Tipologia: Intervista

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Area: Serbia

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Archivi della memoria

Intervista a Sasa Rakezic "Zograf": la memoria della Jugoslavia socialista attraverso le diverse generazioni nel lavoro del celebre disegnatore serbo

18/10/2007, Andrea Oskari Rossini -

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Qual è stato il rapporto della tua generazione, cresciuta nella Jugoslavia degli anni ’70 e ’80, con la storia della resistenza e della Seconda Guerra Mondiale?

La nostra visione di quel periodo era mediata soprattutto dalla cinematografia. Molti dei film che circolavano negli anni Settanta, quando io ero bambino, e che parlavano della guerra, erano una sorta di spaghetti western trasportati al tempo della guerra che si combatteva negli anni Quaranta in Jugoslavia. In quei film, i partigiani erano i cowboy, cioè i buoni, e dall’altra parte c’erano i cattivi. Questo in un certo senso era un bene, ma in un certo senso anche un male. Il lato positivo era che la generazione successiva ha potuto conoscere la storia, e accettare l’ideologia antifascista come un qualcosa con cui potersi identificare, e in questo io non ero diverso dagli altri. C’erano anche dei fumetti che avevano una grande diffusione, come "Mirko e Slavko", che avevano per protagonisti dei bambini partigiani, e che contribuivano a diffondere il messaggio antifascista e a farlo accettare da un’ampia massa di persone.

D’altro canto, dopo gli anni Settanta quella produzione acquisì un certo sapore hollywoodiano, e col tempo si trasformò in qualcosa di lontano da noi, nel senso che faceva apparire quelle vicende come parte di un mondo irreale, quello delle star del cinema. La storia non assomigliava più alla realtà, ma ad una specie di universo a parte, cinematografico o fumettistico. Così alla fine diventava difficile credere a tutto quello che veniva presentato in quei film.

E se da un lato era positivo il fatto di guardare questi film con spirito critico, il lato negativo era che ci si spingeva fino ad arrivare a non vedere gli aspetti positivi di quel sistema e di quella storia.

Qual è invece secondo te il significato che hanno avuto i monumenti e i Memoriali eretti dalla Jugoslavia socialista?

Io penso che sia molto importante che si raccolga il maggior numero di informazioni possibile su conflitti o situazioni storiche complesse come la Seconda Guerra Mondiale. E credo che i monumenti debbano essere una sorta di contenitori di informazioni che ci aiutino a ricostruire un periodo e il dramma che si è sviluppato attorno ad esso.

Penso che questo sia altrettanto importante che costruire ospedali, perché l’oblio storico è qualcosa che avviene naturalmente, e porta via con sé tutte quelle informazioni che non si riescono a conservare, perciò è necessario che esista un qualche posto dove queste informazioni siano raccolte perché si possa riflettere su quello che è successo nel corso di una crisi. Credo sia estremamente importante raccogliere e conservare le informazioni relative ad un grande terremoto sociale, a un grande conflitto che ha portato grandi sofferenze alle persone, in modo da non permettere che questo si ripeta.

La domanda è: "Come devono essere i monumenti?". A mio avviso devono contenere la maggior quantità di informazioni immaginabile. Le testimonianze innanzitutto, che consentano la formazione di una coscienza critica, grazie alla quale si possa distinguere chi sono state le vittime e chi sono stati i carnefici, senza cadere nella confusione in cui tutto si mescola e le vittime diventano carnefici e i carnefici vittime.
Cosa è rimasto oggi di quella memoria storica?
Se prendiamo in considerazione ad esempio gli effetti avuti dai monumenti e dalle grandi Aree Memoriali, penso che il loro limite, e il limite delle politiche della memoria di quegli anni, sia stato il fatto di non aver raccolto e presentato una sufficiente quantità di informazioni, e questa è una cosa a cui va posto rimedio, e che deve essere applicata anche ai conflitti degli anni Novanta.

Noi non avevamo un buon quadro di quello che è successo in Jugoslavia nel corso della Seconda Guerra Mondiale, e quando ora guardiamo tutto questo, vediamo che non è rimasta una chiara memoria storica. Io, ad esempio, vivo in una città dove era situato uno dei lager che i nazisti usavano come luogo di tortura per comunisti e antifascisti. Si trova molto vicino al centro della città di Pančevo, nell’edificio dove oggi c’è solo una lapide su cui è scritto che una volta lì c’era una sala delle torture. Quello spazio è diventato per qualche anno una rivendita all’ingrosso, e oggi in quello spazio si trova una scuola guida. E così c’è una grande insegna a forma di L, ma questa L non sta per lager, per indicare ciò che era una volta, ma è l’insegna della scuola guida. Io credo sia assurdo che tragedie così grandi non vengano ricordate adeguatamente. Anche se non credo esista una risposta facile sul come raccogliere informazioni e presentarle, bisogna trovarla, bisogna insistere perché esistano archivi e luoghi accessibili, come spazi museali, dove poter facilmente reperire tutte queste informazioni.
Nei tuoi lavori si trova una lettura molto personale del presente, spesso intessuto di riferimenti al passato e alle vicende che hanno portato allo stato attuale delle cose. Che rapporto c’è fra arte e memoria storica?
Per me personalmente è molto importante occuparsi del passato, imparare qualcosa da chi è vissuto prima, attingere nel proprio lavoro dal materiale umano che attraversa le generazioni, fare ricerca attraverso l’arte. Mi è successo recentemente di imbattermi nella storia di un uomo che è sopravvissuto al bombardamento di Belgrado del 1944, e che un momento dopo il bombardamento ha deciso di scrivere la storia della propria vita, dal momento della nascita al momento in cui la città fu bombardata. Io ho trovato questo suo racconto sulle bancarelle del mercato e, sulla base di quelle pagine, ho creato una striscia di una decina di pagine. Non so che fine abbia fatto quell’uomo, non è un’importante personalità storica, era una persona comune che viveva a Belgrado. Penso di essere riuscito a trarre dalla sua storia, che è la storia profondamente personale di un momento drammatico, qualcosa di importante in relazione alla tragedia umana, in relazione all’essenza della vita umana. Se qualcosa mi colpisce molto come artista cerco di trasformarlo in una sorta di dramma, carico di sufficente intensità da far sì che la mente del lettore si ponga alcune domande importanti.

Credo che dobbiamo saper conoscere il nostro passato, in modo da non vivere come entità isolate, ma in correlazione non solo con i nostri contemporanei, ma anche con chi è vissuto prima di noi e chi vivrà dopo di noi. Trovare alla nostra esistenza un senso più alto e contemporaneamente mantenere una visione individuale della vita, una cosa in cui io ho una profondissima fede, non ho mai creduto nella possibilità di abbracciare un’ideologia.

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