizzando come slogan la “lotta all’immoralità” e la preservazione dei “valori nazionali”.
Nell’ottobre scorso il membro del parlamento Tigran Urikhanyan del partito “Armenia Prospera” ha tentato di introdurre una modifica al “Codice di famiglia” che avrebbe esplicitamente dichiarato fuori legge i matrimoni tra persone dello stesso sesso, nonostante nel 2015 un referendum costituzionale lo avesse già fatto definendo il matrimonio come unione tra un uomo e una donna.
L’ex vice-presidente del parlamento armeno Eduard Sharmazanov, con alcuni parlamentari del Partito Repubblicano, ha proposto un emendamento alla Legge sulla Protezione dei Diritti dei Bambini per vietare la “propaganda omosessuale”. Il governo ha rifiutato entrambi gli emendamenti.
Il nuovo governo si trova ora di fronte alla difficile sfida di gestire apertamente il ripristino e la salvaguardia dei diritti e contemporaneamente di non perdere la fiducia di elettori manipolati dalla propaganda omofoba.
A fine ottobre la proposta di ospitare l’undicesimo Forum cristiano LGBT dell’est Europa e Asia centrale a Yeravan è stato un tema caldo nel dibattito politico, che ha visto gli attivisti di estrema destra organizzare campagne online e per le strade. Un dibattito sulla questione si è tenuto anche in parlamento.
Gevorg Petrosyan, un parlamentare di Tsarukyan, ha richiesto a Pashinyan di vietare il Forum, dicendo che mettere a rischio l’esistenza della famiglia tradizionale in Armenia era una minaccia più grande dei monopoli economici o dei confini non controllati. Le dichiarazioni di Petrosyan vanno lette nella logica del contesto elettorale dato che sono state fatte in una sessione del parlamento convocata per sciogliere lo stesso.
Nonostante Pashinyan fosse riuscito ad evitare di parlare dei problemi LGBT+ per un po’ di tempo, è stato impossibile evitare di farlo in parlamento. La sua risposta ha più interpretazioni: due volte ha sottolineato che per lui la “famiglia tradizionale armena” rappresenta il valore più alto; non ha mai fatto menzione ai diritti umani, ma ha presentato la storia di un suo incontro con un giovane uomo a Parigi che è scappato dall’Armenia dopo aver affrontato la persecuzione per il suo orientamento sessuale.
Pashinyan ha poi ammesso onestamente che la questione LGBT+ rappresentava un vero e proprio mal di testa per il suo governo e che l’avrebbe se possibile evitata. Ha aggiunto, comunque che prima o poi l’Armenia si sarebbe trovata ad affrontare la questione.
La risposta di Pashinyan ha ricevuto reazione ambivalenti da parte dei difensori dei diritti LGBT+: alcuni hanno contestato l’approccio del nuovo governo. Forse la conseguenza più importante del commento di Pashinyan è stata che la sua apparente neutralità ha ulteriormente radicalizzato la propaganda omofoba.
Pochi giorni dopo, il primo novembre, il capo della Chiesa Apostolica Armena, Catholicos Karekin II, si è inserito nel dibattito con un commento in cui condannava "i tentativi dei rappresentanti LGBT di incitare le persone" e qualificava queste azioni come "una tentazione per le nostre giovani generazioni" e "una minaccia alla sopravvivenza della nostra nazione".
Il giorno successivo molti attivisti di estrema destra hanno affermato su Facebook di aver inseguito in macchina i membri della "Nuova Generazione", l’organizzazione che avrebbe ospitato il forum LGBT che è stata obbligata a sospendere la sua attività per più giorni.
Il 6 novembre il capo della polizia Valery Osipyan ha annunciato che il forum LGBT non si sarebbe tenuto per ragioni di sicurezza. Osipyan ha sottolineato che la polizia sarebbe stata anche in grado di garantire la sicurezza dei partecipanti ma che gli organizzatori erano concordi nell’annullare l’evento dopo un primo rapporto sulla sicurezza fatto dalla polizia.
La dichiarazione è stata vista dagli attivisti come restrizione della libertà di assemblea e come fallimento dello stato di ottemperare ai suoi doveri. Contemporaneamente gli attivisti di estrema destra hanno continuato a manifestare nella capitale nonostante la cancellazione dell’evento.
La sfida del futuro
Dopo aver fallito di aggirare il “grattacapo” il governo post-rivoluzionario è ora di fronte ad una sfida.
L’élite politica uscente ha continuato nelle sue politiche discriminatorie anche dopo aver perso le elezioni politiche. Hanno continuato nell’ostacolare le politiche pro-democratiche ed anti-corruzione tentando di minare la fiducia pubblica nel nuovo governo e tentando di dividere la società.
Nonostante la questione LGBT+ rischi ancora di diventare strumento di manipolazione pubblica, l’ampio supporto e fiducia nei confronti di Pashinyan potrebbe essere vista come un’opportunità per rompere la logica della persecuzione e della discriminazione.
Pashinyan potrebbe e dovrebbe utilizzare la sua voce per rompere la logica della persecuzione e della discriminazione.
Inoltre la polizia dovrebbe garantire l’effettiva e corretta investigazione su tutti i casi di incitamento all’odio, attacchi e violenze perpetrati nei confronti degli attivisti per i diritti umani.
Come ha sottolineato Lara Aharonian nel suo discorso, "il decennio delle decisioni dichiarate solo a parole e di bei discorsi è finito ed è tempo di agire". La piattaforma di cooperazione Società civile-Parlamento, dove ha tenuto il suo discorso, dovrebbe fare un primo passo e rifiutare pubblicamente ogni tipo di stigmatizzazione e presa di mira di questa donna che si batte per i diritti.
È compito ora delle nuove autorità, che controllano sia l’esecutivo che il potere legislativo, di decidere dove la rivoluzione sta andando e se le riforme andranno veramente a modificare nel profondo il paese.
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