Amori patriarcali
Sull’autobus Tirana-Skopje vi sono molte giovani donne con bambini. Sono appena state a trovare i parenti, nel nord dell’Abania e ora ritornano alle loro case in Macedonia. In questo reportage una storia di migrazioni e matrimoni
L’autobus parte dal centro di Tirana. E’ vecchio e malmesso, probabilmente è arrivato in Albania dopo aver già percorso migliaia di chilometri altrove. La direzione è Skopje, capitale della Macedonia, da raggiungere attraversando l’Albania centrale, costeggiando il lago di Ohrid e serpeggiando per strade di montagna. Si parte la sera e si viaggia per tutta la notte. Entrano coppie di anziani diretti a Struga, per una modesta vacanza sulla sponda macedone del lago di Ohrid, famiglie che hanno trascorso le vacanze sulle spiagge di Durazzo, bambini assonnati con abbronzature rossicce e occhi chiari arrossati, qualche giovane macedone alternativo che ha scelto di approdare lungo l’Adriatico albanese e che ora ritorna a casa. E donne, tantissime giovani donne albanesi, con i loro bambini piccoli. L’autobus è per metà occupato da loro e hanno tutte l’accento del nord dell’Albania.
Sono centinaia infatti le giovani albanesi che sposano uomini macedoni di etnia slava. Sono tutte cattoliche e provengono dai villaggi dimenticati del nord del Paese. Si trasferiscono a vivere in Macedonia dai loro mariti e poi d’estate rientrano in Albania insieme ai figli, per visitare genitori e parenti. Il fenomeno ha accolto l’attenzione dei media albanesi e stranieri, provocando molte reazioni nella blogosfera albanofona e macedone. Titoli e commenti qualunquisti si sprecano: “I balcanici fanno pace nel nome dell’amore”, “Le albanesi si vendono agli slavi”, “L’invasione albanese della Macedonia per vie genetiche”. Molte, infine, le vere e proprie lapidazioni verbali nei confronti di queste donne, considerate in Albania come traditrici della patria o donne di facili costumi.
Nel nord dell’Albania esistono ormai delle vere e proprie agenzie matrimoniali che mettono in contatto i futuri mariti e le giovani albanesi. Ai mariti vengono presentate delle ragazze dietro pagamento e il resto procede come in una normale storia d’amore combinata. Gli affari pare vadano a gonfie vele e i matrimoni misti sono in crescita.
Elvira, 25 anni, occhi chiari che brillano e tratti germanici, cerca di socializzare con chi ha vicino. Dice che lo fa perché ha bisogno di parlare in albanese, la sua madrelingua le manca da morire. E’ di un villaggio nelle vicinanze di Lezha, Albania nord-occidentale e ha sposato un macedone di Kumanovo. Vive lì da quattro anni. Autoironica, diretta, non si fa scrupoli a raccontare la sua storia.
“Non ti sposare”, dice con il suo modo di sdrammatizzare cose pesanti. Il marito lo ha conosciuto tramite un’amica, sposata anche lei a Kumanovo. Lui ha 20 anni più di lei. Alla domanda sul perché l’abbia sposato, risponde che nel suo paesino di montagna non c’era nessun ragazzo che la potesse sposare. “Sono emigrati tutti all’estero, o in città, hanno cambiato vita e non riuscivo a trovare nessuno”. L’unica soluzione era sposarsi, come molte sue amiche, in Macedonia. La nazionalità, la lingua e la religione erano barriere che potevano essere superate sotto la spinta delle necessità materiali. Questo nonostante la cultura molto conservatrice della comunità cattolica del nord dell’Albania. “Mio padre ha acconsentito subito – spiega – non avevo altra scelta e poi comunque è vero che i macedoni sono ortodossi, ma pur sempre cristiani sono”.
Vicino a lei si siede un’altra giovane donna con due figli, un timidissimo maschietto di quattro anni e una bambina di due che non è ancora capace di scandire bene le parole. La madre si rivolge a loro in macedone. Lo parla male e senza aver perso l’accento della sua lingua madre. Elvira che coglie il mio stupore al volo commenta: “I nostri figli sono macedoni, non sono più albanesi. E’ inutile parlar loro in albanese”.
La madre dei bambini si chiama Zamira. Anche lei di un villaggio montano dei pressi di Lezha. Sposata a Kicevo/Kerçov. “Non avevo mai immaginato che un giorno sarei finita in Macedonia – confessa con l’aria di chi risponde a una domanda di routine – magari avevo immaginato di poter andare in Italia, ma in Macedonia mai. Invece poi un vicino è venuto a presentarmi il mio futuro marito”. Parla in continuazione a voce alta e la gente si gira gettandole occhiate di rimprovero. “Non mi capita spesso di parlare in albanese", si scusa guardandosi intorno e continua a parlare del più e del meno con Elvira e altre ragazze che come loro due hanno sposato macedoni.
“Torniamo solo una volta all’anno, d’estate, quasi sempre da sole”, spiega, “gli impegni e la famiglia non ci permettono di venire più spesso”. Non vogliono approfondire il perché di queste visite così rare nonostante la vicinanza geografica e i collegamenti tra l’Albania e la Macedonia siano ormai tutt’altro che un ostacolo. “Quando ti sposi non sei più libera”, interviene un’altra ragazza per spiegarmi i condizionamenti che tutte sembrano subire. E’ biondissima, ventenne e porta in braccio una bambina di pochi mesi. Si chiama Esmeralda, è di un paesino montano nell’area di Laç. Con lei viaggia anche il marito, un uomo di più di 50 anni, di bell’aspetto, ma austero e poco socievole.
“Lui, come me, non riusciva a trovare nessuno – spiega – in Macedonia stranamente emigrano le donne e gli uomini rimangono da soli. Da noi in Albania non si trovano invece più ragazzi”. Sembra soddisfatta della sua situazione. Racconta di provenire da una famiglia molto povera e di aver conosciuto suo marito tramite un amico del padre. Il padre e il marito – aggiunge – sono coetanei. Anche lei parla in macedone alla figlia. “Ormai è la mia lingua e ho intenzione di parlare in questa lingua anche agli altri miei figli – afferma convinta – perché saranno macedoni, non albanesi. Con chi dovranno parlare in albanese? Con nessuno.”
E gli albanesi di Macedonia? Nonostante la maggior parte delle coppie miste risieda in zone in cui vivono anche albanesi locali, questi ultimi e le nuove arrivate dall’Albania non socializzano. “Sono molto chiusi, difficili e poi parlano una lingua arcaica, è difficile capirsi”, racconta Esmeralda a mezza voce, sotto lo sguardo di una famiglia di albanesi della Macedonia che assiste alle conversazioni tra le giovani donne in modo attento. Nemmeno un sorriso quando i loro sguardi si incrociano, nessuna parola di convenienza. Sembrano infastiditi nel sentirle parlare in macedone, ma non reagiscono. “I musulmani sono così – spiega sempre sotto voce Zamira – sono terribilmente nazionalisti, non sono come noi”.
Nonostante tutto, la maggior parte di loro dice di trovarsi bene. “I macedoni sono come noi”, affermano tra una frase e l’altra mentre descrivono le loro giornate. “Sto con i figli, mi occupo della campagna, degli animali, cose da donne.”
La conversazione viene interrotta da una signora di mezza età dall’accento di Tirana, mèches bionde e castane e abbigliamento decisamente inappropriato al lungo viaggio in autobus. Dice alle donne di smettere di parlare e di rispettare i “cittadini” come lei. Non ha peli sulla lingua e non si fa problemi a definirle montanare. Per l’Albania che cresce, quella urbana della pianura occidentale da Tirana in giù, queste ragazze – e i loro corregionali – sono montanari arretrati, medievali, capro espiatorio di tutto ciò che non va nel paese.
Queste donne dell’autobus Tirana-Skopje provengono da famiglie estremamente tradizionaliste, rurali, dove la donna appartiene ancora al marito e non ha voce in capitolo sulla vita dei figli che dovranno perpetuare la cosiddetta linea maschile, mentre la “linea del latte” come sono soliti dire da queste parti, non conta nulla. E’ così nelle zone da cui provengono e sembra essere così nei villaggi macedoni dove si trasferiscono. E’ l’aspetto e l’atteggiamento dei mariti seduti al loro fianco a confermarlo, devoti ai loro bambini e poco attenti alle loro mogli. Queste ultime sembrano accettare con rassegnazione e quasi naturalezza “ciò che così dev’essere”. Alcune, giovanissime come Elvira, protestano con l’autoironia, ma senza dimenticare la sottomissione.
Una storia, questa, che racconta di persone costrette dall’andamento delle migrazioni interne e verso l’estero, in entrambi i Paesi, a superare barriere culturali e linguistiche. I mariti delle giovani montanare hanno l’età dei loro padri. Spesso sono fortemente segnati dagli anni e dalla dura vita di chi vive in un ambiente rurale. Se non ci fossero state queste giovani albanesi, costrette a fuggire dalla povertà e dalla marginalità dei luoghi dove sono nate, questi uomini sarebbero invecchiati probabilmente in solitudine.
L’autobus passa la frontiera. Passaporti rossi, bordeaux e blu circolano di mano in mano tra i passeggeri, nomi albanesi inspirati dalle mode particolarmente creative degli anni ’70 e ’80 vengono pronunciati al fianco di cognomi macedoni. Poi iniziano le fermate. Struga, Ohrid, Gostivar, Kumanovo e le ragazze scendono una alla volta, salutano calorosamente e si avviano per i marciapiedi delle stazioni al fianco dei loro uomini.
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