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Armenia: chi sono i proprietari delle miniere?

Il settore minerario è tra i principali dell’economia armena. Nel marzo 2017 il paese si è candidato a far parte della Extractive Industries Transparency Initiative (EITI). Sarà sufficiente a rendere più trasparente il settore?

27/12/2017, Hakob Safaryan -

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(Pubblicato originariamente l’8 maggio 2017 da Ampop, e ripreso da OC Media il 6 dicembre 2017)

Il sottosuolo dell’Armenia è ricco di risorse minerarie: ferro, carbone, molibdeno, stagno, zinco, oro, argento, alluminio ed altri metalli preziosi. I più rilevanti per il settore minerario del paese sono rame e molibdeno. La miniera di Karajan, la più grande nel paese, li estrae entrambi ed afferma di avere a disposizione 2.24 miliardi di tonnellate di minerale ricco di molibdeno che rappresenterebbe il 6% delle riserve mondiali di questo specifico metallo. Date le riserve dichiarate e considerando che dalla Karajan si estraggono 18 milioni di tonnellate all’anno, quest’ultima potrebbe rimanere attiva per i prossimi 100-120 anni.

Secondo i dati forniti dal ministero delle Infrastrutture energetiche e delle Risorse naturali, nel paese vi sarebbero 670 miniere, 30 delle quali nel settore dell’estrazione di metalli. Il 1 gennaio del 2017 erano 431 le aziende nel paese con licenza d’estrazione, 28 delle quali per metalli. Rame, oro e molibdeno sono quelli costituiscono la fetta più rilevante nelle esportazioni armene.

Nel settore minerario sono impiegate circa 10.000 persone. Il salario medio è di 710 dollari, il doppio del salario medio nel paese. Questo è dovuto all’alto valore del prodotto e al lavoro usurante e con rischi per la salute. Secondo i dati ufficiali, nel 2015 il 16,4% dell’intero prodotto industriale del paese era legato alle miniere; l’anno successivo si è passati al 16,7%. Nel 2015 il settore pesava per il 4,4% sul Pil mentre nel 2016 la quota è scesa al 2,6%. Per quanto riguarda le esportazioni industriali invece la parte legata ai prodotti minerari copre il 50%, con il rame, da solo, a coprire tra il 23 e il 26% del valore delle esportazioni. E’ quindi evidente che le miniere siano un’importante fonte per le entrate statali. Le aziende impiegate nel settore versano somme rilevanti sottoforma di tasse.  Nel 2016 hanno contribuito alle casse dello stato per circa 81 milioni di dollari.

Mancanza di trasparenza

Nonostante sia un settore strategico poco però si sa sui proprietari delle miniere e di fatto i nomi degli azionisti in questo settore non vengono resi pubblici. I siti ufficiali delle aziende non contengono alcun dettaglio sulla proprietà. Ci si augura però che l’adesione alla Extractive Industries Transparency Initiative (EITI), avviata nel 2017, possa portare maggior trasparenza.

La seconda azienda mineraria del paese è la miniera di Teghut, situata nella provincia di Lori, Armenia settentrionale. Quest’ultima è proprietà del Gruppo Vallex. La miniera è divenuta operativa a fine 2014. Secondo il portale dell’azienda conterrebbe 454 milioni di tonnellate di riserve di minerale con concentrazione dello 0,36% di rame e dello 0,02% di molibdeno. Dal processo produttivo ci si aspetta l’estrazione di 7 milioni di tonnellate all’anno.

L’estrazione dell’oro avviene invece principalmente nella miniera di Sotk (Gegharkunik). L’oro è il principale prodotto anche della miniera di Shahumayan della Dundee Precious Metals. Anche la miniera di Amulsar, della Lydian International estrae minerali che contengono oro con una scarsa concentrazione, ma di cui sarebbero presenti ampi volumi. Quest’ultima ha ottenuto la sua licenza nel 2012 e si prevede divenga attiva nel 2018.

Secondo il sito della Lydian International la miniera contiene riserve (quindi una concentrazione di almeno 0,2 grammi per tonnellata) per 67 milioni di tonnellate. Il livello di concentrazione nei minerali verificati nel bacino minerario sarebbe attualmente di 0.79 grammi a tonnellata per l’oro e 3,68 per l’argento. Sempre sul sito si dichiara che la miniera rimarrà attiva per 10 anni estraendo 5.700 chili di oro all’anno, che varrebbero sul mercato, ai prezzi attuali, circa 200 milioni di dollari all’anno.

Il passato

La storia dell’industria estrattiva in Armenia è centenaria. La prima attività mineraria si ebbe ad Alaverdi (provincia di Lori) nel 1770 e a Kapan nel 1840. La miniera di Karajan venne aperta nella metà del 20mo secolo. Durante il periodo sovietico queste miniere erano i giganti del settore estrattivo armeno e consentivano al paese di giocare un ruolo importante in Unione Sovietica, essendo la terza repubblica per minerali estratti dopo Russia e Kazakhistan.

Dopo il crollo dell’Unione sovietica le miniere, che erano aziende pubbliche, vennero progressivamente privatizzate. A metà degli anni 2000 lo stato non manteneva più alcuna partecipazione in questo settore.

Nella storia delle privatizzazioni del paese, quella della miniera di Zangezur (rame-molibdeno) è stata la più rilevante. Di quest’azienda ottenne il 60% la tedesca Chronimed, il 15% l’armena Makur Yerkat, e un 12,5% rispettivamente per la Armenian Molybdenum Production e la Zangezur Mining. Il valore nominale del totale delle quote era di 132 milioni di dollari.

Società civile

In ogni paese l’espansione dell’industria mineraria è spesso osteggiata da una fetta rilevante della società. Si sottolinea in particolare che si tratta di uno sviluppo non sostenibile, che causa danni ambientali rilevanti.

Per questo spesso gruppi che si battono per la difesa dell’ambiente protestano contro l’uso insostenibile delle risorse naturali e a volte chiedono si fermi l’attività mineraria. A partire dalla metà degli anni 2000 in Armenia si sono sviluppati movimenti ambientalisti, che hanno assunto ancor più rilevanza a seguito dell’apertura di nuove attività d’estrazione nel paese.

‘Salviamo Teghut’ è stata una delle campagne civiche più partecipate in Armenia. Il suo obiettivo era di fermare le estrazioni da parte della Vallex a Teghut. La Vallex aveva ottenuto la licenza ad estrarre nel 2007 ma è riuscita ad essere operativa solo nel 2014. Il ritardo è stato in parte causato da queste iniziative civiche.

Conseguenza di questo risveglio civico è che le aziende minerarie ora sentono su di loro la pressione di questi movimenti. E non è una coincidenza che la partecipazione all’EITI preveda un ruolo della società civile nel monitorare l’industria mineraria.

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