All’Europa non c’è alternativa
Slavoj Žižek, filosofo di fama internazionale, di recente ha tenuto una serie di lezioni in Montenegro. Al centro dei suoi interventi le relazioni tra l’Europa e i Balcani, la necessità dell’ingresso nella Ue e un’immancabile provocazione finale sul Kosovo. Nostra intervista
“I Balcani sono il mito dell’Europa. Sono stati lo schermo su cui gli europei hanno proiettato i loro sogni. E questa è stata una tragedia per i Balcani”. Così il filosofo sloveno Slavoj Žižek ha inquadrato il tema dei rapporti attuali tra vecchio continente e la sua costola sud-orientale, in un recente ciclo di conferenze in Montenegro.
"Gli occidentali – ha proseguito Žižek – hanno mostrato tutta la loro ignoranza quando in ex Jugoslavia all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso si consumavano guerre e uccisioni. Non avevano capito che con la caduta del regime la nomenclatura comunista voleva legittimare il proprio potere. E che, proprio per questo motivo, aveva iniziato a strizzare l’occhio al nazionalismo e ad innescare il conflitto".
Nonostante il passato però "la prospettiva europea è una buona cosa per i Balcani – è convinto Žižek – Parecchi tra i miei amici, i cosiddetti radicali di sinistra, sono contrari all’Unione europea. Vedono la Ue solo come un meccanismo del grande capitale che vuole imporre il suo standard, per poter smantellare più velocemente lo stato sociale…
Forse è anche vero. Ma purtroppo, noi siamo parte del mondo europeo, sia che vi stiamo dentro, sia che vi restiamo fuori. Al contrario, l’esperienza dimostra che, se sei fuori, la Ue ti sfrutta ancora di più. In che modo? Perché trasferisce sul tuo territorio i danni ambientali delle sue industrie, non rispetta le normative ecologiche, sfrutta al massimo la tua agricoltura. Ecco perché restare fuori non è un’alternativa. L’unica alternativa è entrare nell’Unione Europea e cercare di creare al suo interno una sorta di coalizione di sinistra".
Il filosofo si rivela a suo modo un europeista convinto: "Penso che il mondo d’oggi abbia bisogno più che mai dell’Europa -conferma- Oggi abbiamo due grandi modelli di civiltà: il modello liberale americano e il capitalismo autoritario cinese. E davvero non vorrei vivere in un mondo in cui questa sia l’unica possibilità di scelta. Ecco perché all’interno dell’Europa si deve lottare per l’Europa, e non certo rimanerne fuori”.
Secondo lei, sta cambiando la politica di Bruxelles verso i Balcani? Ci sono nuove aperture?
Certo. Ma l’esperienza, almeno quella degli ultimi dieci anni, dimostra che l’Europa, purtroppo, non riesce ad elevarsi ad un livello adeguato e diventare un progetto più serio. Ancora non sappiamo che cosa voglia. Il problema è che due Paesi, Germania e Francia, vogliono dominare, e questo non va bene. Ecco perché non sono del tutto ottimista. Tuttavia, ritengo che, per determinati motivi geopolitici, oggi per i Balcani le cose vadano molto meglio.
Come vede il futuro ruolo della Serbia ?
La Serbia deve decidere da sola. E non solo nel senso strettamente politico, come per il riconoscimento dei suoi crimini in Bosnia ad esempio, perché il problema è molto più serio. Credo che la Serbia, e non è il solo Paese, non si sia ancora decisa per un’Europa moderna. In questi luoghi ci sono divisioni e traumi, tanto che si può dire la battaglia non sia ancora finita. Questo fenomeno non riguarda solo Belgrado. Purtroppo, anche in altre parti d’Europa il populismo nazionalista si rafforza, in particolare nei partiti xenofobi, ostili all’immigrazione. Si tratta di forze politiche che saranno sempre più integrate nei sistemi di governo. E questo rappresenta il futuro più nero dell’Europa.
E secondo lei quale sarà il futuro del Kosovo?
E’ una domanda difficile. La situazione è pressoché irrazionale. Ora le dirò qualcosa di assurdo. Forse sarebbe meglio se il Kosovo, attraverso una qualche forma di coordinamento internazionale, si unisse all’Albania. Sarebbe l’unica soluzione razionale di lungo corso. Perché è del tutto folle avere due Stati con lo stesso popolo. Per questo sono sempre stato scettico sull’indipendenza di Pristina. Quest’ultima rientrava nella strategia americana per la regione, che però – ora è chiaro – non è in grado di risolvere durevolmente il problema.
Per esempio, i miei amici del Kosovo mi dicono che all’inizio, con l’indipendenza, erano molto felici, ma poi al momento di costruire l’autostrada Pristina-Tirana lo hanno dovuto fare in modo nascosto. Questo perché i funzionari internazionali sono paranoici e non desiderano che ci siano legami stretti tra l’Albania e il Kosovo. Quindi questo è il prezzo che si paga se si è troppo dipendenti dalle volontà delle grandi potenze.
Ecco perché credo che la situazione in Bosnia Erzegovina e in Kosovo non sia ancora risolta. Certo, sul breve periodo in qualche modo si è stabilizzata. È sempre meglio della guerra. Ma sia in Bosnia che in Kosovo mi sembra che ancora non ci siano formule per il lungo periodo
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