Albania: l’ultimo raccolto
Molti agricoltori e proprietari di terreni in Albania si sentono messi da parte dalla corsa europea al gas: il TAP, una storia di confische e soprusi. Un reportage
(Originariamente pubblicato da Bankwatch , dicembre 2016)
"In Albania ci accontentiamo di poco", dice A. con un sorriso malinconico, in piedi accanto alla carrozza a cavalli su cui lui e sua moglie stanno caricando grandi fasci di mais dall’ultimo lembo rimasto del campo che hanno lavorato per anni. Il resto è divenuto da un mese in un ampio tratto di terra arida largo 25 metri, destinato ad un gasdotto che inizia ad oltre 3000 chilometri di distanza.
La Trans Adriatic Pipeline (TAP) fa parte del Corridoio meridionale del gas, una catena di condotti che dovranno trasportare ogni anno 10 miliardi di metri cubi di gas naturale dall’Azerbaijan in Europa e 6 miliardi in Turchia. Questa enorme impresa è attualmente il più grande progetto infrastrutturale in cui è coinvolta l’Unione europea e la posta in gioco è molto alta.
Sul campo, tuttavia, molte persone si sentono messe da parte, soprattutto i proprietari delle terre dove andranno a posarsi i grandi tubi scuri.
Alla fine di agosto, una missione congiunta dell’Helsinki Committee albanese e Bankwatch ha visitato oltre 30 comunità albanesi interessate dal progetto TAP.
Alla periferia del villaggio di Seman, appena otto chilometri dalla costa adriatica albanese, A. e sua moglie stavano per terminare il lavoro quando li abbiamo incontrati in una sera d’estate. A pochi metri giaceva una scia di tubi metallici scuri, ciascuno di circa due metri di diametro, in attesa di essere saldati tra loro. In quel momento, sembrava un innocuo parco giochi per i bambini del villaggio.
Tuttavia, il caso della coppia è tra i più complicati che abbiamo incontrato.
Nel corso degli ultimi 25 anni, dopo la caduta del regime comunista isolazionista, l’Albania ha tentato con difficoltà di procedere con la restituzione ai privati dei terreni. Il progetto TAP, che si snoda lungo un percorso di quasi 900 chilometri, ha innescato un’operazione di rilevamento topografico in tutto il paese per identificare i proprietari delle diverse diramazioni del gasdotto, ma è stato un cammino lungo e accidentato.
Per la coppia di Seman, il campo di grano era la principale risorsa economica. I rappresentanti di Abkons, l’impresa appaltatrice albanese del TAP, hanno offerto loro un risarcimento per la perdita del raccolto sulla base di calcoli non chiari.
Quando abbiamo chiesto ad A. se credeva che il calcolo riflettesse anche le loro perdite future, è seguito qualche istante di silenzio. Era evidentemente perplesso. E poi sconvolto.
Quando alla coppia è stata offerta una somma a 7 cifre, ci ha poi confidato, hanno pensato di non poter rifiutare. Come molti altri, hanno semplicemente accettato di dover rinunciare al campo. Non hanno protestato perché non hanno mai pensato di avere alternative, di poter fare qualcosa.
Abbiamo sentito resoconti molto simili lungo tutto il percorso dell’oleodotto. Molte persone, soprattutto proprietari di piantagioni di alberi da frutto, erano insoddisfatte del risarcimento offerto.
A fine estate, le piantagioni dell’Albania centrale offrono prugne scure e succose. Una volta raccolte, queste prugne sono spesso utilizzate per la rakia, un liquore di frutta che è un classico balcanico. Tuttavia, per alcuni agricoltori, questo potrebbe essere stato l’ultimo raccolto. Terminati i lavori, non si potranno mai ripiantare alberi – prugne, olivi o altri – in quel lembo di terra.
Ora, le famiglie che hanno vissuto di agricoltura per generazioni sono comprensibilmente preoccupate. Alcuni ci hanno detto che si sono rifiutati di firmare i contratti di locazione, ma molti altri sono riluttanti a contestare le autorità e i rappresentanti delle aziende, forti delle loro pile di documenti in indecifrabile gergo legalistico.
Proprio come a Seman, la stragrande maggioranza delle persone che abbiamo incontrato ha dichiarato di sentirsi poco informata circa l’intero processo, le conseguenze dei lavori e l’impatto sui loro mezzi di sussistenza. La maggior parte delle persone non era nemmeno in grado di dire quando avranno inizio i lavori.
Nel villaggio di Otllak, nella provincia di Berat, i grandi uliveti sulle colline che dominano il paese sono l’unica fonte di reddito per Arjan e suoi 12 famigliari. E lui è profondamente preoccupato di perdere tutto a causa del gasdotto.
L’uliveto conta oltre un centinaio di alberi, molti dei quali hanno circa 70 anni, e danno alla famiglia di Arjan un reddito complessivo di circa 3,5 milioni di lek albanesi (25.400 euro) all’anno.
Alla fine di agosto, gli alberi erano carichi di olive che dovevano essere raccolte circa due mesi dopo. Alcuni rami, oltre alle olive quasi mature, portavano nastri bianchi e rossi del tipo usato per delineare una scena del crimine, che segnavano il percorso dell’oleodotto.
Gli operai incaricati del rilevamento, ci ha detto Arjan, erano entrati senza chiedere autorizzazione e senza informare in anticipo, anche se lui aveva rifiutato di firmare il contratto con la società.
Alcuni giorni prima della nostra visita, aggiunge Arjan, ha ricevuto una telefonata che lo informava che aveva due settimane per abbattere il suo intero uliveto, da solo, per fare spazio ai lavori di costruzione.
Erano rimasti solo pochi grappoli nei vigneti dei fratelli Zylyftari, nel piccolo villaggio di Buzuq. Gli operai delle aziende costruttrici del TAP sono entrati e, ancora una volta senza alcun preavviso, hanno lasciato diversi marcatori rotondi di metallo cementati nel terreno.
Il vigneto, che si estende lungo le rive del fiume Osum, è stato piantato circa 12 anni fa, ma la famiglia possedeva la terra dal 1912.
"Il progetto sarà realizzato in ogni caso, non si può tornare indietro. Vogliamo solo che tutto proceda secondo le regole e che non ci prendano in giro", dice Sabri, uno dei fratelli.
Proprio come a Seman, Otllak e in molte altre comunità, anche i fratelli Sabri sono profondamente insoddisfatti del risarcimento offerto e non riescono a spiegarsi la metodologia alla base del calcolo. "Ci dicono che ci compenseranno con 200 lek (1,50 euro) per metro quadrato", dice. "Il prezzo di una tazza di caffè per metro quadrato".
La loro vicina di casa, Natasha, non riesce nemmeno a capire se potrà continuare a vivere in casa sua. Il progetto allegato ai documenti che ha ricevuto mostra il gasdotto che attraversa il suo cortile, a pochi metri dalla casa.
Per costruire la casa, lei e il marito hanno dovuto trovare lavoro in Grecia. "Lavoravamo per cinque mesi e poi venivamo qui per continuare la costruzione della casa". La costruzione è stata completata nel 2000, ma ora lei non sa che cosa accadrà a casa loro.
"Non ho ricevuto alcuna risposta, non so se la casa sarà demolita o danneggiata. Niente", dice. "Mi hanno detto, ‘quando iniziano i lavori chiariremo la questione’".
Nei paraggi ci sono già i cartelli che annunciano la realizzazione del progetto, e mentre parliamo con Natasha i camion e gli altri macchinari utilizzati per la costruzione delle infrastrutture di supporto sono già diretti verso la sua casa.
Alcune persone che abbiamo incontrato, pur non entusiaste del progetto, speravano che avrebbe portato posti di lavoro alle comunità locali. In realtà, la maggior parte della forza lavoro qualificata è portata dall’estero.
Ad esempio, in un annuncio di lavoro che abbiamo visto a Seman, una società francese ricercava operai non qualificati per un periodo non superiore a due mesi.
Tuttavia, sono in molti a non essere disposti ad arrendersi. Gli agricoltori nel villaggio di Cangonj, a circa otto chilometri dal confine con la Grecia, hanno deciso di reagire. Hanno inviato una lettera alla direzione del progetto in Svizzera per protestare contro la costruzione del gasdotto attraverso le loro piantagioni di prugne. La lettera è stata firmata da non meno di 120 persone, ma oltre sei mesi dopo non ha ancora ottenuto alcuna risposta.
Dall’altra parte del confine, anche gli agricoltori greci stanno protestando contro il progetto. La Banca europea per gli investimenti (BEI) sta valutando un prestito di 2 miliardi di euro – il più grande mai concesso – al progetto TAP. In risposta alle numerose denunce presentate da cittadini albanesi coinvolti dal progetto, e grazie al meccanismo di reclamo della BEI, ci informano che rappresentanti della BEI stanno progettando di visitare le comunità colpite. Nonostante questo sembra che la corsa dell’Unione europea al gas azero sia destinata a lasciare una profonda cicatrice sulle campagne e i cittadini albanesi.
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