Allargamento, emigrazione, scambi commerciali: i Balcani e la Brexit
Quali i diritti per le centinaia di migliaia di romeni che risiedono nel Regno Unito? E per quanto riguarda i pensionati inglesi in Bulgaria? E quanta è la voglia di entrare nell’Ue ora che il Regno Unito se ne va? La Brexit vista dai Balcani
(Pubblicato originariamente da Courrier des Balkans il 3 febbraio 2020)
Bosnia Erzegovina: priorità alle relazioni bilaterali
“Di più e non di meno”. Matt Field, ambasciatore britannico a Sarajevo, ha pubblicato un messaggio rassicurante sul suo blog il 30 gennaio scorso. “La Brexit è stata una decisione democratica e storica. È comprensibile che ci si chieda cosa significherà per la Bosnia Erzegovina, un paese che aspira ad aderire all’UE. In ogni caso, si avrà di più e non di meno", ha scritto.
L’ambasciatore, a Sarajevo da 18 mesi, ricorda che nel 2018 Theresa May, allora primo ministro, accolse i leader dei paesi dei Balcani occidentali a Londra come parte del processo di Berlino. Annunciò in quell’occasione che gli investimenti bilaterali nella regione sarebbero raddoppiati da 40 a 80 milioni di sterline e che personale aggiuntivo sarebbe arrivato nelle ambasciate.
"Non spetta al Regno Unito dire alla Bosnia Erzegovina se aderire o meno all’UE", ha dichiarato Matt Field, che ha aggiunto di "rispettare il sostegno schiacciante del paese" per l’adesione. "Daremo il nostro sostegno concreto per soddisfare i requisiti per l’adesione all’UE, in particolare nelle aree critiche dello stato di diritto, delle istituzioni democratiche e della creazione di opportunità economiche. Queste sono buone cose a breve termine per la Bosnia Erzegovina, indipendentemente dall’adesione europea a lungo termine”.
Bulgaria: “Business as usual”
È stato con sentimenti contrastanti che i bulgari hanno reagito al "divorzio" del Regno Unito dall’UE. "La fine di un matrimonio in bianco", ha titolato il popolare quotidiano 24 Chasa all’indomani della Brexit, affermando che "l’unione" è comunque durata 47 anni. Restano due domande, che hanno affollato i media locali. Che ne sarà dei bulgari che lavorano nel Regno Unito, da un lato, e di quei britannici, dall’altro, che hanno scelto di trascorrere giorni tranquilli in Bulgaria acquistando una casa per trascorrevi la pensione?
La prima domanda è molto concreta e riguarda il destino di centinaia di migliaia di migranti che si guadagnano di che vivere oltre Manica. Sono circa 140.000 i cittadini bulgari che hanno ottenuto lo status di residente permanente nel Regno Unito, ha ricordato l’ambasciatore britannico a Sofia, sottolineando che i due paesi rimarranno uniti "sotto gli stessi valori" e resteranno alleati all’interno dell’Alleanza atlantica (NATO). "Nulla cambierà" fino alla fine del 2020 per coloro che vivono nel Regno Unito, ha anche aggiunto. Ma questo non sembra essere stato sufficiente a rassicurare i bulgari di Londra intervistati dai media locali che hanno affermato di essere preoccupati di venir soppiantati da altri migranti, più disperati di loro. "I bulgari stanno andando via, i brasiliani stanno arrivando", ha sottolineato il quotidiano regionale Maritsa di Plovdiv. Il peggior incubo è il "ritorno dei visti", un doloroso ricordo degli anni ’90 con le umiliazioni collegate a questo sistema.
Ad altri bulgari, a Londra, sembra invece importare poco. Lavorano nella City e ricoprono posizioni di responsabilità in grandi aziende internazionali. "Business as usual", rispondono. Per loro, nulla cambierà, è sicuro, anche dopo il 2020. E se qualcosa cambierà, cambierà in meglio. Uno di questi "bulgari che hanno avuto successo", come li chiama la stampa, ha argomentato ai microfoni del canale privato bTV un discorso che è molto in voga tra i pro-Brexit britannici: "Una porta si chiude, dozzine se ne aprono", ha detto, sottolineando quanto possa essere utile questa uscita dall’UE per gli affari di Londra con i paesi del "nuovo mondo".
Anche gli inglesi che hanno scelto la Bulgaria per la pensione sono molto coinvolti dalla questione Brexit. È comprensibile: simpatici, filo-europei, sembrano apprezzare la Bulgaria più degli abitanti locali. Sono sparsi in tutto il paese, in montagna, al mare e, a volte, in villaggi remoti. Sono in molti ad aver espresso il proprio sgomento, persino – per alcuni – la loro "vergogna" per la decisione dei loro concittadini di lasciare l’UE. Dal canto loro non intendono lasciare la Bulgaria. Il Primo ministro bulgaro li ha rassicurati fin dall’inizio del tumulto: rimangono i benvenuti e farà personalmente in modo che acquisiscano la nazionalità bulgara.
Croazia: niente panico tra croati residenti nel Regno Unito
"Poiché le relazioni economiche bilaterali tra i due paesi sono relativamente modeste, l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea non dovrebbe avere conseguenze significative o un impatto diretto sull’economia croata", stima la Camera di commercio croata , rilevando che le esportazioni e le importazioni di beni tra i due paesi rappresentano solo il 2% del totale delle esportazioni e delle importazioni croate.
I turisti britannici, d’altra parte, generano il 4,5% delle entrate totali del turismo croato, ma gli analisti sostengono che la Brexit avrà su questo poca influenza. Nel 2019, il numero di turisti dal Regno Unito è cresciuto del 30% e questa tendenza dovrebbe continuare nel 2020, riferisce il quotidiano Glas Istre.
Tuttavia, diverse migliaia di cittadini croati vivono, lavorano e studiano nel Regno Unito. Intervistata da Deutsche Welle, la giornalista Nataša Magdalenić Bantić riferisce che molti dei suoi conoscenti hanno lasciato il paese prima della Brexit. "Gli studenti europei che scelgono il Regno Unito sono sempre meno numerosi, e alcuni notano anche una diminuzione del numero di infermieri provenienti da paesi europei nel Regno Unito, mentre la richiesta di personale sanitario non è diminuita", sottolinea, aggiungendo comunque che è improbabile che i croati stabilitisi oltre Manica se ne vadano in modo massiccio. "I nostri espatriati si sentono protetti come cittadini di un paese dell’Unione, ma dovranno richiedere il nuovo status di residenza”.
"Siamo venuti in Inghilterra in un momento in cui non c’era ancora un permesso di lavoro per i croati. Pochi mesi dopo, abbiamo ricevuto visti e documenti che dimostrano che viviamo, lavoriamo e paghiamo le tasse. Ciò significa che ci siamo facilmente integrati nel sistema di residenza dei cittadini europei nel Regno Unito e abbiamo quindi acquisito il diritto di soggiornare e lavorare senza limiti di tempo, nonostante la Brexit", spiega a Deutsche Welle Joseph Habjan, un ingegnere informatico residente in Gran Bretagna da cinque anni e la cui moglie ha recentemente lanciato la start-up Tastes of the Balkans.
Grecia: permessi di soggiorno per gli studenti
Circa 61.200 greci, la maggior parte dei quali residenti da almeno cinque anni nel Regno Unito, hanno già fatto richiesta per un permesso di soggiorno che consenta loro di rimanere nel Regno Unito in seguito alla fase transitoria della Brexit, che terminerà alla fine del 2020.
All’inizio di gennaio il Parlamento greco ha votato un disegno di legge riguardante la Brexit per essere pronti a questa transizione. Tra le disposizioni previste rientrano: il permesso di soggiorno, senza procedure specifiche, per i cittadini britannici che si sono trasferiti in Grecia prima del 31 dicembre 2020; la sostituzione delle patenti di guida inglesi in Grecia con quelle greche; il normale funzionamento in Grecia delle agenzie turistiche che hanno sede in Gran Bretagna, senza bisogno di procedimenti amministrativi supplementari; il riconoscimento dei titoli di studio britannici per consentire l’integrazione sul mercato del lavoro.
Secondo i media greci, molte start-up greche nate durante la crisi avrebbero creato delle società-madri a Londra, eppure ad oggi le inquietudini si moltiplicano. La Brexit pone problemi anche agli studenti greci che desiderano studiare presso le università britanniche. Aumenteranno le tasse? Molti studenti greci rimangono in Gran Bretagna dopo gli studi e trovano direttamente un impiego. Questo non sarà più un passaggio automatico, sarà necessario ottenere un permesso di soggiorno.
Kosovo: la sicurezza prima di tutto
L’ambasciatore del Regno Unito a Pristina, Nicholas Abbott, assicura che il paese continuerà a sostenere il Kosovo anche dopo la Brexit. "Creeremo un nuovo partenariato in Europa e resteremo un amico e un partner vicino al Kosovo", promette su Facebook. "Le nostre relazioni si basano su una storia e dei valori comuni. La sicurezza dell’Europa è la sicurezza del Regno Unito. Rimarremo fortemente impegnati nella sicurezza euro-atlantica e in quella dei nostri vicini europei, tra i quali il Kosovo e gli altri paesi dei Balcani occidentali".
Romania: la terza comunità straniera nel Regno Unito
I romeni costituiscono la terza comunità straniera per numero nel Regno Unito, dopo i polacchi e gli irlandesi. Al 31 dicembre 2019, 435.700 romeni hanno depositato la richiesta per uno dei due status di residenza, Settled Status o Pre-Settled Status, stando alle cifre pubblicate dall’Home Office britannico il 16 gennaio scorso. Per poter continuare a godere dei diritti di residenza, studio, viaggio e per poter beneficiare del sistema sanitario sul suolo britannico dopo la Brexit, tutti i cittadini europei devono richiedere un nuovo status di residenza.
In Romania, la priorità è dunque quella di avere informazioni pratiche: "Per quanto riguarda il regime di libera circolazione, non cambia nulla prima del 31 dicembre 2020", ha indicato Dan Mihalache, l’ambasciatore romeno nel Regno Unito, per rispondere al "nervosismo, alle domande e alle voci sull’argomento". Ricorda che i cittadini romeni potranno continuare ad entrare in territorio britannico con la propria carta d’identità o il passaporto, senza bisogno di visti.
Tuttavia per Victor Negrescu (PSD), ministro degli Affari Esteri dal 2017 al 2018, che ha ottenuto un seggio supplementare al Parlamento Europeo spettante alla Romania dopo l’uscita degli eurodeputati britannici, è stato fatto troppo poco "per rassicurare i cittadini romeni che vivono fuori e le loro famiglie che vivono qui" e "soprattutto per le imprese romene e britanniche che lavorano insieme". In un’intervista ad Adevarul si rammarica per l’uscita del Regno Unito, "un partner strategico, sostenitore fondamentale per l’entrata della Romania nell’UE e nella Nato" e "uno dei maggiori contribuenti al budget europeo". "Questo significa che in futuro il budget sarà inferiore e che ci saranno, in pratica, meno fondi europei, compresi quelli per la Romania".
Per quanto riguarda il mondo degli affari, l’impatto della Brexit sull’economia locale romena dovrebbe essere marginale. Secondo uno studio dell’istituto KeysFin, nel 2018 il Regno Unito è stato il nono partner commerciale della Romania e il decimo investitore. "I rapporti commerciali relativamente deboli con il Regno unito collocano la Romania tra le economie europee più protette dagli effetti diretti della Brexit", stima Roxana Popescu, direttrice generale di KeysFin. "Il principale rischio che vediamo è il potenziale contagio di una crisi economica e finanziaria provocata da un’uscita incontrollata del Regno Unito dall’UE".
In un’intervista a G4media Christopher Coker, ex docente di relazioni internazionali alla London School of Economics, direttore del think tank IDEAS, stima che "è in parte a causa degli immigrati romeni che il referendum del 2016 ha visto la vittoria della Brexit". "Ho capito che avevamo perso quando Theresa May annunciò al Parlamento britannico due settimane prima del referendum che in un anno erano entrate nel paese 300.000 persone in più rispetto a quelle registrate. Da quel momento, ogni volta che i fautori della Brexit parlavano di immigrazione, parlavano delle persone provenienti all’Europa dell’est".
Serbia: una spinta verso l’euroscetticismo?
Gli opinionisti serbi si domandano se l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea avrà delle conseguenze sul dialogo Belgrado-Pristina. Per alcuni Bruxelles dovrà preoccuparsi di affrontare i propri problemi, mentre il processo di allargamento non sarà più una priorità. Il cammino della Serbia verso l’UE rischia di essere così ancora più lungo. "L’Europa deve innanzitutto ricostruirsi", ritiene Aleksandar Popov, direttore del Centro per il regionalismo. "I Balcani sono una zona problematica, e la Serbia non ha i mezzi per gestire da sola i problemi regionali. L’UE deve equilibrare queste relazioni, ma per un certo periodo di tempo occorrerà farne a meno".
Quello che serve alla Serbia è un piano di sviluppo quinquennale, stima l’analista Dušan Janjić: "Dobbiamo rafforzare la cooperazione regionale e adottare una posizione negoziale più forte con l’UE. Riguardo al Kosovo, a partire da settembre condurremo dei negoziati diretti con Pristina". Per Sonja Liht, presidente dei Fondi d’eccellenza politica, la Brexit potrebbe far aumentare l’euroscetticismo in Serbia, ma "non sconvolgerà il voto d’adesione". "Non credo che l’UE stia crollando, come alcuni auspicano. Ma è senza dubbio l’inizio di una riflessione. Non è semplice prevedere quali saranno le conseguenze per la Serbia, ma è importante sottolineare che circa i due terzi dei nostri cittadini pensano che siano necessarie delle riforme di stampo europeo".
Secondo B. N., madre di famiglia serba trasferitasi al nord di Londra da più di vent’anni, accanita remainer, la Brexit è una "catastrofe". "La porta aperta alla furia di un mercato incontrollato", dice, temendo che l’élite al potere trasformi la capitale britannica in una "Singapore sul Tamigi" a scapito del resto del paese e degli strati della popolazione più vulnerabili. Teme allo stesso modo l’aumento del razzismo contro i lavoratori immigrati e, per prudenza, ha già chiesto all’ambasciata di Serbia a Londra i passaporti serbi per i suoi figli, che possono beneficiare della doppia nazionalità.
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