Armenia, epilogo della crisi politica e nuove elezioni
L’Armenia andrà ad elezioni anticipate il prossimo 20 giugno. E’ così che dovrebbe risolversi la grave crisi politica apertasi dopo la sconfitta militare subita nella guerra per il Nagorno Karabakh
Con la firma della dichiarazione congiunta del 10 novembre 2020 che ha messo fine ai combattimenti in Nagorno Karabakh sancendo la disfatta armena si è aperta, nel paese, una grave crisi politica. Anche se la questione del Karabakh è rimasta irrisolta per 30 anni, così come la situazione in cui versava l’esercito armeno era frutto di decenni di governo, il peso della disfatta è ricaduto sul governo in carica, non scevro peraltro di responsabilità nell’inasprimento dei rapporti con Baku.
La crisi è stato uno dei fattori che maggiormente ha destabilizzato il periodo post bellico: manifestazioni pro e contro il governo si sono tenute per settimane, con una polarizzazione nazionale che in alcuni momenti ha rischiato di diventare violenta. Alla questione – enorme, colossale – della sconfitta in guerra – e dello stravolgimento dello status quo cui si era abituati quasi fosse ormai intangibile dal 1994 – si sono aggiunte ulteriori spaccature interne, come la tensione fra Pashinyan e lo Stato Maggiore dell’esercito.
Nonostante gli sforzi di un cartello di partiti di opposizione per farlo cadere, il primo ministro Nikol Pashinyan ha continuato a godere di un supporto sufficiente a rendere impossibile la sua abdicazione per pressione della piazza. Lui stesso ha sempre dichiarato di essere al potere per legittima volontà popolare e che avrebbe mantenuto la responsabilità di governo fino a che non fosse stata la medesima a deporlo.
La fine della settima legislatura
Le elezioni in Armenia si sarebbero dovute tenere nel 2023, ma in questi sei mesi è risultato evidente che dopo la guerra e tutti i bilanci negativi emersi dall’analisi delle cause della sconfitta sarebbe stata necessaria una nuova legittimazione per chi governa. Le elezioni non sono come referendum sulle colpe del governo in carica, ma anche base per rinsaldare il rapporto fra governo e cittadini, e per consegnare a chi governerà un auspicabile e solido mandato per gestire la crisi post-bellica.
È stato quindi concordato fra maggioranza, opposizione parlamentare ed extra parlamentare un iter istituzionale che portasse al voto. Data fissata per le urne: 20 giugno 2021.
Fra un mese circa quindi in Armenia si terranno le elezioni politiche anticipate.
Dopo che le parti in causa hanno negoziato duramente il percorso di uscita dalla crisi, si sono attivati i meccanismi affinché tutto procedesse come concordato. Il 25 aprile Pashinyan ha rassegnato le dimissioni, innescando una crisi di governo. Secondo la Costituzione, l’Assemblea Nazionale per sciogliersi non sarebbe dovuta essere in grado di eleggere un nuovo primo ministro per due volte. Così è stato: il 3 e il 10 maggio Pashinyan si è candidato ma – come d’accordo – non è stato eletto, e 40 giorni dopo, come previsto dalla legge, poteva essere tenuta una tornata elettorale anticipata. Questi due passaggi, che erano per lo più formali, sono diventati occasione per un confronto sulle questioni più critiche affrontate dal governo Pashinyan: la guerra, le relazioni con la Turchia, le varie ipotesi complottiste – come accordi segreti, alti tradimenti – che attraversano la società armena, ancora traumatizzata dalla guerra e alle prese con l’emergenza umanitaria e di sicurezza che ne è seguita.
Il 10 maggio scorso ha quindi avuto fine la settima legislatura, nata dalle speranze della rivoluzione di velluto e travolta dalla pandemia, dalla guerra e dai suoi postumi, da un rialzo spaventoso dei prezzi dei beni di prima necessità per una combinazione della crisi pandemica mondiale e di fattori climatici, dalle fluttuazioni monetarie. Nell’ultimo anno in Armenia si sta registrando un aumento dei prezzi di quasi il 9% . I prezzi di zucchero e oli vegetali sono al rialzo su scala globale e un paese importatore come l’Armenia non può che risentirne. Inoltre il paese ha una valuta debole che si sta deprezzando rispetto al dollaro, per cui negli scambi internazionali paga anche il costo del proprio deprezzamento.
La crisi di Syunik e il voto
Le scadenze per arrivare al voto sono ormai prossime: entro oggi 26 maggio si devono registrare i partiti candidati alle elezioni. La campagna elettorale durerà dal 7 al 18 giugno. Si voterà con un sistema proporzionale puro, con sbarramento al 5% per i partiti, 7% per le coalizioni. Tutto sotto la spada di Damocle della recente crisi di Syunik, legata ad un recente sconfinamento dell’esercito dell’Azerbajian in territorio armeno.
Pashinyan ha allo stato attuale un buon margine nei sondaggi. La campagna elettorale è già di fatto in corso, e oltre al peso della gestione della pandemia, della guerra, della crisi economica il governo uscente è sotto la lente scrutatrice di un elettorato – nei sondaggi si parla di un 40% di indecisi – che valuta anche la gestione della crisi di Syunik. Qualora la crisi dovesse acutizzarsi, per altro, il governo potrebbe decidere, o trovarsi costretto, a reintrodurre la legge marziale e lo stato di emergenza, il che comporterebbe una sospensione delle elezioni fino alla fine dell’emergenza medesimi.
Intanto l’opposizione non è più unita. A rimescolare le carte delle candidature di rilievo è ri-disceso in campo Robert Kocharyan. Il secondo presidente armeno, originario del Karabakh, ha guidato il paese dal 1998 al 2008. Un processo a suo carico per la repressione della manifestazione post-elettorale del 2008 che era costata 10 morti e 130 feriti è finito nel 2020, quando la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’articolo del Codice Penale per il quale Kocharyan era incriminato. La sua candidatura è sostenuta dalla Federazione Rivoluzionaria Armena (FRA), partito storico, ben radicato nella diaspora e che lui stesso aveva riammesso nell’agone politico durante in suo primo mandato dopo che il predecessore Ter Petrosyan lo aveva dichiarato fuori legge.
Oltre alla FRA la candidatura di Kocharyan è sostenuta dal partito Armenia Rinata, il cui segretario è l’ex governatore di Syunik e proprio su questa provincia Kocharyan si è espresso nel discorso della propria discesa in campo: “Syunik oggi è l’epicentro delle minacce per l’Armenia. Dipende da Syunik se l’Armenia rimarrà un attore regionale o null’altro che un corridoio. Sono minacce serie. Credo che Syunik oggi sia il simbolo della nostra battaglia”.
La crisi di Syunik oltre a una minaccia alla sicurezza è anche una mina vagante nel voto armeno.
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