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Albeggia: albanesi, criminalità e migrazioni

Non sono in molti ad avere avuto il coraggio di  parlare di criminalità albanese ed emigrazione senza finire nella retorica. Robert Budina invece ci riesce. Un’intervista

08/01/2013, Marjola Rukaj -

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Agon ( in albanese "albeggia" ) diretto e prodotto dal regista albanese Robert Budina, è una coproduzione greca, romena, francese e albanese. Il film racconta le drammatiche vicende di Saimir (Marvin Tafaj) e Vini (Guljem Kotori) due fratelli albanesi che emigrano a Salonicco, alle prese con le difficoltà della vita da migrante. Saimir ha scelto di integrarsi nella società greca, godendo il rispetto e la fiducia dei cittadini locali, e sta per sposare la sua fidanzata greca. Vini, il fratello più giovane entra in contatto con la malavita albanese e si innamora di una vittima della prostituzione. Questo comporta gravi problemi per entrambi i fratelli. Complesso e intenso, il film offre uno spaccato della vita degli emigrati albanesi in Grecia, Saimir l’immigrato che ce la fa, Vini che si perde nella malavita, i rapporti con i greci,  e la criminalità albanese.

Come le è nata l’idea di fare questo film?

L’idea è nata anni fa nel corso di una discussione piuttosto animata che abbiamo avuto in famiglia, su quale sia il miglior modo di sopravvivere in Albania. Se si riesce rimanendo onesti o meno. Un mio parente aveva fallito negli affari, e ci aveva rimesso la salute. Sosteneva che aveva fallito perché aveva resistito e non era diventato immorale come tanti. Io invece sostenevo che una persona onesta non deve farsi corrompere dal sistema. Considerando anche la mia esperienza da migrante, ho voluto confrontare in questo film questi due approcci: scegliere di integrarsi nel paese che ti ospita attraverso le vie oneste, o darsi alla malavita. Lo scontro tra questi due approcci rappresenta buona parte dei problemi che gli albanesi si trovano ad affrontare oggi sia in Albania che all’estero.

Come ha scelto gli attori?

Per selezionare i due fratelli abbiamo raccolto circa 5000 foto in tutta l’Albania, di cui abbiamo selezionato 300 persone, e abbiamo fatto fare il provino a 50 di loro. Abbiamo dato il ruolo del fratello maggiore a Marvin Tafaj, un attore di Durazzo che esprime bontà e altruismo nei tratti, mentre per il ruolo del fratello minore abbiamo scelto un attore non professionista, Guljem Kotori, che ha un viso interessante e analizzabile su più livelli. Questo ragazzo, è arrivato a Tirana con la famiglia da Berat, quando aveva 15 anni, e ha subito iniziato a lavorare per mantenere la famiglia. Con i due attori ci siamo trasferiti per tre mesi in Grecia, a Salonicco, per imparare il greco e per conoscere l’ambiente. E si può dire che i due ragazzi hanno proprio fatto vita da migrante, e hanno anche conosciuto la comunità albanese di Salonicco.

Com’è stato lavorare con un cast greco-albanese?

E’ stato molto difficile ma anche molto creativo. Tutti abbiamo dato il massimo mostrando comprensione e sostegno reciproco. I due attori greci hanno aiutato moltissimo gli attori albanesi sui dialoghi in greco. E’ stato molto motivante.

Cosa offre al pubblico albanese questo film?

La metafora sta nel titolo “Agon” (albeggia). Volevo dimostrare che noi siamo un popolo con enormi valori spirituali, e un forte senso della famiglia, ma ci disorientiamo davanti alle sfide estreme della vita. E’ difficile trovare nella società occidentale un ragazzo che rinuncia al suo futuro a causa di suo fratello, oppure un adolescente che rischi la vita per via dell’amore di una prostituta. Vorrei invitare gli albanesi a confrontarsi apertamente con i problemi reali della società albanese, non a fingere che non ci siano.

E al pubblico greco, cosa offrirà questo film?

I migranti in Grecia costituiscono una parte non trascurabile della società e i greci devono accettare il fatto che sono destinati a convivere con queste persone e con la loro diversità. Ma penso che la storia dei due fratelli potrebbe aver luogo ovunque. La migrazione è un fenomeno universale.

Il film verrà distribuito in Grecia?

Sì, uscirà nelle sale in tutte le città greche. In Grecia ha già suscitato molto interesse, anche perché uno dei protagonisti del film è uno dei migliori attori greci, Antonis Kafetzopulos.

Nel film appaiono dei personaggi molto complessi, come i due fratelli, le prostitute, gli albanesi della malavita. Com’è riuscito a costruirli?

Ho incontrato nella vita reale tutte queste persone. Li ho solo messi tutti insieme nella trama del film. Lo zio che si presenta per farsi ospitare da Saimir è qualcosa di molto albanese, Saimir come fratello protettivo che sacrifica la propria vita per il fratello anche. Vini, è l’adolescente contemporaneo, che vuole tutto e subito e non ha l’onestà come priorità. La malavita albanese la troviamo ovunque nella realtà albanese oggi che è molto appesantita da questo fenomeno.

Che tipo di esperienza da migrante ha avuto personalmente?

Ho vissuto per 5 anni, dal ’91 al ’95 a Bari. Ho fatto lavori di tutti i tipi, a partire dallo spazzino sino al responsabile vendite in un’azienda. Probabilmente non avrei fatto questo film se non avessi avuto quest’esperienza personale.

Nel film ci sono molte scene di violenza e una descrizione molto dettagliata del mondo della prostituzione e della criminalità albanese. Come ha fatto a raccogliere le informazioni per costruire queste scene?

Ho conosciuto personalmente gente di quegli ambienti, durante la mia esperienza da migrante e come documentarista collaborando con varie tv non albanesi. Posso dire di aver vissuto con loro e di aver assistito alla trasformazione di persone per bene in mostri, altri che ne erano rimasti vittime e vivevano per ottenere vendetta. Ho conosciuto ad esempio un protettore di prostitute che da bambino era stato abbandonato dalla madre, e aveva un odio indescrivibile verso le donne. Ho conosciuto abbastanza da vicino la complessità psicologica di queste persone, e mi ha sempre affascinato. In questi casi la realtà supera la fantasia. Prima di intraprendere il film abbiamo poi intervistato delle persone condannate per questi reati e abbiamo raccolto i loro racconti.

Il film è denso di vicende e di filoni da seguire. Perché?

E’ stata una scelta voluta. Il problema era mantenere vivi tutti i filoni per presentare al meglio la realtà. A me piace raccontare molte cose contemporaneamente. La storia del film è la storia della famiglia albanese in tutte le sue dimensioni, quella sana di Saimir, e di suo zio, e i rapporti malati e violenti del protettore delle prostitute e la vita afflitta dalla dura realtà contemporanea.

Lei ha una casa di produzione cinematografica a Tirana. Com’è fare il produttore cinematografico oggi in Albania?

E’ una grossa avventura, che comporta l’essere sempre a rischio di sopravvivenza, perché i finanziamenti sono pochi, e in Albania non c’è un vero e proprio mercato cinematografico. Questo settore è allo stadio quasi primitivo. Ma noi abbiamo investito tanto e non possiamo tornare indietro.

Come sta andando il cinema albanese negli ultimi anni?

Considerando le scarse risorse, il cinema albanese ha raggiunto dei grandi successi, ma molto minori rispetto ai paesi vicini. Ci sono molti giovani di talento che hanno studiato cinema a Tirana e che non riescono a esprimere le loro capacità perché nessuno li finanzia. Tutti i film oggi vengono co-prodotti. Nel nostro caso lo stato albanese ha investito solo 180 mila euro, mentre abbiamo ricevuto 740 mila euro da Grecia, Romania e Francia. Il cinema è un settore molto promettente per lo stato, perché questi sono investimenti esteri per un film albanese che promuove la cultura albanese nel mondo, e apre posti di lavoro che non sarebbero esistiti senza questi finanziamenti. Quindi il cinema è un settore in cui varrebbe a mio avviso la pena investire.

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