Anna Politkovskaja, un triste anniversario
A quattro anni dall’assassinio di Anna Politkovskaja, esecutori e mandanti rimangono impuniti. Majnat Kurbanova, collega di Anna alla Novaja Gazeta, la ricorda nel giorno di questo triste anniversario
Nella redazione di Novaja Gazeta, sulla scrivania di Anna si accumulavano pile di fogli scritti a mano, bloc-notes e fotografie. Su quelle carte ingiallite, risalenti ancora a prima della guerra, si vedevano i volti di persone scomparse, torturate nei campi di prigionia e giustiziate senza processo durante azioni di pulizia etnica.
Il fatto che i familiari di queste persone portassero queste fotografie proprio ad Anna costituiva un onore speciale, amaro e simbolico. Non credevano alle autorità russe, che assicuravano cinicamente che la guerra in Cecenia era finita da tempo e le truppe russe erano impegnate a costruire la pace. Non credevano alle forze di polizia russe, che definivano “persone non identificate” quegli individui in divisa militare che commettevano omicidi e sequestri di civili ceceni, permettendo così a questi criminali di sfuggire alle proprie responsabilità. E non credevano alla giustizia russa, che assolveva gli assassini fra i soldati russi dando così, volontariamente o involontariamente, un segnale di impunità a tutti gli altri.
Invece, queste persone vittime di soprusi credevano in Anna. Credevano che se proprio lei avesse raccontato le loro tragedie, se proprio lei avesse scritto sul giornale dell’assassino o del rapimento dei loro figli, questo avrebbe contribuito a ristabilire la giustizia. Quando non c’è più fiducia nell’efficacia e nella giustizia dello stato e dei suoi organi di legge, le persone cominciano a credere nella parola, nella forza e nel potere della parola stampata.
La vergogna della guerra, la corruzione dei militari, il completo disprezzo della vita dei civili da parte di chi avrebbe l’incarico di proteggerla – ovvero tutti i temi che la stampa russa è solita ignorare – erano il filo conduttore del giornalismo di Anna Politkovskaja. In seguito alle sue inchieste, sono stati istituiti più di trenta processi.
La sua fotografia, con la scritta “nemica del popolo”, è rimasta esposta per mesi in Internet, su uno dei siti nazionalisti russi. Il testo che accompagnava la fotografia annunciava che Anna, come altri noti giornalisti e difensori dei diritti umani, doveva essere eliminata. La stessa Politkovskaja conosceva bene quel sito. “Mi stupisco io stessa che non mi abbiano ancora uccisa”, ammise in un’intervista non molto prima della tragedia. E una volta, durante una conversazione privata, quando la sottoscritta chiese ad Anna se davvero non avesse paura, lei rispose, sorridendo, “non puoi nemmeno immaginare quanta paura ho”.
La forza e il coraggio di questa donna sorprendente stavano proprio in come, superando quella naturale paura così umana, comprensibile e familiare a chiunque si sia mai trovato, anche solo una volta, nella guerra in Cecenia, si ributtava ancora e ancora in questo pantano di tragedie umane e destini spezzati.
“L’uccisione di questa giornalista ha danneggiato la Russia più dei suoi articoli” disse l’ancora presidente Vladimir Putin il giorno dei funerali di Anna Politkovskaja, senza mai chiamarla per nome. Per questo non vale la pena di stupirsi del fatto che ancora oggi non sia stato assicurato alla giustizia chi ha ucciso Anna Politkovskaja il 7 ottobre di quattro anni fa, il giorno del compleanno di una persona che nemmeno dopo che Anna era stata uccisa riusciva a pronunciarne il nome.
Documentari su Anna Politkovskaja
"Letter to Anna ", documentario girato da Eric Bergkraut, vincitore del Vaclav Havel Award 2008. Mandato in onda dalle principali televisioni europee (BBC, ZDF, ARD, SF), in Italia non è mai stato trasmesso e non ha avuto distribuzione nelle sale cinematografiche. Il dvd sottotitolato in italiano è acquistabile dal sito del settimanale ‘Internazionale‘’ .
Anna, seven years on the frontline , di Masha Novakova, 2008 (vedi anche a: Anna, seven years on the frontline )
211 Anna , di Giovanni Massimetti e Paolo Serbandini, 2009. Guarda un’intervista agli autori , con un estratto del documentario.
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