Antimilitarismo turco
Fare l’obiettore di coscienza in Turchia non è un’impresa facile, anche se qualcosa sta cambiando. In una società dal militarismo radicato, con un esercito di un milione di soldati, i pochissimi obiettori si battono per i propri diritti. Ce lo raccontano in prima persona Oğuz ed Erkan
Lo scorso 5 giugno il Consiglio d’Europa ha deciso di concedere alla Turchia una proroga fino al prossimo ottobre per adeguare la propria legislazione in tema di diritto all’obiezione di coscienza a quella dei membri del Consiglio d’Europa.
Come ci spiega Oğuz Sönmez, animatore del sito antimilitarista www.savaskarsitlari.org, "La Turchia insieme all’Azerbaijan è l’unico dei 47 paesi del Consiglio d’Europa a non riconoscere il diritto all’obiezione di coscienza". La decisione del 5 giugno rappresenta l’ultima tappa di una vicenda cominciata nel gennaio 2006 quando la Corte Europea per i Diritti Umani aveva condannato la Turchia al pagamento di 11.000 euro a titolo di risarcimento ad Osman Murat Ülke e ad adeguare la propria legislazione a quella degli altri paesi del Consiglio.
Ülke aveva fatto la sua dichiarazione di obiezione di coscienza nel 1995 e da allora era stato ripetutamente arrestato, arrivando a scontare 701 giorni di carcere, ed era stato di fatto condannato alla "morte civile".
Abbiamo parlato di antimilitarismo ed obiezione di coscienza con Oğuz ed Erkan, un obiettore totale, mentre l’attualità turca è assediata dalle immagini delle operazioni militari e dalle notizie di guerra nell’Est del paese.
Oğuz come hai deciso di creare un sito internet dedicato all’antimilitarismo e contro la guerra?
OĞUZ: Io ho 53 anni e vengo da una tradizione di militante della sinistra, credevo nella lotta di classe e nella rivoluzione, ero molto lontano dalle posizioni pacifiste ed antimilitariste, la violenza è un elemento molto radicato nella tradizione della sinistra del paese. Ed ho anche fatto il militare. Negli anni ’90 le mie posizioni hanno cominciato a cambiare, era una fase in cui tutta la sinistra si rimetteva in discussione. Anche attraverso nuove conoscenze mi sono avvicinato al pensiero antimilitarista. Ora sostengo gli obiettori di coscienza e coloro che si oppongono alla guerra. Il nostro sito pubblica documenti, articoli, inchieste e traduzioni che riguardano l’antimilitarismo ma più in genere i diritti umani e la democratizzazione. Nel nostro archivio ci sono ormai più di 40.000 documenti.
A tuo parere dove sono le radici del militarismo in Turchia?
OĞUZ: Le radici del militarismo risalgono alla tradizione ottomana. Con il colpo di stato del 1908 poi si sono create le condizioni sulle quali è nata anche la repubblica. Non dimentichiamo che le tre figure chiave della prima fase della repubblica erano militari, Atatürk, Inönü e Çakmak.
Negli anni ’50 durante il periodo del partito democratico vi è stata un’attenuazione del ruolo dei militari, lo Stato Maggiore è stato posto sotto il controllo del ministero della Difesa. Con il colpo di stato del 1960 i militari però sono tornati in sella e soprattutto dopo il golpe del 1980 si è realizzata una sorta di fusione tra stato e forze armate. Con le recenti riforme alcune cose sono cambiate ma prendiamo l’esempio del Consiglio per la Sicurezza dello Stato (MGK). Le riforme hanno attenuato il ruolo dei militari ma adesso i militari sono attivi a livello della società civile. Le mobilitazioni dei mesi scorsi in difesa della laicità hanno visto protagoniste delle associazioni i cui dirigenti sono ad esempio dei militari in pensione.
La violenza è un elemento molto visibile nella società turca…
ERKAN: Sì, la violenza è un elemento importante nella società turca, non solamente a livello per così dire politico ma anche nella vita quotidiana, la violenza sulle donne ad esempio, vi è una sorta di legittimazione della violenza. La presa di coscienza di questo problema nella società è un fenomeno molto recente. Personalmente non credo sarà facile che in questo paese le persone arrivino ad avere un atteggiamento simile a quello degli altri paesi europei in tema di violenza, spero almeno che questa tendenza a risolvere con la violenza ogni problema si possa attenuare. Guardiamo alla questione curda ed al Nord Iraq ad esempio. C’è un problema e subito la soluzione proposta è " Entriamo in Iraq e facciamo pulizia"
OĞUZ: Io credo che non si debba parlare di una società violenta ma delle forme violente del potere. Il militarismo è sempre stato una forma di gestione della società. I nostri padri sono stati militari e felici di indossare la divisa e così siamo cresciuti anche noi. Il militarismo produce la retorica del popolo turco come popolo di soldati, insiste soprattutto sul nostro passato militare, e questa genera pressione sulle persone. Questa prospettiva ci permette di capire anche le dichiarazioni dei genitori dei militari di leva che muoiono nell’Est: "Sono pronto a sacrificare anche gli altri figli per la patria".
Le immagini e le dichiarazioni ai funerali dei giovani soldati di leva sono una delle cose più difficili da capire per un osservatore esterno…
OĞUZ: Io credo che queste dichiarazioni siano il frutto della pressione sociale. Qualche tempo fa una madre si era ribellata ed al funerale aveva dichiarato di non accettare il sacrificio del figlio.
Una parte della stampa ha montato una grande campagna contro di lei finendo per accusarla di essere una traditrice della patria.
ERKAN: Io voglio aggiungere una cosa. Alcuni anni fa le persone non dicevano cose simili, non si dicevano pronte a sacrificare i propri figli. Negli ultimi tempi si è tornati a questo genere di dichiarazioni, io credo che siano manipolate.
OĞUZ: E’ interessante poi notare come la madre che si era ribellata al destino del figlio apparteneva alla classe media, questo ci dice del rapporto tra l’atteggiamento verso la violenza e l’origine sociale.
Come si diventa obiettore di coscienza in Turchia?
ERKAN: Nel 2003 ho deciso di rendere pubblica la mia decisione di non fare il servizio militare, di essere obiettore. Mi è sembrata la scelta migliore in ragione delle mie convinzioni antimilitariste e della mia opposizione a qualsiasi tipo di esercito. In Turchia molti si sottraggono al sevizio militare con le scappatoie più diverse, sono circa 400.000 le persone che lo hanno fatto. Gli obiettori di coscienza invece sono 60, forse 80, tenendo conto di quelli che sono all’estero.
Quali sono state le conseguenze di questa tua scelta?
ERKAN: La cosa interessante è che non mi è successo niente, nessuna conseguenza. Il distretto militare mi ha chiamato, io non ho risposto alla chiamata, hanno telefonato alla mia famiglia, anche la polizia ma poi non è successo niente. Dal canto mio ho cercato di prendere alcune precauzioni, non dormire in albergo, non avere problemi con la polizia.
Anche quando sono stato a Sivas insieme ad altri obiettori per sostenere Mehmet Tahran, un obiettore finito davanti al tribunale militare, siamo stati fermati dalla polizia, ci hanno preso i documenti ma il giorno dopo ce li hanno restituiti e ce ne siamo potuti andare.
Come spieghi questo atteggiamento?
ERKAN: Ovviamente lo stato e le forze armate sanno di me ma evitano appositamente di venirmi a cercare e lo stesso vale per molti miei amici.
Io credo dipenda dalla particolare congiuntura politica che vive il paese.
Credo che la fase attuale sia la più delicata e densa di trasformazioni che il paese vive dal 1980. Quindi se noi non ci facciamo vedere, se non facciamo troppo rumore, è meglio per tutti e ci lasciano in pace. Del resto attualmente l’esercito si sta comportando come un vero attore politico, e a loro va meglio se non si fa troppo rumore intorno alla questione degli obiettori.
Sembra paradossale che in un paese che attribuisce così importanza all’esercito ci siano 400.000 persone che hanno evitato il servizio militare…
ERKAN: Penso che la ragione stia nel fatto che l’esercito non ha bisogno di loro.
Si parla di circa un milione di persone sotto le armi, compresi gli ufficiali di carriera, hanno abbastanza forza lavoro, e in qualche modo i renitenti alla leva rappresentano l’esercito dei disoccupati di riserva.
Quali sono le reazioni alla tua decisione, in famiglia, nella società?
ERKAN: La mia famiglia mi ha sempre sostenuto anche se ha paura per me sul piano delle conseguenze legali. I miei amici del resto condividono tutti la mia scelta. Per quanto riguarda il lavoro, in quanto obiettore non ho nessuna possibilità di lavorare nel settore pubblico. Nel settore privato quando vado ad un colloquio di lavoro e dico che sono obiettore spesso si rifiutano di assumermi. Io però adesso fortunatamente ho un lavoro. Per l’identità maschile turca il servizio militare è un momento importante, siamo un popolo di militari, abbiamo sempre combattuto o almeno così dice la retorica nazionalista, quella per cui "Ogni turco nasce soldato". La società però sta cambiando.
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