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Armenia e Azerbaijan: la stagione del rischio

Il think tank internazionale ICG lancia l’allarme. Tra Azerbaijan e Armenia potrebbe essere guerra. Un conflitto dalle conseguenze imprevedibili e che rischierebbe di andare ben oltre l’ambito strettamente locale

16/10/2013, -

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(La traduzione dell’introduzione al rapporto "Armenia and Azerbaijan: A Season of Risks" del 26 settembre 2013 a cura dell’International Crisis Group)

Lo scontro, di bassa intensità ma a forte volatilità, tra Azerbaijan e Armenia è entrato in un periodo di alto rischio. I negoziati di pace sul Nagorno-Karabakh si sono impantanati nel 2011, i due paesi stanno accelerando una rincorsa al riarmo e una retorica sempre più intensa e stridente.

L’utilizzo di termini quali “Blitzkrieg” oppure “attacco preventivo” o “guerra totale” sono divenute frequenti tra i leader di entrambe le parti in conflitto. La prima preoccupazione è quella di una sottovalutazione delle azioni militari, con implicazioni che potrebbero eccedere di gran lunga quelle di un conflitto post-sovietico locale dato che, il sud del Caucaso, una regione nella quale le grandi potenze si trovano a incontrarsi e competere, è ora uno tra i maggiori corridoi energetici mondiali.

Gli scontri lungo la frontiera tra Azerbaijan e Armenia sono in continuo aumento, anche lontano dal Nagorno-Karabakh, fonte originale del conflitto. Si stanno diffondendo tensioni anche al confine tra Armenia e la cosiddetta ex-clave del Nakhichevan, dove l’esercito azero e quello turco hanno condotto delle esercitazioni lo scorso mese di luglio. In quell’occasione uno scontro a fuoco causò dei morti. E’ stato poi il turno dell’Armenia a condurre i suoi war games nei pressi del confine azero, in settembre.

E’ necessario ora un vigoroso coinvolgimento internazionale per diminuire la possibilità di una escalation di violenza nelle prossime settimane e mesi.

Pur essendo in vigore un cessate il fuoco, dopo il conflitto scoppiato negli anni ’90 a seguito della dissoluzione dell’Unione sovietica, le provocazioni sono frequenti: ad esempio la grazia concessa da Baku ad un proprio ufficiale che aveva ucciso un collega armeno durante un corso di lingua sponsorizzato dalla NATO in Ungheria e il piano dichiarato da Yerevan per la riapertura dell’aeroporto in Nagorno-Kharabakh ai voli di linea.

Inoltre i rischi di turbolenza politica interna in entrambi i paesi aumenta le incertezze. Contestazioni interne potrebbero infatti spingere i leader dei due paesi a distogliere l’attenzione attraverso un’escalation militare o di imbarcarsi in rischiosi tentativi di capitalizzare i problemi del proprio avversario. Le leadership di entrambi i paesi affrontano un autunno difficile. Il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliev affronterà le elezioni, in ottobre, per ottenere il suo terzo mandato consecutivo. Per la prima volta, la maggior parte della solitamente frammentata opposizione appoggia un unico candidato. Anche se il presidente uscente dichiara di avere il sostegno di più del 70% degli elettori, i suoi critici affermano che la vittoria gli arriverà grazie alle massicce risorse amministrative fermamente sotto il suo controllo. In ogni caso le autorità temono qualsiasi situazione dove si possano aggregare persone e dissenso. E i gruppi di opposizione pianificano un autunno di proteste.

Attualmente manca una pressione internazionale sufficientemente forte e coordinata da rompere questa pericolosa impasse diplomatica. Vi è scetticismo in entrambe le capitali e anche presso diplomatici e analisti terzi sul fatto che i negoziatori designati dall’OSCE, il cosiddetto Gruppo di Minsk – guidato da Usa, Russia e Francia – possano ottenere un qualche risultato.

La posizione della Russia è quella che solleva le maggiori perplessità in merito alla possibile efficacia di questo format. Non solo infatti la Russia co-presiede il Gruppo di Minsk ma ha anche interessi di estrema rilevanza nel sud del Caucaso e rifornisce di armi entrambi i contendenti.

L’ICG ha descritto per anni i rischi posti da questo conflitto irrisolto tra Azerbaijan e Armenia in merito al Nagorno-Karabakh. Questo rapporto non predice un’imminente guerra e neppure si afferma che quest’ultima sia più probabile che in passato. Ma sostiene che minacce di breve periodo alla stabilità si stiano acutizzando. Continueremo ad analizzare possibili approcci che potrebbero coadiuvare il meccanismo di mediazione di Minsk in cerca di una soluzione di lungo periodo. Nel frattempo, per prudenza, è però quantomai necessaria un’azione profilattica, che adempia alle seguenti indicazioni:

1. La diplomazia da parte dei co-presidenti del Gruppo di Minsk, dell’Unione europea e di altri deve sottolineare la necessità di un periodo di calma nel quale entrambe le parti raffreddino la loro retorica. Questo dovrebbe essere accompagnato da un energico coinvolgimento internazionale nell’evidenziare il rischio di calcolare male le conseguenze delle proprie azioni e gli enormi costi per entrambe le parti del ritorno alle ostilità;

2. Le imminenti elezioni presidenziali in Azerbaijan e la suscettibilità alla crisi politica in Armenia in questo fine 2013 fanno della moderazione, per entrambe le parti, una priorità immediata. In quest’ottica può aiutare e deve essere sostenuta l’intensificazione di contatti regolari e degli incontri tra ministri e parlamentari;

3. Una linea telefonica di crisi deve essere ristabilita tra Yerevan e Baku per diminuire le chance di un’escalation militare. Per far crescere la fiducia reciproca, le due parti dovrebbero fare più sforzi tramite il Comitato internazionale della Croce Rossa per affrontare la questione dei prigionieri di guerra;

4. La Russia, che ha un grande potere di influenza su tutti gli aspetti di questo conflitto e sarebbe, tra i presidenti del Gruppo di Minsk, la più colpita da un’eventuale guerra, deve agire in modo più deciso per mediare un accordo. Potrebbe arrivare a questo annunciando una sospensione della fornitura di armi ad entrambe le parti. Altri fornitori, tra i quali Corea del sud e Israele, dovrebbero essere invitati a fare altrettanto.

 

ICG, Baku/Yerevan/Tbilisi/Bruxelles, 26 settembre 2013

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