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Albania: lo sprofondo della politica

Il Presidente della Repubblica Ilir Meta ha annullato sabato scorso le elezioni amministrative, in programma per il 30 giugno. Ma l’esecutivo non ci sta, ed ha avviato la procedura per la rimozione di Meta dall’incarico

11/06/2019, Tsai Mali - Tirana

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Nel tardo pomeriggio di sabato 8 giugno, l’opposizione di centrodestra albanese, capitanata dal Partito Democratico (PD) di Lulzim Basha e dal Partito Socialista per l’Integrazione (LSI) lasciato in eredità dal Presidente della Repubblica Ilir Meta alla moglie Monika Kryemadhi, si stava preparando a dare il via all’ottava delle manifestazioni indette negli ultimi mesi per chiedere le dimissioni del Premier socialista Edi Rama e un governo di transizione per traghettare il paese verso nuove elezioni. Proprio mentre i due leader raggiungevano la folla in piazza, il Presidente Meta, senza preavviso o consultazioni al di fuori del tetto coniugale, ha colto di sorpresa governo e manifestanti e, a causa della “preoccupazione per la situazione critica venutasi a creare nel paese”, ha annunciato l’annullamento della data delle elezioni amministrative che l’opposizione chiede di boicottare.

Immediata e irremovibile è arrivata la risposta del primo ministro Edi Rama che, dal comizio elettorale di turno, ha confermato che le elezioni si terranno nella data precedentemente stabilita ed ha annunciato l’avvio delle procedure parlamentari per la destituzione del Presidente.

Nonostante la grossa novità, la manifestazione dell’opposizione si è poi svolta sulla scia delle precedenti. Ai discorsi dei politici sono succeduti i petardi e fumogeni della folla che davanti al Parlamento ha provato a rompere il cordone della polizia, mentre la capitale è stata nuovamente invasa dai lacrimogeni lanciati dalle autorità di pubblica sicurezza per disperdere i manifestanti.

Parlamento rinnovato, costituzionalità in dubbio

È una tornata elettorale del tutto particolare quella che l’Albania si appresta – o apprestava – a sostenere. Alla fine di febbraio, i deputati del centrodestra avevano infatti deciso di rimettere in gruppo i propri mandati, nel tentativo di togliere legittimità ad un Parlamento che per l’opposizione è il risultato dei voti dei traffici di narcotici, della mafia e dei brogli delle politiche del 2017. Un boicottaggio radicale e definitivo che invece di mostrare agli occhi del mondo i seggi vuoti di un Parlamento monocolore, si è rivelato un boomerang per l’opposizione, a causa delle defezioni delle persone candidate nelle proprie liste: uno dopo l’altra infatti, persone inserite nelle liste elettorali prevalentemente per fare numero, si sono prestate al gioco degli avvicendamenti previsto dalla legge elettorale, rimpolpando le fila dell’opposizione in aula.

Allo stato attuale, a due anni esatti dallo scadere della legislatura in corso ed esaurite le scorte delle liste dei partiti di opposizione, il Parlamento albanese si ritrova a quota 121 deputati su 140 seggi. Una ricomposizione quindi parziale, per giunta con molti illustri sconosciuti, che non sono stati votati dai cittadini e che poco hanno da offrire alla scena parlamentare e legislativa del paese. Una presenza quindi prevalentemente formale, che pone seri dubbi sulla costituzionalità, giuridica e morale, del Parlamento albanese.

Eleggere senza possibilità di scegliere

Abbandonato il parlamento e diseredati i “sovversivi” che si sono prestati a sostituire i parlamentari dimissionari, i principali partiti di opposizione hanno deciso di radicalizzare ulteriormente il boicottaggio delle istituzioni, lasciando scadere i termini per l’iscrizione all’imminente tornata elettorale amministrativa.

Naufragati i goffi tentativi di mettere su all’ultimo minuto una nuova formazione politica di centrodestra che potesse riempire il vuoto lasciato dai partiti storici, alle amministrative si sono iscritti solo i partiti del centrosinistra, tutti al seguito dei socialisti di Edi Rama, e qualche piccola formazione della destra. Il risultato è che nella metà dei comuni albanesi ci sarà sulle schede un solo candidato. E se lo scenario finale sarà questo, è chiaro che i cittadini avranno pure l’occasione di andare a votare ma, questa volta più che mai, si recheranno alle urne senza alcuna possibilità di scegliere.

Da parte loro, senza più seggi e sindaci, PD, LSI e tutti gli altri partiti che li hanno seguiti in questa formidabile azione autolesionistica, rischiano di lasciare definitivamente la scena politica albanese.

L’incertezza delle prossime settimane

La tensione in aumento e il conseguente scontro tra poteri scuote da mesi i fragili equilibri delle istituzioni albanesi e difficilmente potrà risolversi in maniera regolare.

L’ambiziosa riforma del sistema giudiziario adottata all’unanimità nel luglio del 2016, introducendo circa quaranta leggi che andavano a modificare 45 articoli della Costituzione, ha intanto generato un vuoto in tutti i principali organi di amministrazione della giustizia. La Corte Costituzionale, l’unica che avrebbe potuto esprimersi sulla legittimità del Parlamento, delle elezioni o dell’ultima trovata del Capo dello Stato, dal maggio del 2018 e per la prima volta dalla sua istituzione nel 1992, non è operativa. Dei nove giudici che la compongono, tra mandati scaduti e soprattutto dimissioni e destituzioni dovute al processo di vaglio dei curricola in atto con la riforma, di membri attualmente ne conta solo uno. Lo stesso vale per la Corte di Cassazione e diversi tribunali regionali. I tempi per la ricomposizione sono difficili da prevedere, ma si preannunciano lunghi. Fino ad allora, nessuna istituzione ha facoltà di sondare lo stato di salute del sistema albanese, permettendo ai detentori di tutte le più alte cariche del paese la possibilità di improvvisare con decisioni insindacabili.

Il paese si ritrova quindi con un Parlamento indebolito e non rappresentativo, senza tribunali funzionanti, con un governo determinato ad andare senza concorrenti ad elezioni puramente formali e un’opposizione che minaccia di ostacolare materialmente il processo il giorno delle elezioni, preannunciando un rischio reale di disordini in tutto il paese. A questa situazione di incertezza di fondo, si aggiunge ora anche l’incognita della data della chiamate alle urne.

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