All’ombra del monastero
Dissidi scuotono la chiesa serba in Kosovo. Da una parte il vescovo di Raška e Prizren Artemije, dall’altra i monaci del monastero di Dečani, che rigettano il tentativo di esautorare la propria dirigenza. Il conflitto arriva di fronte al Sinodo di Belgrado
In occasione dell’importante festa cristiana dell’Ascensione, la liturgia religiosa tenuta al monastero di Visoki Dečani, tempio inserito nel 2004 nella lista del patrimonio mondiale dell’Unesco e di enorme valore per il popolo serbo, non ha lasciato trasparire quanto successo all’interno della chiesa serba in questi giorni. La grande messa è stata officiata dal priore del monastero, il vescovo vicario di Lipljan Teodosije, alla presenza di circa 400 fedeli, venuti dalle enclave serbe di tutto il Kosovo.
L’opinione pubblica serba, però, è rimasta comunque scossa dallo scontro in atto tra i leader della chiesa in Kosovo, da una parte il vescovo Artemije e dall’altra la dirigenza del monastero di Dečani, rappresentata dal vescovo e priore Teodosije Šibalić e dal suo segretario Sava Janjić.
Lo scontro è venuto alla luce dopo gli incidenti del 21 e 22 agosto a Dečani, quando Artemije ha tentato di sostituire la direzione del monastero, al quale si è contrapposta la confraternita dei monaci, supportati anche dal Sinodo della chiesa serba, che ha definito l’iniziativa di Artemije quale "irragionevole" e "inaspettata".
Nel tentativo di esautorare l’attuale direzione di Visoki Dečani, Simeon Vilovski, il più stretto collaboratore e segretario del vescovo Artemije, è stato bloccato e spinto a forza dai monaci fuori dai cancelli del monastero. Il giorno seguente è arrivato a Dečani il vescovo in persona. Artemije è stato accolto con il rispetto dovuto all’autorità ecclesiale all’interno della chiesa serba, ma i monaci hanno rifiutato di accogliere la decisione della sostituzione della direzione, mentre a Simeon Vilovski è stato impedito l’ingresso al monastero.
Dopo l’incidente, sul sito ufficiale della chiesa ortodossa serba è stato pubblicato un documento del 2006, "Decisione del Consiglio dell’Arcivescovado sul segretario vescovile Simeon Vilovski", nel quale compaiono serie accuse nei confronti dell’operato della diocesi del Kosovo, conosciuta col nome ufficiale di diocesi di Raška e Prizren. Nel documento, il vescovo Artemije viene invitato a cedere il possesso delle proprietà da questi detenute a Belgrado, non avendone diritto, a sciogliere la azienda edile "Rade Neimar" e a cedere la libreria "Atos" di Belgrado al Consiglio direttivo del Patriarcato, informandone poi il Sinodo.
Ad Artemije venne allora richiesto di procedere in tribunale ecclesiastico contro Simeon Vilovski, e di privare quest’ultimo di ogni carica amministrativa ed ecclesiale, a causa di irregolarità, dichiarazioni menzognere, e per avere causato "dissidi interni" al clero serbo. Dalla commissione del Sinodo che all’epoca aveva seguito l’operato di questa diocesi, ci si aspettava che proseguisse col suo lavoro.
In un rapporto interno sull’operato della diocesi, sono menzionati esempi di condotta irregolare, anche nella gestione delle risorse finanziarie, nei quali padre Vilovski avrebbe giocato un ruolo centrale.
Le voci si sono così infittite, che negli ultimi giorni dall’ufficio informativo della diocesi di Raška e Prizren è stato prodotto un vero bombardamento di comunicati nei quali si descrivono "irregolarità e insubordinazione" della direzione in rivolta di Visoki Dečani, comunicati scritti, secondo le pubbliche critiche di molti, in uno stile offensivo ed eccessivo:
"Con il loro stile di gestione del monastero, in quattro anni di ribellione, hanno trasformato pacifici e umili monaci in ribelli e banditi, che rifiutano arrogantemente di prestare obbedienza al proprio vescovo e pastore, e che sono pronti a commettere ciecamente atti di brutale violenza".
Si dichiara poi come il vescovo Artemije sia "l’unica persona che resiste contro la sottrazione definitiva" del territorio serbo e "la creazione di una Grande Albania mafioso-banditesca", e che quindi, "su indicazione del Pentagono deve essere rimosso".
Al priore di Dečani, il vescovo Artemije rimprovera di "aver più volte ordito macchinazioni nei monasteri della diocesi, tra il clero e anche tra la popolazione", aggiungendo che oggi "la presenza di due poteri in competizione nella diocesi deve essere fermata, e l’ordine canonico deve essere ristabilito e riaffermato".
Dalla parte opposta, i monaci di Dečani non hanno prodotto alcuna dichiarazione pubblica, a parte un comunicato nel quale l’intera confraternita di 27 monaci (esclusi il vescovo Teodosije Šibalić e padre Sava Janjić) ha sottoscritto il supporto all’attuale direzione del monastero, esprimendo la volontà di impedire che venga disgregato il più grande monastero maschile della chiese ortodossa serba:
"Rigetteremo ogni tentativo di spezzare la nostra fratellanza, e resteremo uniti fino alla fine nell’amore di Cristo e del nostro protettore, il Santo Re Stefan Dečanski, che qui ci ha riunito. Se necessario siamo pronti ad accettare atti di punizione, ma l’amore e la fiducia non si costruiscono con la forza e le minacce, ma con la forza della pace e dell’amore, così come ci è stato insegnato".
Anche in questo comunicato, come principale animatore dei dissidi nella diocesi di Raška e Prizren viene indicato Simeon Vilovski. Viene poi ribadito che i monaci accoglieranno sempre il vescovo Artemije con affetto, insieme alla speranza che possa essere ricostruito il clima di fiducia ora incrinata.
Per chi conosce le dinamiche interne della chiesa serba, quanto successo non arriva in modo inaspettato. Dopo gli incidenti del marzo 2004, in cui tra l’altro sono state gravemente danneggiate chiese e monasteri serbi in Kosovo, all’interno della chiesa ortodossa serba si sono sviluppate correnti di pensiero diverse rispetto alle modalità di ricostruzione dei luoghi di culto, ma anche sul futuro stesso di quanto resta della chiesa e del popolo serbo in Kosovo.
Le prime divergenze sono venute alla luce in seguito all’elezione del vescovo Teodosije come vicario, nel maggio 2004. Il vescovo Artemije si è espresso contro l’accettazione e la firma del "Memorandum d’intesa sulla Ricostruzione dei luoghi di culto della Chiesa Ortodossa Serba", firmato dal patriarca Pavle nel marzo 2005 con le autorità di Pristina e con l’Unmik. Nella commissione per la ricostruzione vennero inseriti sia l’"Istituto Nazionale Serbo per la difesa del patrimonio culturale" sia specialisti serbi del Kosovo, che portano avanti il lento processo di restauro.
Il gruppo raccolto intorno al vescovo Artemije si è dichiarato contrario alla collaborazione con Pristina, ed in seguito con tutti i paesi che hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, e per la sollevazione di accuse contro gli stati che hanno partecipato al bombardamento della Serbia nel 1999. Secondo questo gruppo, i monasteri e le chiese non possono essere ricostruiti e restaurati da coloro che li hanno distrutti, e che la partecipazione della parte serba nell’accordo legittima di fatto l’indipendenza kosovara.
La maggior parte delle confraternite monastiche presenti a sud del fiume Ibar, così come la leadership della chiesa a Belgrado, credono però che sia un errore imperdonabile lasciare le rovine in balia degli agenti atmosferici, col rischio di veder cancellate per sempre le tracce della presenza serba in Kosovo.
I rapporti un tempo stretti tra il gruppo di Artemije e i monaci di Dečani si sono incrinati in fretta. Al tempo stesso "nuovi" collaboratori di Artemije, guidati da segretario vescovile Simeon Vilovski hanno guadagnato influenza sempre maggiore, e il cambiamento nel comportamento e nella retorica della leadership ecclesiale in Kosovo è divenuta presto evidente.
Che qualcosa di strano stesse succedendo, è stato dimostrato dalla sconsacrazione dei monaci di Dečani nel 2005, e che dopo un intero decennio di attività, dal fatto che il sito internet del monastero, noto a livello mondiale, ha cessato di essere anche il sito informativo della diocesi. Il nuovo centro informativo è stato poi trasferito nel restaurato monastero di Banjska, nel Kosovo centrale. Proprio in questo monastero si è insediato, come nuovo priore, Simeon Vilovski, insieme ai propri collaboratori.
Da qui sono iniziate a partire infuocati comunicati in cui la direzione di Dečani veniva tacciata di tradimento degli interessi nazionali serbi, e non venivano risparmiati nemmeno il comando dell’esercito serbo, accusato di non voler difendere il popolo serbo i Kosovo, né alcuni politici e funzionari di Belgrado, innanzitutto il presidente Boris Tadić e il ministro della Difesa Dragan Šutanovac.
Allo stesso tempo, i monaci di Dečani sono rifuggiti dallo scontro mediatico, non volendo provocare ulteriori dissidi interni alla chiesa. La dirigenza ecclesiale a Belgrado ha considerato questi fatti come un problema interno, e ha cercato di tenerli lontano dagli occhi dell’opinione pubblica fino agli ultimi avvenimenti.
Lo scandalo è stato in parte attutito dopo la riunione del Sinodo avvenuta martedì 26 agosto, a cui hanno partecipato i vescovi in contrasto. Il Sinodo ha richiesto che venga messa fine ad ogni contesa, e ha comunicato che a breve verranno prese decisioni importanti dal Consiglio dell’Arcivescovado della Chiesa ortodossa serba.
Anche se sui media si scrive che in questo caso lo scandalo interno alla chiesa serba viene sottaciuto, nei circoli vicini all’ambiente ecclesiastico si interpreta la decisione del Sinodo come una bocciatura di tutte le iniziative prese dal vescovo Artemije contro i monaci di Dečani.
Una fonte dell’Osservatorio, molto vicina agli alti circoli della Chiesa serba, che ha preferito parlare sotto anonimato, ritiene che il nocciolo degli scontri risieda nella resistenza di Artemije a rispettare le decisioni del Consiglio, motivo per cui ha dato il via allo scontro con il suo vescovo vicario e la confraternita di Dečani:
"E’ chiaro che Artemije segue la via dello scisma, e che coi suoi più stretti collaboratori si è macchiato di gravi irregolarità, anche finanziarie", afferma la nostra fonte. "Il suo ultimo appello al canone, nei circoli interni del Patriarcato viene ritenuto inopportuno, visto che lo stesso Artemije ha calpestato più volte tutte le regole che lo obbligano alla collaborazione e all’unità con tutti gli altri vescovi della chiesa serba".
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