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Aleksej Gogua, uno scrittore a Sukhumi

Aleksej Gogua è uno tra gli scrittori in lingua abkhaza più importanti del Novecento. Negli anni dell’Unione sovietica i suoi romanzi tradotti in russo erano stampati in centinaia di migliaia di copie. La letteratura in Abkhazia oggi, il rapporto con la Russia, la situazione della lingua abkhaza. Un’intervista

17/02/2012, Giorgio Comai - Sukhumi

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Ai tempi dell’Unione sovietica, lei scriveva in abkhazo, ma molte delle sue opere sono state tradotte in russo e pubblicate a Mosca. Come è cambiata la situazione oggi?

Vi è una letteratura locale in abkhazo, vi sono scrittori, ma ormai è praticamente impossibile farsi tradurre in russo e arrivare a un pubblico più ampio. Spesso la tiratura dei libri qui è di 500 copie, mentre in Unione sovietica si arrivava anche al milione di copie… i miei libri sono stati pubblicati in russo da alcune delle principali case editrici di Mosca, in alcuni casi con una tiratura di 200-300 mila copie.

Il rapporto culturale con la Russia rimane comunque molto forte…

In tutti questi anni con la Russia e l’Unione sovietica ci siamo abituati alla lingua e alla cultura russa. Anche tutta la cultura europea è arrivata a noi tramite il russo, in traduzione. E vice versa, se la nostra letteratura usciva dall’Abkhazia, questo avveniva tramite il russo.

È evidente quindi che la cultura russa non ci è estranea e questo è particolarmente vero per la letteratura, che si è occupata molto di Caucaso anche se spesso in prospettiva imperiale. Sono particolarmente affezionato ad alcuni libri… ad esempio, credo che Hadji Murat di Tolstoj sia il miglior romanzo mai scritto sul Caucaso, e forse il libro più bello dello stesso Tolstoj.

Come è cambiata la letteratura dopo il crollo dell’Urss?

Negli anni dell’Unione sovietica si poteva raccontare solo di ciò che era buono o ottimo, di cattivo non c’era niente e lo stile dominante era quello del realismo socialista. In questo contesto, gli scrittori, inclusi quelli abkhazi, dovevano trovare altre strade per raccontare una realtà diversa e lo facevano in modo non esplicito, con un sottotesto.

Ora tutto è permesso, ma i contenuti devono trovare una propria forma e questo è un processo ancora in corso. In un certo senso, paradossalmente, forse la letteratura cresce più facilmente quando ci sono delle pressioni, delle limitazioni, perché trovare forme artistiche e creative di espressione diventa una necessità.

Secondo una legge approvata un paio di anni fa, entro il 2015 tutti i membri del parlamento e i vertici amministrativi anche a livello locale dovranno parlare abkhazo. Non vi è il rischio che questa ed altre norme volte alla promozione dell’abkhazo spaventino gli altri gruppi linguistici che vivono in Abkhazia?

Sono convinto che tante delle questioni affrontate in quella legge possano essere risolte senza creare troppi problemi. Bisogna dedicarvi attenzione e risorse. Ma ora vi sono altri problemi, in primo luogo di ordine economico.

In ogni caso, lo studio dell’abkhazo deve avvenire su base volontaria. Noi stessi abbiamo sofferto perché qualcuno voleva costringerci a studiare un’altra lingua, ci mancherebbe che ora ci mettiamo noi a costringere gli altri.

Il russo rimarrà però senza dubbio la lingua principale per l’interazione interetnica, questa è la cultura che si è stabilita.

Come reagiscono gli altri gruppi etnolinguistici presenti in Abkhazia? Armeni, georgiani e russi costituiscono una parte importante della popolazione locale…

Attualmente, le altre nazionalità presenti in Abkhazia capiscono la nostra situazione e non si oppongono a iniziative a sostegno della lingua abkhaza.

Se noi ora rinunciamo alla nostra lingua e cultura, allora perché mai avremmo combattuto quella guerra vent’anni fa?

La difesa della nostra lingua e cultura è stata fin dall’inizio alla base del nostro progetto di stato, della nostra idea nazionale.

La lingua abkhaza è una parte fondamentale dell’identità nazionale abkhaza. Ma l’Abkhazia è destinata a rimanere una regione multietnica. Come si concilia l’idea di Abkhazia come “patria degli abkhazi” e la sua intrinseca multietnicità?

Qui tutte le nazionalità hanno le loro scuole. Ad esempio, gli armeni di qui possono andare a scuole pubbliche in lingua armena, mentre questo non è possibile in Russia.

Qui si è sviluppata una cultura diversa… gli armeni che sono nati qui, i russi che sono nati qui, sono diversi. Dal punto di vista culturale, c’è stata mescolanza. Qui non ci sono tensioni interetniche.

I rapporti con i georgiani non sono però affatto semplici, in particolare per quanto riguarda gli abitanti del distretto di Gali che sono ritornati in Abkhazia dopo il conflitto di inizio anni Novanta.

Sì, questo è un problema, i georgiani lì si sentono minacciati. Da parte abkhaza ora c’è il desiderio di dedicare maggiore attenzione alla zona di Gali. Ma la stessa popolazione locale non ha deciso da che parte stare, e questo rende naturalmente le cose più complicate. Spero sinceramente che anche loro possano essere coinvolti attivamente nella comunità che si sta sviluppando in Abkhazia oggi.

Ritiene che la lingua abkhaza sia ora a rischio? 

Qualche tempo fa ho visitato l’Irlanda, e mi sembra che la situazione a sostegno delle lingue tradizionali dell’isola sia più difficile che nel nostro caso. Qui la stragrande maggioranza degli abkhazi parla abkhazo. Ma è giusto che lo stato sostenga la lingua, dobbiamo difenderla.

Questo devono tenerlo presente anche i russi… ritengo positivo e importante che ora il loro esercito sia qui e che ci aiutino a proteggere i nostri confini. Ma se si dà loro mano libera, possono andare oltre e questo non possiamo permetterlo. Se iniziano a comandare, dobbiamo far subito capire loro che questo è inaccettabile.

Ma il rischio per la lingua continua ad esistere, ed esisterà sempre per tutti i piccoli popoli. Ora c’è la globalizzazione, non ci si sfugge. Bisogna prendere ciò che di positivo c’è dalle grandi culture… Bach, Vivaldi… come si farebbe senza di loro? Ma bisogna anche difendersi, difendere tutte le culture.

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