Aleviti, sunniti, sciiti: analogie e differenze (II)
Cosa è ortodosso e cosa eterodosso? Uno dei temi trattati in questa doppia intervista a Aykan Erdemir, antropologo e Mustafa Şen, sociologo, entrambi della Middle East Technical University di Ankara
Quanti sono gli aleviti oggi in Turchia?
Mustafa Şen: Quello delle cifre è un argomento abbastanza complesso perchè non esistono statistiche ufficiali e se esistono non è chiaro quanto siano affidabili. A questo poi bisogna aggiungere che i gruppi minoritari della popolazione hanno spesso sofferto e per questa ragione tendono a non rivelare la loro appartenenza, sono timorosi. Esistono diverse stime che vanno dal 15% al 30% della popolazione totale (72.000.000.N.d.A) , la verità si trova probabilmente all’interno di questo spazio. Non ci sono cifre e statistiche ufficiali.
Al di là della questione statistica io credo sia importante trattare dell’importanza e dell’influenza della cultura alevi nella società turca. Da questo punto di vista, dal punto di vista culturale e religioso la cultura alevita occupa un posto importante: gli ozan, la musica, la letteratura, gli intellettuali, il mondo dell’arte e della cultura. Una rilevanza che si ritrova anche nel mondo ottomano. Del resto la cultura alevi ha poi legami diretti con la cultura turca dell’Anatolia.
Anche dal punto di vista etnico la situazione è interessante perché tra gli aleviti si riflette la composizione etnica della società turca: ci sono aleviti turchi, curdi, arabi e molti degli immigrati provenienti dai Balcani sono aleviti. Per non dimenticare la dimensione internazionale, gli aleviti in Iraq, Siria, Iran, Azerbaijan. In Turchia sono distribuiti su tutto il territorio nazionale.
Dal punto di vista storico alcune ricerche ci mostrano che fin dal 1800 quasi la metà della popolazione anatolica era composta da aleviti. Con il tempo c’è stato un progressivo processo di assimilazione soprattutto a partire dal 1950. Il ruolo più importante in questo processo lo ha giocato il Direttorato per gli Affari Religiosi – Diyanet Işleri Başkanlığı . Dal 1980 questo processo di assimilazione ha assunto un carattere più violento. Per questo è difficile fare delle proiezioni statistiche, la statistica si mescola alla politica. Io direi comunque da un minimo di 8-9 milioni a un massimo di 25. Gli aleviti mostrano da anni una forte attenzione all’associazionismo, sono circa 100.000 gli aleviti iscritti alle organizzazioni della società civile, indipendenti dallo stato dal quale non ricevono nessuna forma di aiuto. E poi non bisogna dimenticare circa un milione di aleviti emigrati in Europa.
Almeno a partire dagli anni ’80 si parla di revival alevita, della rinascita dell’identità alevita e della sua rivendicazione. Di che cosa si tratta?
MŞ: Assistiamo ad un processo di riorganizzazione e mobilitazione tra gli aleviti. Nello stesso periodo si parla più in generale di revival islamico in Turchia e non solo. Personalmente credo si tratti di un concetto problematico, si parla di revival islamico come si trattasse di un fenomeno completamente nuovo che acquista vigore e visibilità dopo un lungo periodo di stasi ma di questo non si tratta. E’ piuttosto un fenomeno che subisce trasformazioni, che esisteva da tempo, periodicamente si riattiva e si rafforza o si indebolisce influenzato da differenti condizioni sociali, storiche e culturali.
Detto questo, per tornare alla questione alevita la sua rivitalizzazione è legata a ragioni diverse:
la prima è il colpo di stato del 12 settembre 1980. E’ il più grande ed il più duro dei colpi di stato in Turchia. Su di una popolazione di 50.000.000, almeno un milione di persone è stata incarcerata. La guerra fredda, il pericolo che la Turchia passasse al fronte comunista a causa della conflittualità sociale e della nascente movimento socialista nel paese. I bersagli dei golpisti erano del resto la sinistra e le organizzazioni socialiste. Tra i gruppi sociali che hanno maggiormente pagato le conseguenze del golpe sono stati gli aleviti.
Dal 1950, e più marcatamente dal 1960 i partiti di destra hanno cominciato a sostenere i gruppi religiosi conservatori, sunniti. Per questa ragione gli aleviti hanno cominciato a spostarsi a sinistra, a sostenere i partiti di sinistra. La seconda ragione sono i concetti di uguaglianza e libertà familiari alla cultura alevita, le politiche rivolte ai lavoratori ed ai gruppi sociali più deboli, che hanno avvicinato gli aleviti alla sinistra. Queste ragioni hanno fatto degli aleviti uno dei bersagli del golpe. Del resto la giunta militare ha teso a rafforzare il Diyanet Işleri Başkanlığı, ha imposto l’obbligatorietà dei corsi di religione nella scuola elementare e media, un’obbligatorietà riconosciuta anche dalla costituzione. Anche il Diyanet è stato riconosciuto nella costituzione, cosa che non era accaduta in precedenza. Inoltre le scuole, i licei per la formazione di imam si sono moltiplicati in questo periodo. All’interno della burocrazia pubblica c’è stata poi un’epurazione degli elementi vicini alla sinistra sostituiti da persone vicine agli ambienti religiosi conservatori.
I nazionalisti e la destra religiosa hanno appoggiato il colpo di stato, anche uomini come Suleyman Demirel, e questo rapporto è continuato anche con Turgut Özal, del resto membro di una confraternita Nakşibendi. Come conseguenza ci sono state politiche di assimilazione nei confronti degli aleviti, ad esempio lo stato ha costruito moschee nei villaggi aleviti.
Gli aleviti quindi hanno subito violenze e discriminazioni per essere di sinistra e poi per non appartenere all’ortodossia sunnita.
Questo insieme di elementi ha generato negli aleviti la sensazione del pericolo dell’annientamento della propria cultura.
Un’altra causa della rinascita alevita è rappresentata dalle trasformazioni sociali subite dalla società turca, cominciate negli anni ’50 e che hanno subito un’accelerazione negli anni ’70, in particolare i flussi migratori dalle regioni rurali ai centri urbani.
L’urbanizzazione ha avuto importanti conseguenze sulla società alevita. La cosmologia e la teologia alevita hanno un origine e un carattere rurale, fondate sulle strette relazioni con il mondo naturale, e l’arrivo in un ambiente urbano ha provocato profonde trasformazioni.
L’organizzazione sociale alevita, rurale, era caratterizzata da una forte omogeneità sociale, le relazioni personali, il controllo sociale, il ruolo del dede come autorità non solo religiosa. Elementi che vengono messi in crisi dallo stile di vita urbano. Il rifiuto poi delle nuove generazioni, cresciute in ambiente urbano e spesso vicine alla sinistra, dell’autorità tradizionale rappresentata dal dede che veniva identificato con l’arretratezza e la conservazione.
Elementi di una crisi che determinato la questione della sopravvivenza stessa della comunità e della cultura alevita. La presa di coscienza e l’esigenza di organizzazione nascono come bisogno urgente prodotto da queste condizioni.
Un pericolo di annientamento che ha assunto in momenti diversi una dimensione molto concreta, drammatica, ad esempio il massacro di Sivas o quello del quartiere Gazi ad Istanbul.
Che cosa è successo a Sivas? (nell’Anatolia Centrale, N.d.A.)
MŞ: Da anni a Sivas si organizzavano iniziative culturali per commemorare Pir Sultan Abdal, figura leggendaria simbolo della resistenza alevita di fronte all’oppressione.
Nel 1993 venne organizzata una manifestazione contro queste celebrazioni, anche con il contributo del sindaco di allora, appartenente al partito filo-islamico Refah. Il venerdì dopo la preghiera 2.000 persone hanno marciato contro l’albergo che ospitava i partecipanti alla manifestazione e lo hanno incendiato. Nell’incendio sono morte 35 persone tra le quali molti ragazzi, intellettuali ed artisti.
Gli esecutori hanno detto di essere stati provocati
Che cos’è il Direttorato per gli Affari Religiosi?
MŞ: E’ una delle istituzioni statali più interessanti. In primo luogo si tratta di una continuazione dello Şeyh ül-Islam, la massima carica religiosa in epoca ottomana. Allo stesso tempo alla fondazione della repubblica, con il Diyanet vi era l’intenzione di creare un Islam funzionale alla modernizzazione e nello stesso tempo una struttura per garantire il controllo dello stato sulla religione. Alla nascita della repubblica le organizzazioni religiose non erano così influenti quanto si pensa oggi, vi erano in totale su tutto il territorio circa 3.000 moschee per 15 milioni di abitanti, oggi sono più di 80.000 per una popolazione di 70 milioni.
Perché la repubblica ha sentito l’esigenza di creare una istituzione simile e di sostenere la corrente sunnita, questo è un problema importante perché gli alveiti hanno dato il loro sostegno ad Atatürk durante la guerra di liberazione. Atatürk si è recato alla tomba d Hacibektaş per incontrare i principali esponenti aleviti i quali hanno chiesto ad Ataturk di fondare la repubblica e gli hanno dato anche un aiuto finanziario.
Le funzioni del Diyanet, secondo quanto prescrive la costituzione, sono quelli di organizzare e gestire gli spazi della preghiera, informare sulle questioni religiose e controllare.
Fino agli ’50 il Diyanet si è limitato a svolgere queste funzioni, era un’organizzazione tutto sommato di piccole proporzioni. Poi è cresciuta progressivamente, insieme alle scuole per la formazione degli imam, imam-hatip, le facoltà di teologia e i corsi coranici organizzati sempre dal Diyanet.
Il punto di svolta è però nel 1980. Da allora i suoi effettivi aumentano progressivamente così come il numero di moschee. Attualmente conta circa 80.000 dipendenti e il suo bilancio annuale è superiore al miliardo di dollari. E durante il governo Erdoğan è l’istituzione statale che ha aumentato di più il suo bilancio.
Nella relazione tra lo stato e la religione non basta guardare solo al Diyanet. Lo stato finanzia un gran numero di realtà religiose, tutte di orientamento sunnita. Anche nelle facoltà di teologia è rappresentata solo la corrente sunnita, anche i docenti che si occupano di sciiti sono pochissimi.
Tenendo conto di tutti questi elementi vediamo come in Turchia ci sia un esteso reticolo religioso finanziato dallo stato. Da un lato la più grande democrazia laica del mondo musulmano e dall’altro la più grande organizzazione religiosa musulmana.
Il primo problema è che uno stato laico riserva importanti risorse finanziarie alla religione, il secondo è che paradossalmente l’islamismo in Turchia trova nello stato uno dei suoi pilastri portanti.
Aykan Erdemir : La rinascita del movimento alevita ha riportato al centro del dibattito la questione del Diyanet. All’interno del mondo alevita però non vi è rispetto a questa questione un’uniformità di vedute. Un primo punto di vista, quello maggioritario, chiede la totale soppressione dell’istituzione del Diyanet e chiede di lasciare le questioni religiose alle diverse comunità, che si dovrebbero auto-gestire anche dal punto di vista finanziario e organizzativo.
C’è un gruppo più piccolo poi che chiede che il Diyanet rappresenti la comunità alevita, e questo gruppo ruota intorno alla Fondazione Cem, che di fatto ha già creato un direttorato per gli affari aleviti e sperano di essere inglobati nel Diyanet che dovrebbe rappresentare proporzionalmente le comunità alevita e sunnita. Esiste poi un gruppo non trascurabile di sunniti non praticanti, che definirei sunniti culturali così come gli ebrei secolarizzati americani. Questo gruppo ritiene che il Diyanet sia un’istituzione che si finanzia con le tasse di tutti i cittadini ma che serve gli interessi solamente di una parte della società e per questo, per ragioni politiche e morali, non ha ragione di continuare ad esistere.
Il Prof. Bardakoğlu, presidente del Diyanet, mostrava tempo fa il Diyanet come un esempio per tutto il Medio Oriente…
MS: Si certamente è un’istituzione modello che però vede un missionario in ogni cristiano, che è infastidito dai pochi cristiani rimasti e dalle loro chiese.
In Siria e Libano non c’è una organizzazione centralizzata religiosa come in Turchia, esempi simili ci sono solo in Iran e Arabia Saudita . In Europa dove vorremmo entrare non c’è qualcosa di simile, in tutti i paesi stato e religione sono separati. In Germania ci sono 3000 moschee e nessuno parla di missionari, nessuno si stupisce e si fa prendere dal panico se i tedeschi si convertono all’Islam.
Qui invece il Diyanet pensa ad ogni cristiano come a un potenziale missionario. Siamo in una situazione peggiore rispetto al periodo ottomano, cristiani ed ebrei erano accettati, c’era un pluralismo e una tolleranza più reali, adesso il Diyanet non mostra lo stesso atteggiamento.
Avete parlato prima di Hacibektaş, un santo derviscio vissuto in Anatolia tra il 13° e 14° secolo. Le celebrazioni che si svolgono ogni anno in agosto nel paese dell’Anatolia Centrale dove si trova la sua tomba hanno un significato molto importante per la comunità alevita…
AE: E’ una situazione molto particolare. Una cerimonia commemorativa tradizionale ma nello stesso tempo è anche una situazione molto moderna. Intanto si tratta di una situazione paradossale perché di solito questo genere di manifestazioni commemorano la data di morte oppure il ricongiungimento con il divino di santi e figure religiose. Invece il pellegrinaggio d’agosto non celebra la morte del santo ma la data di riapertura al pubblico della tomba museo avvenuta negli anni ’60.
In questo senso Hacibektaş si distingue per la sua differente caratterizzazione. La manifestazione ha elementi caratteristici e tipici: ci sono persone di diversa estrazione geografica, etnica, con un carattere multi identitario. Vi ritroviamo poi diverse attività: musicali, politiche e artistiche. Elementi che non ritroviamo in analoghe manifestazioni di altre confraternite del modo sufi.
Un ospite straniero che è venuto con me a Hacibektaş ha detto che è tutto così strano: c’è il kemalismo, il socialismo, il movimento hippy, il festival assomiglia ad un festival rock degli anni ’70, ad un meeting politico, ad una commemorazione del laicismo kemalista e alla commemorazione di un importante figura religiosa. Contrasti che possono anche entrare in conflitto. Io credo però che si debba accettare il carattere plurale e composito della manifestazione. Gruppi aleviti diversi che si ritrovano a festeggiare in modo diverso. Questa diversità deve essere sottolineata credo, per usare proprio un’espressione di Hacibektaş " Trattare 72 popoli diversi allo stesso modo".
Qual è il futuro degli aleviti in Turchia?
MŞ: Il problema principale degli aleviti è il problema principale che si trova ad affrontare la Turchia; come gestire il pluralismo e la diversità della sua società. Attraverso una progressiva centralizzazione che metta l’accento, come nel caso dell’AKP, sul carattere sunnita della popolazione? Oppure gestire le differenze interne attraverso vie democratiche e pacifiche? Secondo me una politica pacifica nella quale ci siano critiche reciproche senza fare ricorso alla violenza è possibile. Io credo che la Turchia si trovi davanti a questo bivio. Come a Hacibektaş dove ci sono discussioni, si manifestano posizioni diverse.
AE: Il futuro degli aleviti è il futuro dei sunniti, esso è legato alla questione alevita In Turchia il sunnismo applica una discriminazione sistematica, si finanziano con le tasse pagate da tutte le comunità religiose del paese, disattenti però di fronte alle proteste e alle richieste delle altre comunità. Un sunnismo che si sposta lontano dall’idea di un paese realmente laico. Non se ne parla molto ma il Diyanet compie un furto non solo nei confronti degli aleviti ma di tutti i gruppi religiosi. Devono rifondare i danni provocati in 75 anni e questa intenzione deve venire dai sunniti. E credo che in caso non accadesse tutti i gruppi religiosi che hanno subito discriminazioni dai sunniti dovrebbero unirsi per costituire un gruppo di pressione per chiedere un regime più laico, più democratico, più rispettoso del diritto. (2 – fine)
editor's pick
latest video
news via inbox
Nulla turp dis cursus. Integer liberos euismod pretium faucibua