Albania: viaggio tra i rifiuti
Oggi in Albania la raccolta differenziata non è stata ancora avviata. Eppure su tutto il territorio nazionale sono sorti negli ultimi anni molti stabilimenti di smaltimento e riciclo. Per capirne di più abbiamo incontrato Blendi Kajsiu, professore presso l’Università di Tirana
"Sto cercando un punto di raccolta differenziata a Tirana ma non ne trovo, qualcuno sa dove sono?" scrivo su Facebook al mio rientro in città. I commenti degli amici vanno dal sarcastico "rici-che?!" al paternalistico "ma dove credi di essere per aspettarti cose simili?!" al rassegnato "ho cercato anch’io i bidoni della differenziata ma qui semplicemente non esistono".
In effetti è così: in Albania non ci sono contenitori per differenziare i rifiuti e in tutto il paese solo una piccola percentuale viene raccolta e portata nei diversi stabilimenti di riciclo. A occuparsene sono quasi esclusivamente donne, uomini e ragazzini rom, che ogni giorno setacciano i bidoni dell’immondizia delle città alla ricerca di bottiglie di plastica ed altro.
Nel centro di raccolta di Tirana della B Recycle, compagnia con un impianto per la plastica da 12.000 tonnellate di capacità, tutti i lavoratori che incontro sono di etnia rom. “Noi diamo loro una possibilità di sostentamento”, afferma il responsabile del centro. E questa non è certo l’unica industria del paese. "In Albania si ricicla da almeno dieci anni” mi dice Merita Mansaku, coordinatrice per le politiche ambientali di GIZ (l’Agenzia di Cooperazione della Germania) in Albania e Kosovo. “Oggi ci sono quattro impianti per il riciclo della plastica che è in forte espansione, due per la carta, due per le batterie delle auto, diverse per i metalli e le lattine come anche per i contenitori di latte e succhi”.
Ma quali rifiuti finiscono negli impianti attualmente in funzione se nel paese dall’80% al 90% dei rifiuti prodotti non viene riciclato? La risposta è quelli importati, soprattutto dopo il 22 settembre 2011, data in cui è stata approvata una legge che ne permette l’importazione.
Nello stesso periodo nasce l’AKIP (Alleanza contro l’importazione dei rifiuti), che nei prossimi due mesi potrebbe raggiungere uno storico risultato: il primo referendum mai indetto in Albania su iniziativa popolare. Per saperne di più incontro Blendi Kajsiu, professore all’Università di Tirana e uno dei fondatori di AKIP.
Perché è nato questo movimento e a cosa mira?
AKIP nasce nel 2011 da un gruppo di cittadini, tra cui ambientalisti, attivisti dei diritti umani e intellettuali che si oppongono all’importazione dei rifiuti. Noi crediamo che servisse una legge per la gestione dei rifiuti, ma non siamo d’accordo con l’importazione perché non abbiamo ancora iniziato a differenziare e gestire i rifiuti prodotti qui. In secondo luogo bisogna tenere conto che ci troviamo di fronte paesi molto problematici come l’Italia, dove il problema dei rifiuti è grosso e non sfugge ai tentacoli del crimine organizzato, che è fortemente intrecciato con quello albanese; mentre l’Albania è oggi un paese vulnerabile, con capacità amministrative incomplete. Tutto ciò rende l’importazione un’attività pericolosa perché non siamo in grado di controllare i rifiuti che arrivano.
Come ha reagito il governo a queste critiche alla legge?
Non sono state accolte e la legge è passata [con i soli voti della maggioranza, ndr]. Il Presidente della Repubblica l’ha rinviata in Parlamento, dove è stata nuovamente votata senza alcuna modifica. Quindi non è stato preso in considerazione né il rifiuto del Presidente né il dibattito pubblico nato nel frattempo. Allora l’unica strada rimastaci era quella del referendum. Per ottenerlo abbiamo raccolto più di 60.000 firme con annessa carta d’identità per ogni firmatario, come richiestoci dalla Commissione elettorale centrale (KQZ), che a fine febbraio 2012 le ha certificate ([la Costituzione albanese ne richiede 50.000, ndr]. Purtroppo le elezioni locali di maggio 2012 hanno ulteriormente prolungato la procedura e siamo arrivati al 5 gennaio 2013 davanti alla Corte costituzionale. Se la Corte dichiarerà costituzionale la nostra richiesta, questa passerà al Presidente, al quale spetta decidere la data del referendum, che non sarà comunque prima della primavera 2014.
Intanto la legge da voi contestata è in vigore. Quali sono le conseguenze?
Il governo sostiene che l’importazione di rifiuti serva agli stabilimenti di riciclo in Albania per rimanere attivi, potendo così riciclare anche i rifiuti prodotti qui. Ma ciò che sta succedendo è che le industrie di riciclo che si stanno moltiplicando sono orientate completamente verso l’importazione, con la quale soddisfano le capacità produttive dei propri stabilimenti, ignorando il riciclo interno, come prevede la ratio che ha portato a promulgare la legge.
Inoltre l’inquinamento è aumentato enormemente. L’azienda Kurum a Elbasan ha una capacità di 500 mila tonnellate per riciclare l’alluminio. Il 90% di questo è importato. Le scorie prodotte vengono buttate nel fiume Shkumbin. E non è l’unica. Abbiamo scattato fotografie dei punti dove gli importatori buttano i rifiuti nei fiumi.
Lo sottolineo ancora, noi non siamo contro la nascita di un’industria del riciclo nel paese, ma pensiamo che questa debba essere in funzione della pulizia del territorio dove si sviluppa, mentre oggi più dell’80% dei rifiuti in Albania non vengono riciclati. Inoltre è sbagliato pensare che il paese possa diventare una superpotenza dell’industria del riciclo, che questo business diventi fine a se stesso. Da ciò che conosciamo dello sviluppo degli stati a livello mondiale, non si conoscono casi di paesi che si siano sviluppati grazie a questo tipo di industria.
Cosa sta facendo lo Stato per incentivare le imprese private a occuparsi dei rifiuti prodotti qui?
In questo caso il problema è di filosofia economica: nel momento in cui si aprono le porte all’importazione, lo Stato non può più sovvenzionare i privati perché sarebbe un sostegno al riciclo di rifiuti provenienti da Italia ed altri paesi, un nonsenso! Noi invece saremmo per gli incentivi ai privati, concessi in funzione del riciclo dei rifiuti interni. Questa è una prassi diffusa in tutti i paesi europei perché non si tratta di un’industria che crea profitti a priori visti i costi e le notevoli esternalità negative.
Inoltre noi abbiamo un buco legislativo per quanto riguarda la regolazione del trasporto dei rifiuti. Questo crea spazio per abusi. Poi bisogna vedere quanto l’amministrazione albanese riesca a controllare le diverse fasi del processo, cominciando dalla separazione dei rifiuti pericolosi dagli altri visto che arrivano in container chiusi. Qui abbiamo problemi a controllare la scadenza del latte e del succo di frutta importati, è difficilissimo che riusciamo a fare lo screening dei rifiuti.
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