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Amministrative in Albania: ordinate, boicottate, inutili?

L’Albania ha tenuto le elezioni amministrative più contestate degli ultimi decenni. Il governo ha portato a termine il processo di voto, nonostante il boicottaggio dell’opposizione e le resistenze del presidente Meta. Alla fine tutti si sono dichiarati vincitori, tranne gli elettori

03/07/2019, Tsai Mali - Tirana

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Fino ad una settimana dalla controversa data del 30 giugno, giorno in cui il Presidente della Repubblica Ilir Meta aveva stabilito lo scorso novembre le consultazioni elettorali per la scelta dei 61 sindaci dell’Albania, erano in pochi a credere che il paese si sarebbe effettivamente recato alle urne. Da metà febbraio, l’Albania è infatti travolta da una delle peggiori crisi politiche e istituzionali degli ultimi 29 anni di democrazia, con la feroce contesa tra il leader del governo e del Partito Socialista (PS) Edi Rama e l’opposizione delle formazioni di centrodestra capitanate dal Partito Democratico (PD) di Lulzim Basha e dal Movimento Socialista per l’Integrazione (LSI) di Monika Kryemadhi.

L’opposizione ha prima avviato una serie di manifestazioni per chiedere le dimissioni del premier ed elezioni libere e democratiche, poi ha rimesso in gruppo i mandati parlamentari ed infine ha lasciato scadere i termini per la registrazione alle elezioni, lasciando il campo libero alla coalizione guidata dai socialisti in 31 comuni. Negli altri 30 invece, si sono registrati candidati di partiti minori o indipendenti, con poche probabilità di essere eletti.

Negli  ultimi mesi non c’è stato nessun segnale di apertura al dialogo tra le parti, ma solo la mediazione, tutt’altro che imparziale, del Presidente della Repubblica Ilir Meta, politico di vecchia data che negli anni ha governato sia con la destra che con la sinistra, nonché coniuge di Monika Kryemadhi, a cui ha affidato il partito il giorno in cui, proprio grazie ai voti dell’ex alleato di governo Edi Rama, ha traslocato in Presidenza. Da qui, nell’ultimo mese ha revocato il decreto di novembre e annullato la data delle elezioni, per garantire ai cittadini albanesi una scelta realmente pluralista e dissipare il presagio di elezioni con un candidato unico, ricordo ancora cocente dei tempi del regime di Enver Hoxha. Il nuovo provvedimento del presidente è stato però ignorato dalla Commissione elettorale centrale, principale organo responsabile di gestione delle elezioni, attualmente a maggioranza socialista.

Avviate le consultazioni con i partiti, alle quali il premier non ha voluto partecipare, il presidente ha annunciato una nuova data per elezioni, il 13 ottobre 2019, per dare il tempo alle parti di tornare al normale confronto politico, fuori e dentro le istituzioni del paese. Di nuovo, la data non è stata presa in considerazione dalla maggioranza.

A elezioni fatte, Meta ha infine proposto la sua soluzione alla crisi: elezioni politiche e presidenziali insieme, sempre il 13 ottobre, dando la disponibilità a candidarsi per essere rieletto, questa volta dai cittadini. È facile immaginare che anche quest’ultima proposta sarà lasciata cadere dalla maggioranza, mentre sulla regolarità dei due precedenti decreti può esprimersi solo la Corte costituzionale, da tempo non operativa a causa della riforma in corso del sistema giudiziario.

Al di là delle interpretazioni speculari dei risultati, la domanda vera è solo una, e l’ha posta la presidente della missione di osservatori dell’ODIHR, Audrey Glover. In un processo boicottato dall’opposizione ed effettuato ad ogni costo dalla maggioranza, in una situazione di stallo che ha annullato alternative e opportunità reali di scelta, per chi si tengono le elezioni: per i governanti o per gli elettori?

Il giorno delle elezioni

La tensione degli ultimi mesi, culminata nella settimana prima delle elezioni in ripetuti scontri tra cittadini e forze dell’ordine davanti ai seggi e in continui ammonimenti dei politici per una crisi che rischiava di sfociare in gravi scontri di piazza, si è dissolta come per incanto domenica 30 giugno. Fortunatamente, a parte qualche sporadico incidente, il paese ha assistito incredulo ad una giornata di assoluta calma e serenità, un’atmosfera del tutto inedita per un election-day albanese.

Senza più manifestanti nelle piazze o commissari dell’opposizione nei seggi, e con un’affluenza più che dimezzata rispetto alle precedenti consultazioni amministrative, il processo di voto è iniziato e si è concluso nella maniera più ordinata e distesa possibile.

Risultati scontati e poche certezze

L’unico aspetto su cui queste elezioni non presentavano dubbi era il risultato finale. Senza alcuna sorpresa, la coalizione guidata dal PS ha eletto a mani basse i sindaci di 60 comuni del paese, con risultati che vanno dal 90% al 100% delle preferenze. Manca all’appello solo il minuscolo comune di Finiq, che anche per i prossimi quattro anni sarà amministrato da un partito locale che rappresenta la minoranza greca.

Con questa singolare consultazione, il centrosinistra albanese espugna anche comuni considerati roccaforti del PD, prevalentemente nel nord del paese, tra cui la città di Scutari, dove nonostante la problematica amministrazione della destra, il PS non aveva mai sfiorato neppure il 40% delle preferenze.

All’indomani del processo, rimane il dubbio se le elezioni saranno riconosciute sia dall’opposizione che dagli osservatori, cosa ne sarà della seconda data del 13 ottobre promulgata dal Presidente Meta e soprattutto in che misura il voto di domenica influirà sulle dinamiche tra maggioranza e opposizione, in vista delle riforme da potare a compimento, quella giudiziaria ed elettorale in primo luogo, ma soprattutto dell’appuntamento di ottobre con il Consiglio europeo che dovrà decidere su una sempre meno probabile apertura dei negoziati di adesione con l’Albania.

Hanno vinto tutti, tranne gli elettori

Al termine delle votazioni, con il processo di scrutinio in corso ma del tutto scontato, il premier Rama ha descritto con toni trionfalistici il risultato della sua squadra, ringraziando – eccezionalmente concitato e commosso – collaboratori, familiari e tutti i cittadini che hanno preferito la maturità alla contestazione e disobbedienza civile.

Contemporaneamente, il leader dell’opposizione Basha parlava a poche centinaia di metri di distanza di un palese “No” all’attuale maggioranza, considerando a suo avviso che l’85% dei cittadini aveva scelto di boicottare il processo, mandando un segnale chiaro a chiunque fosse interessato a coglierlo.

Per un paese di emigrati che non prevede la possibilità di votare all’estero, i dati sulla partecipazione non sono mai stati di facile lettura. Con 3.5 milioni di elettori e circa 2.8 milioni di cittadini residenti, chiaramente non tutti aventi diritto, il dato reale della partecipazione alle elezioni è difficili da interpretare, ma di certo è stato registrato in calo in tutte le ultime consultazioni. Nelle amministrative del 2015, l’affluenza si era fermata al 47%. Se per quest’anno sarà confermata la cifra preliminare del 21.6%, al netto anche del calo fisiologico dovuto al boicottaggio degli elettori dell’opposizione, il dato andrebbe in ogni caso a confermare la generale disaffezione dei cittadini verso l’attuale classe politica e queste elezioni in particolare.

L’altro dato che sta facendo discutere in questi giorni riguarda le schede nulle – il sistema albanese non prevede il conteggio di quelle bianche – che secondo le cifre ancora parziali della Commissione elettorale risulta in evidente aumento. Solo a Tirana, dove è stato confermato il sindaco socialista Erion Veliaj, le schede compilate in modo non conforme, per errore o intenzionalmente, superano il 7% dei voti, cioè anche la percentuale dell’altro candidato in gara. A Permet, le schede nulle sono all’11% delle preferenze, a Valona e Argirocastro al 6% a, e in generale in aumento in tutto il paese.

E al di là delle interpretazioni speculari dei risultati, la domanda vera è solo una, e l’ha posta la presidente della missione di osservatori dell’ODIHR, Audrey Glover. In un processo boicottato dall’opposizione ed effettuato ad ogni costo dalla maggioranza, in una situazione di stallo che ha annullato alternative e opportunità reali di scelta, per chi si tengono le elezioni: per i governanti o per gli elettori?

L’ombra delle intercettazioni

Nel corso dell’ultimo mese, il quotidiano tedesco Bild ha pubblicato a più tornate registrazioni delle conversazioni di esponenti del PS con collaboratori locali e esponenti della criminalità organizzata. Centinaia di ore di telefonate, intercettate nel contesto di indagini avviate per reati legati al traffico di stupefacenti e trapelate ora alla stampa, hanno confermato la nota e trasversale collusione della politica albanese con la criminalità organizzata. Nella fattispecie, il tema ricorrente sono le elezioni politiche del 2017 a Durazzo, seconda città più grande d’Albania, e le precedenti amministrative tenute nella località di Dibër, dopo che il sindaco socialista era stato rimosso a causa di un video in cui chiedeva favori sessuali in cambio di un’assunzione.

Dalle conversazioni risultano chiare le interferenze dei gruppi criminali nella scelta dei candidati nelle liste elettorali del PS, inseriti in posizioni blindate e quindi eletti in Parlamento, le pressioni ai dipendenti pubblici per spingerli a votare per i socialisti e gli scontri con i gruppi rivali facenti capo ad altrettanto noti politici del PD. Solo per fare un esempio, nei nastri si sente il provveditore regionale intimare al direttore di una scuola della zona “se non ci voti puoi non tornare lunedì al lavoro”, l’ex ministro socialista Damian Gjiknuri che manda un gruppo di “ragazzi problematici” nella zona per ogni evenienza, e il premier Rama che si congratula entusiasta con i protagonisti della “campagna” all’indomani del voto.

Nessun reato in quelle conversazioni, sostengono tutte le persone intercettate. Quella telefonata la rifarei anche oggi, afferma anche il premier Rama, forte del risultato migliore di sempre per il suo partito a Dibër, una delle regioni più povere del paese. Quindi niente smentite o ammissione di colpa, solo l’intenzione di fare causa al giornalista tedesco Peter Tiede per aver danneggiato le indagini, in realtà ferme da anni tra gli scaffali della procura albanese.

Per il pubblico albanese quelle intercettazioni non mostrano nulla di nuovo – e probabilmente sarà difficile perseguire penalmente i protagonisti sulla base delle sole conversazioni – ma per la prima volta, è stato finalmente messo anche nero su bianco da chi e su cosa si gioca la partita elettorale nel paese.

Prime valutazioni

Oltre ai commenti delle parti, sono giunte il giorno dopo le elezioni anche le prime valutazioni internazionali. E le elezioni più ordinate della storia hanno ricevuto una dura valutazione preliminare dell’ODIHR che – oltre sulla limitata possibilità di scelta – ha posto l’accento anche sull’incertezza giuridica e le interpretazioni legali politicizzate degli organi preposti alla gestione del processo elettorale.

"Abbiamo visto le prove delle pressioni di tutti gli schieramenti politici sugli elettori, che hanno fatto sì che in alcuni casi i cittadini non abbiano avuto la possibilità di votare liberamente", ha detto la presidente Glover, riassumendo in una frase la piaga di tutte le elezioni tenutesi nel paese nel suo tormentato percorso democratico. Ancora più diretto un elettore o elettrice di Tirana, che ha sintetizzato la condizione di buona parte dell’elettorato albanese in solo tre parole, scritte in maiuscolo sotto i nomi dei due concorrenti in gara per la capitale albanese: MI HANNO COSTRETTO.

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