Allargamento UE, il ruolo degli stati membri
La politica europea di allargamento sta attraversando una crisi profonda, dovuta in parte al prevalere di interessi nazionali da parte degli stati membri. Il rapporto dell’European Policy Center
La politica di allargamento è stata a lungo considerata la strategia di maggior successo della politica estera dell’UE, soprattutto in considerazione dell’efficacia della condizionalità che ha promosso cambiamenti profondi nei nuovi stati membri. Ma i successi riscontrati in passato, oggi vengono messi in discussione dalle tendenze a “nazionalizzare” la questione dell’allargamento: il prevalere, da parte di alcuni stati membri dell’Unione europea, di considerazioni e timori legati alla propria politica interna rischia di minare la coerenza – e quindi anche l’efficacia – della politica europea di allargamento. Ruota intorno a questa considerazione il rapporto dello European Policy Center , che analizza in maniera approfondita l’influenza dei singoli paesi europei nella formulazione della politica di integrazione europea.
Dopo l’accesso della Croazia nel 2013 – si legge nel rapporto – la politica europea di allargamento verso i Balcani sembra procedere con il pilota automatico. L’allargamento rimane l’unica strategia praticabile per garantire stabilità e sviluppo democratico nella regione, e proprio per questo si tendono ad aprire per primi i capitoli negoziali su questioni più complesse e spinose. Una strategia che dovrebbe servire anche a placare gli animi di chi teme le conseguenze negative dell’integrazione. Benché la prospettiva europea rimanga un punto fermo, i progressi in questa direzione procedono a rilento sia per i problemi specifici che ciascun paese dei Balcani deve affrontare, sia a causa di ostacoli che hanno la propria origine all’interno dell’Unione e dei paesi membri. Il rapporto guarda alle responsabilità politiche come alla cause che impediscono il raggiungimento di risultati positivi: da entrambe le parti, i detentori del potere non hanno mostrato, finora, un impegno serio verso questo processo.
Le procedure dell’Unione per la gestione dell’allargamento hanno sempre avuto un’impostazione intergovernativa, privilegiando le posizioni dei singoli stati membri rispetto a quelle degli organi collegiali dell’Unione. Negli ultimi anni però è aumentata la frequenza con cui i paesi che fanno parte dell’UE interferiscono nel processo, e le loro posizioni sono diventate sempre più marcate e influenti. Per descrivere questo cambiamento è stata coniata l’espressione "nazionalizzazione" dell’allargamento, ad indicare alcuni fenomeni concomitanti: da una parte il peso crescente di meccanismi di salvaguardia per le posizioni dei singoli stati membri, dall’altra il carattere sempre più marcatamente intergovernativo del processo di integrazione, sintetizzato dal ruolo preponderante assunto nel processo decisionale dal Consiglio Europeo a scapito della Commissione.
Il rapporto dell’European Policy Center si articola in 17 capitoli, ciascuno dei quali prende in considerazione uno dei paesi membri – da quelli più vicini ai Balcani occidentali e quindi necessariamente interessati alla politica di allargamento come l’Italia a quelli il cui influsso rischia di sfuggire all’attenzione. L’obiettivo dell’analisi è quello di definire quanto l’allargamento sia oggi controllato dagli stati membri, mettendo in luce anche le questioni che, se così fosse, giocherebbero un ruolo cruciale nel definire l’attitudine dei singoli paesi. Per quanto riguarda il ruolo dei paesi membri, si nota nel rapporto, è innegabile il protagonismo della Germania nella definizione dell’agenda dell’allargamento, mentre desta preoccupazione l’assenza di idee da parte degli altri paesi dell’UE e il conseguente vuoto di prospettiva per i Balcani.
Fra i temi di maggior attualità che influenzano la formazione delle politiche nazionali rispetto all’allargamento ci sono: la questione dei migranti, la sostenibilità dei sistemi di welfare e le dispute bilaterali esistenti fra alcuni paesi europei e quelli dei Balcani occidentali. Oltre a questi, continuano a pesare la mancata definizione dello status del Kosovo e i timori di scarse capacità di gestione dei paesi che aspirano all’adesione e delle stesse istituzioni europee. L’opinione pubblica non sembra essere un fattore determinante nella formazione delle politiche nazionali rispetto all’allargamento. Al contrario, la scarsa informazione e la poca chiarezza nei dibattiti su questo tema hanno generato una profonda divisione fra le élite politiche – apertamente a favore dell’allargamento – e i cittadini che si limitano ad osservare senza avere una propria opinione in materia.
I segnali contrastanti inviati alla regione da parte dei vari attori coinvolti rischiano di generare confusione e di disorientare i paesi candidati e gli aspiranti candidati. Inoltre, modificare le procedure precedentemente condivise potrebbe minare la credibilità dell’UE e la sua capacità di esercitare pressione e promuovere trasformazioni. Ne è un esempio la messa in discussione del protagonismo della Commissione Europea, fino a poco fa identificabile come “timoniere unico” del processo di allargamento. Il rischio individuato dal rapporto ECP è che l’approccio pragmatico e la linea dura adottati nelle politiche di allargamento verso i Balcani possano bloccare il processo e fare in modo che a determinarne l’andamento siano più gli sviluppi interni ai paesi membri che non il raggiungimento di effettivi progressi da parte degli aspiranti membri.
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