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Armenia-Azerbaijan, tensioni in aumento lungo il corridoio di Lachin

Lo scorso 23 aprile l’Azerbaijan ha annunciato la creazione di un posto di blocco sul corridoio di Lachin, una mossa immediatamente criticata dalle autorità de facto del Nagorno Karabakh e da quelle dell’Armenia. Anche Stati Uniti e Francia hanno espresso preoccupazioni

26/04/2023, Onnik James Krikorian -

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L’Azerbaijan ha annunciato la creazione di un posto di blocco sul corridoio di Lachin, uno sviluppo significativo all’indomani della guerra del Karabakh del 2020. La mossa del 23 aprile rappresenta un’altra affermazione di sovranità da parte dell’Azerbaijan: non solo sulla rotta terrestre strategica proveniente dall’Armenia, ma anche sulla regione separatista assediata del Nagorno Karabakh a cui si collega.

Il gesto pone inoltre ulteriori sfide e implicazioni per la popolazione etnica armena del Karabakh, poiché gli sforzi di mediazione sembrano vacillare dopo oltre 133 giorni di limitazione del transito da parte di una sedicente protesta ambientalista. Solo il contingente russo di mantenimento della pace e il Comitato internazionale della Croce Rossa (ICRC) hanno utilizzato la rotta.

Secondo Baku la strada, insieme ad un percorso alternativo solo recentemente confermato, era utilizzata per “la rotazione del personale delle forze armate armene che continuano a stazionare illegalmente nel territorio dell’Azerbaijan, il trasferimento di armi e munizioni, l’ingresso di terroristi e il traffico illecito di risorse naturali”.

Yerevan nega e respinge le accuse.

La mossa di Baku, tuttavia, era stata a lungo anticipata e può anche essere collegata alla mancanza di progressi nello sblocco delle vie di trasporto e di comunicazione regionali nella regione, come da dichiarazione di cessate il fuoco trilaterale del novembre 2020. Sono stati inclusi sia il Corridoio Lachin che un collegamento terrestre tra l’Azerbaijan e il Nakhichevan attraverso l’Armenia, ma il disaccordo sui controlli di frontiera e doganali ha frustrato i progressi sul secondo.

Critiche sono arrivate immediatamente dalle autorità de facto dell’ex regione autonoma del Nagorno Karabakh (NKAO) di epoca sovietica. "Facciamo appello alle parti della Dichiarazione trilaterale e in particolare alla Federazione Russa affinché avviino immediatamente le discussioni per […] impedire l’istituzione di un checkpoint azerbaijano […]", hanno scritto in un post su Facebook.

Tuttavia, notano molti commentatori, la posizione del posto di blocco sul ponte Hakari era già nelle immediate vicinanze delle forze di pace russe, quindi difficilmente la mossa era passata inosservata prima dell’annuncio ufficiale. Infatti, in un podcast di Armenian News Network – Groong il 7 aprile, gli attivisti armeni avevano affermato che i lavori erano già in corso.

Non ci sono però conferme da altre fonti, e se alcuni attivisti dell’opposizione affermano che i funzionari armeni, russi e del Karabakh fossero già a conoscenza del posto di blocco, un comunicato ufficiale di Yerevan non ne ha fatto cenno.

"Chiediamo alla Federazione Russa di adempiere finalmente all’obbligo previsto dalla disposizione 6 della dichiarazione trilaterale, eliminando il blocco illegale del corridoio Lachin e garantendo il ritiro delle forze azerbaijane dall’intera zona di sicurezza del corridoio", ha affermato il ministero degli Esteri armeno in una nota, facendo anche riferimento ad una sentenza di febbraio della Corte internazionale di giustizia (ICJ) secondo cui l’Azerbaijan dovrebbe "prendere tutte le misure a sua disposizione per garantire il movimento senza ostacoli di persone, veicoli e merci lungo il corridoio Lachin in entrambe le direzioni".

Baku ribatte che, poiché l’Armenia afferma di riconoscere l’integrità territoriale dell’Azerbaijan nelle dichiarazioni firmate l’anno scorso, la questione è interna, portando l’opposizione in Armenia a parlare di errore del governo, che si è espresso l’ultima volta la settimana scorsa in un discorso del primo ministro Nikol Pashinyan. Tuttavia, anche Stati Uniti e Francia hanno espresso preoccupazioni.

"Gli Stati Uniti sono profondamente preoccupati che l’istituzione di un posto di blocco sul corridoio di Lachin da parte dell’Azerbaijan mini la fiducia nel processo di pace", ha osservato il Dipartimento di Stato americano. "Ribadiamo che ci dovrebbe essere libera e aperta circolazione di persone e merci lungo il corridoio Lachin e chiediamo alle parti di riprendere i colloqui di pace […]".

In un comunicato altrettanto breve, la Francia ha assunto la stessa posizione. Il ministero degli Esteri russo è rimasto in silenzio fino al giorno successivo.

“Rileviamo in particolare l’inaccettabilità di qualsiasi misura unilaterale in violazione delle disposizioni di base della dichiarazione tripartita dei leader di Russia, Azerbaijan e Armenia del 9 novembre 2020, sia che si tratti di un cambiamento non coordinato nella modalità di funzionamento del Corridoio di Lachin o del tentativo di usarlo per scopi non in linea con l’agenda di pace", si legge in un comunicato.

Inoltre si aggiunge che "la popolazione locale non dovrebbe soffrire e non dovrebbero essere creati ostacoli al suo sostentamento", criticando anche l’Unione Europea e gli Stati Uniti e mettendo in guardia sulla presenza di “attori occidentali esterni ed elementi russofobi locali che lavorano alla loro agenda opportunistica […]”.

Alcuni, tuttavia, ritengono che il posto di blocco evidenzi la necessità di una risoluzione del conflitto. "Gli eventi […] sul corridoio di Lachin indicano che ora stiamo superando l’accordo di cessate il fuoco", ha twittato Tim Potier, professore di diritto internazionale della Tufts University. "È troppo presto per esserne sicuri, ma credo che questi eventi significhino che Armenia e Azerbaijan sono più vicini alla firma di un trattato di pace, non più lontani".

Pochi altri condividono però questo ottimismo, e molti avvertono che il Karabakh rischia di subire un ulteriore spopolamento in un futuro sempre più incerto e imprevedibile. Nondimeno, c’è almeno consenso tra gli attori internazionali sul fatto che il conflitto debba essere risolto, anche se non è chiaro come.

"Non c’è alternativa all’attuazione degli accordi trilaterali tra Russia, Azerbaijan e Armenia", ha dichiarato il 24 aprile l’addetto stampa presidenziale russo Dmitry Peskov in quello che sembrava essere un altro attacco a Bruxelles e Washington. “Stiamo lavorando con le capitali, intendo sia con Yerevan che con Baku. E continueremo questo lavoro", ha aggiunto.

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